Quel picco dimenticato che continua a insegnarci tanto

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Il picco del petrolio è passato di moda e quella famosa curva a forma di campana non esiste? Ugo Bardi, ex presidente di Aspo Italia, in un suo recente articolo, spiega in modo semplice cosa sta accadendo alla produzione petrolifera e alle sue implicazioni su clima ed economia. E perché l’idea di 'picco' potrà e dovrà aiutarci a preparare il futuro.

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Ci siamo distratti o il picco del petrolio è passato di moda? Se ne parla veramente poco. Forse solo una vecchia congettura di alcuni catastrofisti travestiti da scienziati? Quella famosa curva a forma di campana non esiste?
Il professor Ugo Bardi, ex presidente di Aspo Italia, la sezione italiana dell’associazione che studia il picco del petrolio e del gas, in un suo articolo sul blog, Cassandra’s Legacy, dal titolo Peak Oil: a fertile concept fa un po’ il punto su questa teoria, partendo dal fatto che la recente chiusura dell’ottimo sito “The Oil Drum”, dove dal 2005 le implicazioni energetiche e politiche-economiche erano analizzate, per molti è un’ammissione che quelle tesi siano ormai infondate.

Bardi ricorda come la teoria dell’esaurimento del petrolio sia stata ripresa da quella di Hubbert degli anni ’50, a Colin Campbell e Jean Laherrere alla fine degli anni ’90. I due analisti ipotizzarono una graduale depletion dell’oro nero, rappresentata da una curva a forma di campana il cui raggiungimento del vertice stava a significare che metà delle risorse erano state già utilizzate dall’umanità. Supponevano che questo “picco” sarebbe arrivato nel 2005 o giù di lì, e come conseguenza avremmo avuto seri problemi a soddisfare la domanda globale di petrolio.

Di ben altro avviso in quegli anni, ma anche di recente, è stata l’industria petrolifera, che profetizzava il barile a prezzi stracciati. La realtà degli ultimi 10 anni ci ha però raccontato il contrario: la crescita della produzione mondiale si arresta nel 2004, il prezzo del barile tocca i 150 $ nel 2008. E oggi il prezzo resta elevato, ben oltre i 100 dollari.

Quello a cui si assiste, spiega Bardi, non è un declino della produzione, ma notevoli problemi per mantenerla costante. Nulla fa presagire che il periodo delle vacche grasse, con una crescita costante dell’offerta e prezzi come 10 anni fa, torni per incanto.

Ci sono tuttavia nuovi elementi nell’analisi. Avremmo dovuto vedere la discesa nella produzione, ma registriamo piuttosto un plateau o una sua lenta crescita grazie all’offerta di petrolio non convenzionale, come l’offshore a grandi profondità, petrolio da scisti, sabbie bituminose, ecc. Quella simmetria rappresentata dalla campana di Hubbert si sta dimostrando in questo caso troppo stilizzata.

La società e l’industria petrolifera stanno combattendo a suon di investimenti finanziari per rallentare la sostituzione del petrolio con altre risorse o tecnologie; per succhiare dalla terra tutto il possibile. Ciò sta evitando finora quel declino che sembrava inevitabile solo un decennio fa, ma sta avvenendo a caro prezzo: costi elevati del barile e impatti severi sul clima.

Per l’autore dell’articolo il problema è solo rimandato e quando il declino inizierà potrebbe essere terribilmente rapido (o ripido, se pensiamo alla curva), più di quanto la classica grafica di Campbell e Laherrere farebbe pensare.

Questo tentativo di resistere al crepusculo dell’era del petrolio e di ritardare il suo picco sta portando ad accrescere notevolmente i livelli di emissione in atmosfera.

Ma allora il picco è così importante per definire esattamente quando saremo senza una goccia di petrolio o oggi potrebbe avere un’altra valenza? Secondo Ugo Bardi è un ‘concetto fecondo’, “un modo di interpretare il mondo, qualcosa che ci ha insegnato e ancora ci sta insegnando molto”.

Un concetto, spiega, legato allo sfruttamento da parte dell’uomo di tutte le risorse non rinnovabili del pianeta, parte integrante di quei modelli dinamici che stanno dietro al famoso studio “The Limits to Grotwh” commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato nel 1972 (poi in italiano malamente tradotto in “I limiti dello sviluppo”). Insomma qualcosa che dovrebbe permeare le scelte della politica su scala locale e planetaria.

La produzione e il consumo mondiale di petrolio, pari a circa 31 miliardi di barili l’anno, a questi prezzi, potrebbe non durare a lungo. Secondo alcuni geologi petroliferi un calo della produzione è stimato entro il 2020 e non sarà coperto da quel petrolio ‘non convenzionale’. Quale sarà il tasso di diminuzione è la chiave per capire molti successivi sviluppi.

La stima del Fondo Monetario Internazionale ad esempio è impietosa: se la produzione globale di petrolio calerà anche solo dell’1% all’anno, il prezzo può innalzarsi del 60%. Dunque, con un’offerta che continua a decrescere così e un prezzo reale del petrolio in salita si avrà un duro crollo della domanda. Solo dopo si ritornerà a un equilibrio tra offerta e domanda. Ma ovviamente su livelli molto più bassi rispetto agli anni precedenti. Questo è uno scenario recessivo che potrebbe anche far impallidire quello attuale. Anche se molti (pochi gli economisti) non escludono che già ci siamo dentro.

Per questo è interessante la conclusione dell’ex presidente di Aspo Italia: “l’idea del ‘picco’,  potrà aiutarci a preparare il futuro, ricordando però che coloro che non capiscono quella ‘curva a campana’ sono condannati a seguirla”.

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