‘Darwinismo energetico’: crisi dell’energia fossile e centralizzata

Rinnovabili e generazione distribuita sono destinate a mettere in crisi il modello energetico basato sulla generazione centralizzata da fossili o nucleare. Per le utility tradizionali la scelta sarà tra adattarsi cambiando oppure scomparire. Un report di Citigroup spiega quel che sta succedendo nel mondo della generazione elettrica.

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“Il solare ruba il picco della domanda al gas, poi all’aumentare della penetrazione va ad intaccare il carico di base fornito da nucleare e carbone, richiedendo maggiore potenza flessibile, che viene dal gas; in una fase successiva, con la diffusione dello storage, torna a fare concorrenza con il gas, risparmiando carbone e nucleare. In questa incertezza chi vorrebbe essere un utility oggi?

La domanda viene da un recente report pubblicato da Citigroup, una tra le società di servizi finanziari più grandi al mondo. Un documento che spiega bene quel che sta succedendo nel mondo della generazione elettrica e perché le compagnie elettriche tradizionali hanno seri motivi per essere preoccupate dello sviluppo delle rinnovabili e della generazione distribuita. Con le fonti pulite sempre più competitive e nella prospettiva di un’ampia diffusione dei sistemi di accumulo, si tratta infatti di reinventarsi o perire: la dice lunga il titolo del documento, “Energy Darwinism – the evolution of the energy industry” (allegato in basso).

Nei prossimi anni le utility come le conosciamo, vi si legge, potrebbero perdere metà del loro mercato a favore di efficienza energetica, fotovoltaico con storage e altre forme di generazione distribuita. Nel cambiamento non mancano certo nuove occasioni di investimento in smart grid, accumuli e servizi downstream: “la domanda è se le utility saranno in grado di cogliere queste opportunità ed evolversi”.

Il quadro che il report traccia è quello di un cambiamento epocale. Le rinnovabili sono sempre più competitive rispetto alle fonti convenzionali: il fotovoltaico sta mostrando una curva di apprendimento vertiginosa (a ogni raddoppio della potenza installata i costi sono calati del 30%), l’eolico vede i costi diminuire meno rapidamente (con una curva di apprendimento del 7,4%), ma è già meno caro delle fonti fossili in molte situazioni; mentre sull’altro versante, se il gas ha avuto un forte calo dei costi, peraltro quasi completamente limitato al Nord America, con il boom dello shale gas, il carbone rimane sostanzialmente immobile e il nucleare dagli anni ’70 sta vedendo i costi addirittura aumentare.

Insomma, le fonti pulite sono in fase di sorpasso e i progetti di nuovi impianti da fonti convenzionali “contengono molto più rischio di quanto sia generalmente riconosciuto”. Un fatto che si sta comprendendo da qualche tempo: “Anche negli Usa con il gas  da scisti (a basso prezzo, ndr) vediamo utility che abbandonano progetti di impianti a gas destinati a coprire il picco della domanda, per costruire parchi solari. Lo stesso vale per altre fonti convenzionali: ad esempio si veda la riluttanza a costruire nuove centrali nucleari nel Regno Unito e, su altri mercati, il rallentamento delle installazioni a carbone, dovuto a incertezze su prezzo, loro reale utilizzo e leggi sull’inquinamento”. Anche in Cina, si legge nel report, “la domanda di carbone raggiungerà il picco entro la decade e poi inizierà la fase di transizione”.

Il cambiamento, come detto, epocale che stiamo vivendo è ben riassunto in questo grafico che, va notato, è riferito al mix di energia primaria staunitense, dove il gas, con il boom dello shale, vive certamente un declino meno rapido.

Ma interessante è soprattutto l’analisi che il report fa dei mercati in cui la penetrazione delle rinnovabili è già oggi molto rilevante. Nel grafico qui sotto si vede l’effetto che l’ascesa delle rinnovabili, assieme ad altri fattori come il calo della domanda, ha avuto in Europa sui fattori di carico delle centrali a fonti convenzionali.

Gli analisti di Citigroup poi raccontano quanto sta accadendo in Germania, dove nelle giornate di sole il fotovoltaico “ruba” quasi tutto il picco di domanda diurno: lì alcune centrali a gas rischiano di lavorare una manciata di giorni all’anno, con le conseguenze economiche negative che si possono immaginare per chi le gestisce. Ipotizzando che la potenza FV installata salga a 53 GW, dai 35-36 attuali, il solare andrebbe a intaccare anche il baseload o carico base, ossia toglierebbe lavoro a quelle centrali che lavorano quasi tutto il tempo, cioè quelle alimentate a carbone e a nucleare. A questo punto ci si potrebbe trovare nella situazione, già verificatasi diverse volte sul mercato tedesco, di dover cedere l’elettricità a prezzi negativi: cioè pagare per immettere in rete l’elettricità (quando è più oneroso spegnere e riaccendere gli impianti).

Una soluzione a questo problema potrebbe venire dalla diffusione degli accumuli, che, distribuendo l’elettricità del FV sulle varie fasce orarie, gli impedirebbe di intaccare il baseload. Ovviamente questo però danneggerebbe le centrali più flessibili, quelle a gas, usate per coprire i picchi di domanda, che si vedrebbero togliere il lavoro dallo storage. Insomma, la situazione per le utility è complicata, visto che con l’introduzione degli incentivi per lo storage, prevede Citigroup, i sistemi di accumulo “saranno il nuovo boom del solare”, e avranno “aumenti dei volumi e riduzioni di prezzo simili a quelle vissute dal solare negli ultimi 5-6 anni”.

La strada verso la generazione distribuita pare dunque segnata e il ruolo delle grandi utility che producono energia centralizzata dovrà cambiare. Da una parte, prevede il report, ci sarà la generazione centralizzata che avrà funzioni di back-up (da questo lato gli autori del report sostengono la necessità di meccanismi di capacity payment), dall’altra si creeranno “utility molto più piccole e localizzate che gestiranno produzione e domanda di energia in reti realizzate per la generazione distribuita e per storage anche a livello di isolato”.

Se questi nuovi modelli di business saranno gestiti dalle utility tradizionali o da altri soggetti resta una questione aperta.

Il report (pdf)

 

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