Il secolo dei rifugiati ambientali

Nell'ultimo anno, 330 calamità naturali hanno portato a 21.610 decessi con un conseguente danno economico stimato pari a 118 miliardi di dollari. Nel mondo, ci sono stati 22 milioni di sfollati a causa dei disastri naturali e le previsioni per il futuro restano allarmanti. Entro il 2050 si stimano in 200-250 milioni i rifugiati ambientali. Quali saranno gli impatti del cambiamento climatico sulle migrazioni umane?

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Nel 2013 sono stati moltissimi i disastri che hanno colpito il nostro Pianeta. In televisione, su inter­net e sui giornali abbiamo visto le immagini di abitazioni distrutte da cicloni e tornado, i video di persone che tentano di raggiungere i tetti delle proprie case per sfuggire alle inondazioni, le testi­monianze di lavoratori incapaci di coltivare la propria terra e allevare il loro bestiame a causa della siccità. Secondo i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) nel solo 2013 si sono verificate 330 calamità naturali che hanno portato 21.610 decessi, 97 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 118 miliardi di dollari.

Anche se ormai c’è un ampio consenso dell’opinione scientifica internazionale sul fatto che un au­mento dei rischi ambientali è strettamente collegato al cambiamento climatico conseguenza delle attività umane, c’è meno accordo su quali saranno i probabili impatti sulle attività umane compresa la migrazione umana.

Di fronte all’impatto delle catastrofi che ogni anno colpiscono la Terra non sempre è possibile adat­tarsi e spesso milioni di donne, uomini e bambini sono costretti a fuggire dai propri Paesi in cerca di condizioni di vita migliori e più salubri. Questi sono i migranti ambientali.

E’ importante porre l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulle problematiche legate alle migrazioni ambientali in modo da riproporne l’urgenza nelle agende politiche internazionali. Non è più possibile non riconoscere che queste persone sono vittime di eventi climatici estremi provocati dal cambiamento climatico che a sua volta è causato anche dall’attività umana.

Secondo il rapporto annuale del centro studi norvegese International Displacement Monitoring Centre, i profughi climatici sono tre volte il numero di profughi causati dalle guerre: nel 2013 nel mondo ci sono stati 22 milioni di sfollati a causa dei disastri naturali. La quasi totalità, 19 milioni, è nella sola Asia. La cifra, spiega il documento, è leggermente al di sotto dei 27 milioni di media annua che si sono avuti tra il 2008 e il 2013.

Nell’anno passato ci sono stati circa 600 eventi naturali disastrosi, dai tifoni ai terremoti, di cui 37 hanno provocato più di 100mila profughi. Quello più catastrofico è stato il tifone Hayan che nelle Filippine ha costretto ad allontanarsi dalla propria casa 4,1 milioni di persone. Anche se in misura ridotta, i disastri naturali non hanno risparmiato i paesi industrializzati. Così spiegano gli esperti norvegesi: “Il tifone Man nella regione giapponese di Chubu ha fatto 260mila profughi mentre i tornado in Oklahoma oltre 218mila. Le gravi inondazioni in Europa, soprattutto in Germania, Repubblica Ceca e Gran Bretagna hanno fatto spostare in totale 149mila persone. In 33 dei 36 paesi in cui ci sono stati conflitti armati tra il 2008 e il 2012 si sono avuti anche disastri naturali”. I paesi più colpiti sono per ora la Cina, gli Stati Uniti d’America, l’Indonesia, le Filippine e l’India.

Le previsioni per il futuro sono alquanto allarmanti. Secondo lo scienziato Mayer, entro il 2050 si raggiungeranno i 200-250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici. Ancora più pessimiste, le stime del Christian Aid che prevede circa 1 miliardo di sfollati ambientali nel 2050.

Tenendo in considerazione l’enorme numero, attuale e futuro, di evacuati per cause ecologiche il XXI secolo potrebbe essere definito come il “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante il termine non sia ancora riconosciuto dalle leggi internazionali. È importante che le istituzioni, e i cittadini di tutto il mondo comprendano l’interdipendenza che lega le comunità umane e il loro ambiente di vita, ma anche le comunità umane tra loro.

Una maggiore consapevolezza rispetto a queste connessioni può portare ad evidenziare le nostre re­sponsabilità rispetto alle altre comunità che abitano la nostra Terra. Preconcetti e disinformazione alimentano un clima di tensione, se non di aperto razzismo, nei confronti dei migranti che arrivano nel nostro Paese alla ricerca di migliori condizioni di vita, spesso costretti a lasciare le proprie case a causa di fenomeni ambientali (siccità, alluvioni, perdita di fertilità dei terreni, desertificazione) che hanno nelle attività antropiche la loro causa. Conoscere queste cause e riconoscere la nostra re­sponsabilità nel determinarle dovrebbe spingere tutti a sviluppare un maggior senso di accoglien­za, comprensione e sostegno nei confronti dei rifugiati ambientali. Nel contempo è importante trasmettere il messaggio che un cambiamento verso la sostenibilità è possibile, che possiamo e dobbiamo agire localmente, a partire da noi stessi e dalle nostre abitudini, per ottenere una trasfor­mazione globale.

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