Un’estate di prezzi record dell’elettricità siciliana

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Il consueto esorbitante prezzo dell’elettricità in Sicilia quest’estate ha registrato altri record, soprattutto per l'ampio divario creatosi con quello del resto del paese. Questo gap nel 2013 costò all’Italia 660 milioni di euro, con notevoli vantaggi per gli operatori elettrici dell'isola. Ecco il motivo e cosa ci aspettiamo per i prossimi tempi.

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Saranno pure gli ultimi fuochi, ma certo che sono fuochi di artificio e ci stanno costando molto, molto cari. Parliamo del prezzo dell’elettricità in Sicilia, da anni spina nel fianco del sistema elettrico italiano, che questa estate ha stupito, riuscendo a stabilire nuovi record nella differenza fra il costo locale dell’elettricità e quello del resto del paese.

Le ragioni sono ben conosciute: il vecchio elettrodotto che collega Messina a Reggio Calabria, è da tanto tempo del tutto insufficiente a garantire uno scambio di elettricità decente fra isola e continente, mentre il cavo che avrebbe dovuto ampliare il collegamento, è in ritardo di circa 4 anni sulla tabella di marcia.

Il risultato è che la Sicilia deve far fronte alle variazioni della sua domanda quasi esclusivamente con le sue centrali elettriche, che sono vetuste, inefficienti e, come nel caso di quella di San Filippo del Mela, usano ancora olio combustibile.  Questa fonte costossissima ed inquinante nel resto del Paese viene impiegata solo per le emergenze, nell isola, invece, le centrali a olio combustibile entrano ancora in funzione regolarmente, nei momenti di picco della domanda.

Aggiungiamo che in Sicilia si è installato in questi anni meno fotovoltaico, rispetto alle sue possibilità (gli 1,2 GW siciliani sono meno di quelli in Emilia, Lombardia o Piemonte), riducendo il suo effetto ‘calmierante’ sui prezzi locali.

Risultato di tutto ciò? Il recente Monitoraggio dei mercati elettrici 2013, dell’Autorità, avverte come il prezzo medio dell’elettricità siciliana sia stato di 33 euro/MWh più alto di quello italiano, con un aumento del 44% sul 2012. Visto che la Sicilia consuma ogni anno circa 21 TWh e tutti gli italiani pagano lo stesso prezzo medio, questo differenziale è costato all’economia nazionale nel 2013 la cifra di 660 milioni (più della metà di quanto il governo vorrebbe risparmiare per abbassare il costo elettrico per le PMI), che si van ad aggiungere ai molti miliardi già pagati nei decenni passati.

E non è che nel 2014 le cose siano migliorate, anzi. Mentre il PUN (prezzo unico  nazionale), per effetto del calo del prezzo del gas, dei consumi e dell’aumento della generazione a fonti rinnovabili,  fra primavera ed estate scendeva sotto i 50 euro/MWh, quello siciliano a luglio saliva a 95 euro/MWh e ad agosto a 108 euro/MWh, doppiando il prezzo del Sud Italia. Il primo agosto scorso, per esempio, il prezzo minimo siciliano è stato di 70 euro/MWh, mentre il prezzo massimo italiano è stato di 50 euro/MWh (e 38 euro/MWh quello del Sud), mentre il prezzo massimo siciliano ha toccato i 180 euro/MWh, quasi 4 volte il nazionale. 

Visto che fra circa un anno, dopo molti ritardi, dovrebbe entrare in funzione il nuovo cavo di Sorgente Rizziconi fra Calabria e Sicilia che, permettendo l’importazione di elettricità dal Sud in Sicilia e l’export dalla Sicilia di solare ed eolico, farà finire lo scandalo di queste centinaia di milioni gettati via, viene il sospetto che i prezzi altissimi siano una sorta di  ‘ultimo assalto alla diligenza’, prima che la pacchia finisca.

“Calma – ci frena Giuseppe Artizzu, analista energetico e Ad della società Cautha – ci sono anche ragioni obbiettive. Quest’estate, mentre al nord ha piovuto molto, aumentando l’offerta dell’economica fonte idroelettrica e facendo calare i consumi rispetto al 2013, in Sicilia ha fatto normalmente caldo. L’effetto complessivo è stato un divaricarsi fra prezzo nazionale e siciliano. La Sicilia è, del resto, l’ultima regione dove la fonte marginale, quella che fissa il prezzo, è quasi sempre il metano degli impianti a ciclo combinato, mentre durante i picchi spesso lo è ancora il costoso olio combustibile. Nelle altre zone di mercato l’olio è ormai irrilevante, mentre le fonti rinnovabili hanno reso spesso tecnologia marginale il carbone o impianti a gas cogenerativi, con costi variabili più bassi. Pur con questa giustificazione nei fondamentali di mercato è chiaro però che l’aggravio siciliano sul PUN ha innescato drastiche, e tardive, iniziative legislative”.

Le iniziative a cui si riferisce Artizzu sono nel decreto-legge ‘Competitività’ del 24 giugno 2014, n. 91, del governo Renzi (lo stesso dello “Spalma incentivi”), diventato legge il 7 agosto. Una sua norma (ne abbiamo parlato qui) prevede che le centrali siciliane diventeranno ‘impianti essenziali’ e che, come tali, dovranno di fatto vendere la loro energia a un prezzo fisso, stabilito in modo da garantire un rendimento ragionevole ai produttori, presumibilmente più moderato dell’attuale.

“È questione di settimane e l’AEEG interverrà in questo modo per mitigare i prezzi siciliani, come prevede la legge, anche se ad oggi non è chiaro quali saranno le modalità imposte di offerta dell’energia”, dice Artizzu.

Ma perché, visto che i prezzi siciliani sono così alti, non si è investito in nuove centrali sull’isola? “Ormai per contare su quei prezzi è tardi, visto che entro un anno il nuovo cavo dovrebbe allinearli al resto d’Italia. Ma certo lo si sarebbe potuto fare agli inizi del secolo, quando in Italia meridionale, con la legge Marzano, si sono costruite da zero centrali a gas molto efficienti, mentre in Sicilia si è intervenuti unicamente nei siti esistenti. È un fenomeno che non so spiegarmi. Il risultato, comunque, è che fra il parco generativo siciliano e quello italiano permane un gap strutturale. Aggravato da colli di bottiglia nella rete regionale che condizionano il dispacciamento, e che solo in parte saranno risolti dal potenziamento dell’interconnessione”.

Però non sembra che chi produce elettricità in Sicilia soffra tanto di questa situazione. Anzi viene il sospetto che arretratezza e isolamento facciano comodo. Secondo la relazione AEEG, infatti, mentre gli operatori elettrici del Sud Italia hanno per le centrali a gas a ciclo combinato, un margine che oscilla fra i -1,7 e 4,4 euro per MWh venduto, i loro colleghi appena al di là dello Stretto guadagnano per ogni MWh fra i 21 e i 33 euro.  Più che ‘libero mercato’, sembra il paese di Bengodi.

“Il prezzo dell’elettricità siciliana riflette la realtà del parco generativo e della rete, e del resto 20-30/MWh euro erano la norma in tutta Italia prima della crisi economica e del boom delle rinnovabili. Comunque ora quei margini hanno i mesi contati”, spiega Artizzu. 

Assoelettrica, l’associazione dei grandi produttori di elettricità, ha comunque tuonato contro il  provvedimento governativo sulle centrali siciliane, che, dicono, “ha l’effetto di eliminare le dinamiche concorrenziali in Sicilia”, e minaccia, se non sarà ritirato, ricorsi in sede europea, in una sorta di nemesi speculare a quella delle associazioni delle rinnovabili per i tagli retroattivi agli incentivi al fotovoltaico. 

“Hanno ragione – dice l’analista energetico – questo intervento è un’altra entrata a gamba tesa della politica nel mercato energetico, che non può piacere agli operatori nazionali ed esteri che volessero investire nel settore in Italia. E non solo ai produttori tradizionali. Pensate a un operatore che avesse voluto costruire impianti fotovoltaici non incentivati in Sicilia, contando all’inizio sull’alto costo dell’elettricità locale: adesso si trova con prezzi artificialmente ribassati, che ne impatteranno i piani. Certo, manca solo un anno alla fine dell’anomalia, ma questo rende ancora più misterioso il senso dell’intervento politico, che avrà effetti monetari scarsi, ma minerà ancora le basi della fiducia nel sistema, già scosse dalla vicenda dei tagli al fotovoltaico. Se la politica voleva intervenire, avrebbe dovuto farlo anni fa, appena si è capito che la Sicilia elettrica stava ‘restando indietro’, accelerando al massimo la costruzione del nuovo collegamento con il continente”.

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