Quale spazio per le energie rinnovabili al 2030?

Fissare traguardi ambiziosi al 2030 anche per rinnovabili ed efficienza consentirà un'ulteriore riduzione dei costi delle tecnologie verdi e la loro maggiore competitività sul mercato dell'energia. Questa fase dovrà essere però gestita con il minimo di incentivi e grande attenzione a ricerca, innovazione e alla creazione di un nuovo tessuto industriale. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Dopo la Commissione Europea, che ha proposto per il 2030 di ridurre del 40% le emissioni climalteranti rispetto al 1990 e di garantire una quota di rinnovabili sui consumi finali del 27%, si è pronunciato anche il Parlamento di Bruxelles. In seduta plenaria gli europarlamentari hanno alzato l’asticella delle rinnovabili (30%) e hanno introdotto anche un obbiettivo sull’efficienza energetica che prevede una riduzione dei consumi del 40% rispetto allo scenario tendenziale. A marzo saranno infine i paesi membri a pronunciarsi. Seguirà inevitabilmente un processo di conciliazione delle diverse posizioni per arrivare al 2015 con un’Europa forte, in grado di stimolare il raggiungimento di un accordo mondiale sul clima.

Ma torniamo agli obiettivi 2030. È pensabile che si riesca a mantenere il tasso di crescita delle energie verdi che si è registrato negli ultimi anni grazie alla disponibilità di elevati incentivi, tanto elevati da indurre in alcuni casi a misure retroattive? In sostanza, siamo ancora nella fase ascendente della curva di penetrazione delle rinnovabili? Alcuni elementi inducono ad essere fiduciosi.

Innanzitutto va considerato il ruolo dell’efficienza che dovrebbe garantire alla fine del prossimo decennio, secondo le analisi di impatto effettuate dalla Commissione, valori dei consumi di energia inferiori del 2-15% rispetto a quelli del 2010. A fronte dunque di una domanda di energia più contenuta, sarà più facile ottenere percentuali più elevate di rinnovabili.

Va poi considerata l’evoluzione delle tecnologie verdi che porteranno ad ulteriori riduzioni dei costi. In alcuni casi, come nel fotovoltaico, nel prossimo decennio sarà possibile immaginare una diffusione senza incentivi, in buona parte attraverso sistemi misti, solare più accumulo.

Uno studio coordinato dall’Imperial College of London, a cui ha collaborato il GSE, ha stimato che una copertura al 10% della domanda europea al 2030 comporterebbe limitati oneri di integrazione alla rete elettrica. In Italia, con una potenza solare 2,5 volte più elevata dell’attuale e una quota pari al 16-18% dei consumi elettrici, si otterrebbe una significativa riduzione delle importazioni di metano (-20%), mentre l’integrazione nella rete, in presenza di politiche di governo della domanda, avrebbe costi molto limitati.

Passando alle rinnovabili termiche, queste presentano ancora grandi margini di incremento con costi minimi e si espanderanno in parallelo con la riqualificazione spinta del patrimonio edilizio. Troveranno un loro spazio anche applicazioni, al momento del tutto marginali, come la climatizzazione estiva e la fornitura di calore di processo nell’industria attraverso tecnologie solari (argomento del prossimo Speciale Tecnico di QualEnergia.it).

I biocarburanti di seconda e terza generazione consentiranno, infine, di utilizzare biomassa locale ed è prevedibile che la forte innovazione (dal bioetanolo di seconda generazione alle alghe) favorirà la loro competitività.

Più in generale, la forbice tra l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e la contemporanea riduzione di quelli delle rinnovabili, garantirà una spinta propulsiva eccezionale in grado di controbilanciare ampiamente gli elementi di rallentamento (come il progressivo esaurimento dei siti migliori per l’eolico).

Un recente studio del Fraunhofer Institute ha analizzato le evoluzioni dei costi dell’elettricità calcolati per l’intera vita degli impianti (LCOE) in Germania, concludendo che sia l’eolico on-shore che il fotovoltaico risulterebbero competitivi con le centrali termoelettriche per larga parte del prossimo decennio.

Con un’Europa alla ricerca di maggiore competitività e intenzionata a rafforzare la propria base industriale, si dovrà porre un’attenzione particolare sul lato delle tecnologie. In alcuni comparti l’ingegnosità e la virtuosità di piccole e media imprese sarà in grado di proporre prodotti competitivi in campo internazionale. In altri casi occorrerà uno sforzo coordinato a livello di ricerca e degli investimenti per raggiungere quella massa critica continentale necessaria a reggere il confronto con l’Asia, gli Stati Uniti e i paesi Arabi.

Un esempio viene dalla ambiziosa proposta franco-tedesca di rilanciare la ricerca sul fotovoltaico per arrivare alla produzione su larga scala 1-2 GW/a di moduli innovativi, una sorta di progetto “Airbus” del solare, una proposta che l’Italia dovrebbe esplorare seriamente (che ruolo potrebbero giocare Eni ed Enel?).

In conclusione, dopo i target del 2020 che verranno agilmente superati dall’Italia e dall’Europa, è importante che vengano fissati traguardi ambiziosi al 2030 come quelli di cui si sta discutendo: sul versante elettrico questi targets implicano che metà della produzione sarà generata da  rinnovabili, segnando irreversibilmente il processo di decarbonizzazione in atto.

Ed è altrettanto importante che la fase ‘Rinnovabili 2.0’ venga gestita con il minimo di incentivi e il massimo di contributo positivo al sistema energetico e produttivo, grazie ad un’attenzione particolare su ricerca e innovazione e alla capacità di creare un tessuto industriale reale dell’energia del futuro.

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