Rinnovabili vs fossili e le ipocrite leggi del mercato

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Il modello liberista chiede alle rinnovabili di competere sul mercato alla pari con le fonti convenzionali. Anche i fautori delle energie pulite sembrano uniformarsi a questo ‘pensiero unico’. Un approccio che fa il gioco dei grandi produttori di energia che possono attaccare incentivi e benefici alle rinnovabili. Ma le basi di partenza non sono le stesse.

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Il mondo delle rinnovabili rischia spesso di giocare le sue sfide al ribasso. Qualcuno la chiamerebbe ‘sudditanza psicologica’ nei confronti dei produttori delle fonti energetiche convenzionali. Sentiamo sempre le solite frasi: “Le rinnovabili devono stare sul mercato” (quale?); “il loro prezzo è ancora troppo elevato” (rispetto a cosa?); “devono ancora abbassare i loro costi per diventare competitive”. Le fonti pulite, secondo la gran parte degli osservatori di entrambe le sponde (detrattori, ma anche fautori), devono conformarsi al modello economico liberista, competere nel mercato dell’energia dove l’unico parametro di valutazione resta il prezzo.

Fuori dai tecnicismi di cui spesso ci occupiamo su questo sito, ancora una volta dobbiamo chiarire che la questione se spingere o meno le rinnovabili non è tecnologica e nemmeno economica, ma solo di natura politica e strategica. Una scelta che si orienti verso la protezione dell’ambiente e la sicurezza energetica. A cascata poi arriveranno gli altri benefici: industriali, occupazionali, sanitari e nel medio-lungo termine, infine, ancora economici.

Sappiamo che la liberalizzazione in questi anni non ha prodotto gli effetti desiderati e c’è stata una confusa equiparazione tra liberalizzazione e privatizzazioni, ad esempio delle reti, che dovrebbero essere invece di interesse pubblico. Oggi chi ha la proprietà delle reti può condizionare il mercato elettrico, indirizzandolo più spesso verso la generazione centralizzata e dunque ‘non rinnovabile’. Qui il discorso sarebbe troppo complesso, ma tutto ciò non consente, almeno in tempi rapidi, un più profondo cambiamento del sistema energetico.

Le rinnovabili devono stare sul mercato, si dice, ma poi i grandi gruppi elettrici chiedono al governo garanzie (vedi capacity payment) per i loro investimenti passati, spesso avventati. E ovviamente, in nome dell’equità, chiedono drastici ridimensionamenti a incentivi e benefici (vedi la querelle sul pagamento degli oneri di rete e di sistema) per le rinnovabili. Dov’è allora l’economia di mercato tanto reclamata quando si parla di energie pulite? Chiedono il libero mercato quando coincide con i loro interessi e lo evitano se invece li va ad erodere.

Poi c’è la questione ‘prezzo’. La teoria economica attualmente vincente è concorde che il prezzo sia l’unico fattore razionale nelle decisioni di comportamento. Ma veramente qualcuno ritiene che il prezzo sia il solo elemento di valutazione da parte di un consumatore? Non esisterebbero allora né la pubblicità né alcuna decisione personale. Come affermano alcuni sociologi, in questo caso si avrebbe una società senza cultura.

Ogni tanto vale la pena ricordarlo: la produzione e il consumo di energia ha anche implicazioni fondamentali di carattere politico-strategico, sociale, ambientale, tutti elementi che sono di fatto esclusi nelle valutazioni di investimento. Se non fossimo accecati da un approccio pseudo-economicista e liberista consideremmo tutto ciò, al contrario, altamente irrazionale. Uno studioso dell’economia di mercato, Wilhem Röpke, criticava ‘il perfezionismo teorico’ secondo cui “la concorrenza dipende da condizioni di cui è già chiara a priori la quasi totale inesistenza nella realtà economica”. Röpke ammoniva che gli interessi dell’ intera società non posso essere tenuti fuori, spiegando che serve sempre un freno alla concorrenza quando i ricavi di chi vende e il vantaggio di prezzo di chi consuma non hanno più rapporti con il costo che la società nel suo complesso è chiamata a sostenere.

Incentivi e benefici alle fonti pulite di energia vanno certamente modellati con giudizio e ben governati (l’approccio schizofrenico di questi anni non è positivo) e allo stesso modo esse possono essere considerate parte di un nuovo sistema energetico in divenire, anche con alcuni oneri da sostenere. Va bene. Vogliamo perciò che le rinnovabili siano dentro questo mercato e che si affermino dentro questo modello energetico-economico? Prima però dobbiamo ripristinare le pari opportunità e avere una corretta visione d’insieme.

Come spiegava qualche anno fa Hermann Scheer, “perfino abolendo immediatamente tutti i sussidi e i privilegi concessi alle fonti fossili e al nucleare non sarebbero comunque garantiti gli stessi livelli di partenza”. Potrebbero essere restituiti o annullati i sussidi decennali che hanno ricevuto i produttori di energia da fonti convenzionali? Oppure qualcuno ritiene che da domani vengano internalizzati nel costo delle diverse fonti di energia i persistenti danni economici prodotti su ambiente, aria e persone da impianti di generazione a fonti fossili e nucleari? Non c’è mai una vera neutralità nell’optare per una fonte energetica o l’altra. Il prezzo dunque non ci dice tutto.

L’uguaglianza tra le fonti presupporrebbe una comparabilità che non esiste. Anche a livello microeconomico è difficile confrontare fonti fossili e fonti rinnovabili; le prime hanno costi fissi per impianti e infrastrutture e costi variabili per i combustibili, per il trasporto e lo smaltimento (una filiera molto lunga); le secondo hanno i costi fissi per gli impianti ma costi variabili pressoché azzerati (ad eccezione delle bioenergie) e con una catena di approvvigionamento molto corta. Esistono allora metodi di calcolo per rilevare le differenze in modo corretto?

Due dati potrebbero sostenere una policy energetica, non più miope, che dovrebbe guardare alla sicurezza energetica e ambientale del paese e optare per uno spostamento della fiscalità dal lavoro e dalla imprese verso chi inquina.

Si dimentica ad esempio che in Italia nel 2012 abbiamo speso oltre 66 miliardi per importare energia fossile (petrolio, carbone e gas). E se aggiungiamo tutte le altre materie prime, il nostro deficit arriva sui 110 miliardi di euro, cioè circa 70-80 miliardi di esborso (in un solo anno) in più di quanto non dovevamo pagare 10 anni fa. (Ugo Bardi, da blog de Il Fatto Quotidiano). Non è questo uno dei fattori principali della crisi economica in atto?

Poi la questione sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili. Secondo un recente dossier di Legambiente ogni anno nel nostro paese sarebbero pari a circa 12 miliardi di euro. Per la IEA, a livello mondiale sono pari a 544 miliardi di $, cioè cinque volte quelli alle fonti rinnovabili. E parliamo sempre di un solo anno. E se guardassimo anche indietro a quanto ammonterebbero?

Vogliamo continuare a parlare ancora di economia mercato per motivare o meno la spinta dell’energia rinnovabile o non sarebbe meglio iniziare a utilizzare argomentazioni meno ipocrite?

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