L’industria al 100% rinnovabili nel modello Loccioni

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Il Gruppo Loccioni sta sperimentando diverse soluzioni per riuscire ad alimentare un’intera attività industriale con energia rinnovabile prodotta localmente. Oltre a realizzare diversi impianti solari, idroelettrici e a abiomassa, grazie agli accumuli intende gestire al meglio le produzioni non programmabili, aumentando l'autoconsumo.

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Se la rivoluzione delle rinnovabili vorrà dimostrare di non essere solo un sogno utopistico dovrà dimostrare di poter soddisfare le esigenze non tanto delle abitazioni o dei trasporti, quanto dell’industria, i cui consumi sono spesso pari a quelli di migliaia di famiglie per impianto e molto più continui nel tempo. Nel mondo si iniziano a vedere alcuni iniziali tentativi, come per esempio quello della Volkswagen, che accanto al suo nuovo stabilimento in Tennessee ha costruito un impianto fotovoltaico da 10 MW. Ma anche quello produrrà solo il 12% dell’energia necessaria alla fabbrica in piena attività e, naturalmente, solo quando c’è il sole.

Per trovare un esperimento in grado di alimentare un’intera attività industriale con energia rinnovabile prodotta localmente, non c’è bisogno però di andare troppo lontano. Basta recarsi a Rosora, fra Fabriano e Ancona, dove dal 2008 la Loccioni, una società che crea soluzioni per migliorare processi e prodotti industriali, ha intrapreso una strada del tutto originale alla sostenibilità, chiamata Leaf Community.

“Fin da quando ho cominciato a lavorare come elettricista nel 1968 – spiega il fondatore, Enrico Loccioni – impiantando pompe per l’acqua corrente in fattorie dove non si era mai vista, ho sempre cercato di risolvere i problemi, che spesso lo stesso cliente non sapeva di avere, con il meglio che la tecnologia avesse da offrire”.

Da allora Loccioni di strada ne ha fatta tanta: la sua azienda è diventata uno dei leader mondiali nella consulenza industriale ad alta tecnologia, con 350 dipendenti che lavorano per i colossi dell’automobile, dell’energia, del biomedicale e degli elettrodomestici, fatturando 60 milioni annui in 40 paesi diversi, e continuando, nella crisi che attanaglia l’Europa, ad assumere.

Il modello di relazioni industriali, basato sulla responsabilizzazione e autonomia concessa ai lavoratori del gruppo (33 anni di età media, quasi la metà laureati) nel cercare occasioni di lavoro e risolvere i problemi dei clienti, il forte investimento nella ricerca (5% del fatturato), il radicamento nel territorio, con centinaia di studenti che vengono a fare stage e ricevono borse di studio dall’azienda, la costruzione di una rete di fornitori locali e la promozione a decine di start up di ex dipendenti, ha fatto parlare, con le debite proporzioni, di «nuovo modello Olivetti», con l’aggiunta, per aggiornarlo al XXI secolo, del concetto di sostenibilità.

“Ma non ho inventato nulla, ho sempre solo cercato di applicare all’impresa i valori, come la solidarietà o il legame con il territorio, del mondo agricolo da cui provengo. Anche per la Leaf Community mi sono ispirato ai valori contadini della parsimonia e dell’uso intelligente delle risorse locali, per tentare di risolvere i problemi di impatto ambientale dell’industria, e migliorando nel frattempo anche la qualità della vita della comunità che l’industria ospita”, dice Loccioni.

Dopo aver cominciato negli anni ‘90, ottimizzando illuminazione e climatizzazione degli edifici lavorativi con tecniche di domotica allora di frontiera, dal 2008, Loccioni investe nel progetto Leaf Community (Leaf come foglia, ma anche Life Energy and Future), il cui primo tassello è la Leaf House, una foresteria di sei appartamenti dove illuminazione, elettrodomestici e climatizzazione funzionano a energia solare (19,5 kWp), mentre una selva di sensori tiene d’occhio ogni fattore di produzione e consumo.

Poi sono arrivati la Leaf School, un edificio scolastico alimentato da 39 kWp di pannelli solari, e gli impianti di Leaf Energy, che producono il surplus di energia per coprire i consumi dell’azienda: 980 kWp fotovoltaici (1.306 MWh di produzione nel 2012) sul fianco di una collina, altri impianti solari più piccoli montati sui tetti dei due capannoni e, infine, un impianto idroelettrico ad acqua corrente da 36 kW. Quest’ultimo impianto, installato in un canale, con due coclee, di cui una progettata alla Loccioni, produce 170 MWh l’anno, con un fattore di capacità di oltre 4700 ore.

In totale la produzione del 2012, 1.840 MWh, è stata di molto superiore a quanto il gruppo Loccioni abbia consumato, 1.430 MWh, anche se il 78% di questa energia, ceduta alla rete con il meccanismo del Ritiro Dedicato, non è stata destinata direttamente all’autoconsumo.

Tutto il sistema energetico viene supervisionato dalla Leaf Farm, una fattoria restaurata, dove lavora un gruppo di ricercatori che studia sensori e sistemi di controllo remoto, in grado di monitorare e regolare i flussi energetici fra rete Enel, produzione autonoma e consumi, in una sorta di smart grid ante litteram, autocostruita.  

Il primo loro prodotto è stato il Leaf Meter, un computer da parete con touch screen, che, tramite una rete di sensori, raccoglie tutte le informazioni energetiche di un edificio, e consente di controllare i consumi in tempo reale e intervenire in remoto su luci, elettrodomestici e climatizzazione dell’edificio.

Il «work in progress» della Leaf Community viene visitato ogni anno da 8000 persone da tutto il mondo, curiosi, ricercatori, giornalisti, studenti, concorrenti e, naturalmente, possibili clienti, diventando così non solo la concretizzazione dei valori in cui crede Loccioni, ma anche un astuto investimento in promozione, uno showroom di molte delle soluzioni tecnologiche offerte dalla Loccioni e una fonte di valore aggiunto ambientale, che dà ulteriore prestigio all’azienda.

Ma questo, per Enrico Loccioni, è solo l’aperitivo. “Con quello che abbiamo fatto finora, non riusciamo ancora ad autoprodurci tutta l’energia che consumiamo, e dato che usiamo come fonti acqua corrente e sole, non possiamo produrre tutto quello che ci serve, quando ci serve. Abbiamo picchi di consumo che dobbiamo immettere in rete e momenti in cui l’energia autoprodotta è insufficiente. Dobbiamo andare oltre”.

Così ora Loccioni, per gestire meglio le produzioni non programmabili delle fonti rinnovabili, si è associata con Samsung ed Enel per la prova e commercializzazione di sistemi di accumulo elettrico massivo, cominciando con installarne due basati su batterie al litio da 5,5 kWh l’una, alla Leaf House, portando così l’utilizzo diretto dell’energia solare all’80%. In seguito arriverà un gruppo, grande come un container, da 250 kWh di capacità, per gli usi industriali.

Ma non basta ancora. Spiega Loccioni: “Con un accordo con Comune, Provincia e Regione, abbiamo ripulito e rimesso nel letto originale, a nostre spese, i due chilometri più vicini ai nostri impianti del corso del fiume Esino, abbandonati a loro stessi da decenni. Gli enti pubblici potranno ora costruire una pista ciclabile, giardini e zone balneari lungo gli argini, riconsegnando il fiume alla popolazione e creando posti di lavoro. E noi, oltre a rendere più sicura dalle alluvioni la nostra azienda, possiamo adesso realizzare lungo il fiume altre due centrali idroelettriche ad acqua corrente per ulteriori 85 kW, mentre, con il materiale vegetale recuperato durante la pulizia, potremo alimentare per anni una centrale a biomasse, così da fornire ulteriore calore ed elettricità per i nostri consumi. Quanto risparmieremo in metano, finirà in un fondo destinato a mantenere il territorio lungo il fiume pulito e in ordine».

Le centrali lungo l’Esino intercettano una minima parte della portata del fiume, fornendo un’energia molto economica e continua (anche se con variazioni stagionali), a impatto ambientale quasi nullo. È una soluzione, che nel territorio italiano, ricco di acque e di dislivelli, potrebbe essere molto di più imitata.

Infine, entro il 2015, si aggiungerà un altro impianto fotovoltaico da 250 kW. Tutta questa energia da sole, biomasse e acque porterà la quota di autoproduzione della Loccioni al 60% entro la fine del 2015, mentre la loro nuova sede, in costruzione sull’altra sponda dell’Esino, diventerà il primo edificio industriale in Italia, e forse nel mondo, ad essere alimentato completamente da un mix di energie rinnovabili, sostenibili e, soprattutto, a chilometri zero.

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