Come migliorare il fotovoltaico con la fantasia degli ingegneri

Anche in un settore consolidato come il fotovoltaico sono possibili miglioramenti ingegneristici. Occorre cercare il miglior compromesso possibile tra le prestazioni, i costi e la sicurezza. Si può prendere spunto dal Cile, dove in un impianto realizzato in grid parity almeno i tre quarti del flusso di cassa sono impegnati a produrre energia verde.

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Le scadenze dei generosi incentivi sul fotovoltaico e la rigidità delle procedure per acquisire le necessarie autorizzazioni hanno costretto in passato gran parte dei promotori europei di progetti fotovoltaici a puntare sulla rapidità della realizzazione e della messa in esercizio, anziché sviluppare la progettazione in modo che ottimizzasse le prestazioni degli impianti: una maggiore flessibilità del processo autorizzativo avrebbe consentito di adeguare gli impianti realizzati all’evoluzione della tecnologia e alla rapida erosione dei costi dei pannelli, con un beneficio quantificabile in almeno 3TWh/anno. L’1% della produzione lorda italiana, che avrebbe implicato la riduzione di 150 milioni di euro all’anno per l’importazione di combustibili fossili.

All’università ci insegnavano che il lavoro dell’ingegnere non era quello di applicare un manuale, bensì la progettazione di manufatti e impianti che ottenessero il miglior compromesso possibile tra le prestazioni, i costi e la sicurezza. Con disprezzo i nostri professori biasimavano l’innata tendenza di usare formule standard come una prerogativa dei geometri, e non degli ingegneri. Nella mia vita professionale ho conosciuto geometri che invece ragionavano da ingegneri, cercando sempre le soluzioni ottimali. Ma, ammetto, di recente nel settore dell’energia rinnovabile ho visto molti sedicenti ingegneri applicare acriticamente manuali e norme senza sforzarsi di valutare alternative progettuali. Non credo sia un problema di università: piuttosto, il settore è infestato da speculatori finanziari, attratti dalla generosità degli incentivi e dalla prevedibilità del mercato elettrico che giustamente affida alle rinnovabili priorità di dispacciamento.

Salvo rare eccezioni, le aziende produttrici da fonti rinnovabili sorte negli ultimi cinque anni sono gestite alla stregua di partecipazioni finanziarie, l’esercizio operativo è affidato a fornitori, la relazione con le comunità locali che ospitano gli impianti sono regolate da convenzioni che stabiliscono le royaltees, la struttura del capitale vincolata a prescrizioni imposte da istituti che assegnano il rischio impianto per impianto anziché avere una matura valutazione del rischio di portafoglio; gli azionisti non sono mai stati sugli impianti e, anzi, le proprietà passano di mano con allarmante frequenza. Il risultato: raramente gli operatori nazionali, che pure hanno goduto di un impressionante sviluppo nell’ultimo quinquennio, e che nel 2011 hanno costituito un terzo del mercato mondiale, sanno essere competitivi all’estero. Una evidente eccezione è Enel Green Power, che non a caso ha puntato su competenze tecniche specifiche (per esempio nel settore della geotermia) per acquisire quote di mercato in America Latina con prospettive di crescita e redditività particolarmente vantaggiose.

Cervelli italiani

Cosa può fare il comparto delle rinnovabili italiane per recuperare competitività e per sfruttare l’abbrivio di un quinquennio esaltante? Anziché piangere sulla riduzione degli incentivi o su improbabili barriere doganali (per un mercato estinto), le aziende italiane dovrebbero puntare sulla naturale predisposizione dei propri ingegneri a ottenere prestazioni elevate e soluzioni geniali. Puntare sul cervello degli ingegneri anziché aspettare eventuali supporti politici; in fondo continuare a fare ciò che l’Italia ha sempre saputo fare meglio di chiunque altro.

Partiamo da alcuni esempi, senza farci deprimere dal fatto che si può prendere ispirazione anche dai concorrenti. Quando ho incominciato a occuparmi di solare, nel 2008 in Spagna, ho negoziato acquisti di decine di MW di pannelli (allora erano quantità di tutto rispetto) a $ 4,3/W. Allora realizzare un impianto da 1MW chiavi in mano costava a noi, progettazione e infrastrutture incluse, $ 6,1/W: i pannelli fotovoltaici rappresentavano due terzi del costo totale. Oggi un impianto analogo costa $ 2/W, i pannelli meno di 70 centesimi di dollaro, un terzo del totale.
Con variazioni così significative della struttura di costo degli impianti, solo uno sprovveduto potrebbe pensare che le modalità di progettazione di un impianto fotovoltaico oggi possano essere le stesse di cinque anni fa. Eppure è proprio ciò che succede, anche per le rigidità delle norme sulle licenze e sugli incentivi, che fanno riferimento (in Italia) alla potenza nominale della somma dei pannelli.

Ripensare gli impianti

Tutti coloro che si occupano di fotovoltaico sanno che le prestazioni effettive dei pannelli dipendono dalla temperatura, dall’angolo di incidenza dell’irradiazione solare diretta e dalle caratteristiche dell’irradiazione indiretta: quindi un pannello produce effettivamente l’energia nominale solo in condizioni ottimali, che possono accadere qualche ora nell’arco di un anno. Per il resto un pannello genera a una frazione della potenza nominale. Peraltro, la capacità decade con il tempo, per cui un pannello che è stato installato cinque anni prima ha probabilmente perso il 5% della capacità nominale. Considerando la difficoltà nell’ottenere la connessione con la rete e la ridotta incidenza del costo dei pannelli oggi, è pertanto possibile ripensare la struttura degli impianti in modo che la somma della potenza dei pannelli sia assai maggiore della potenza ammessa a connessione, in modo che anche nelle prime ore del mattino, oppure quando la temperature ambientale è eccessiva o manca la ventilazione, e ancora negli anni seguenti al primo, l’impianto continui a fornire il massimo consentito dalla connessione. Anche a costo dell’auto limitazione che l’inverter impone il primo anno durante le pochissime ore nelle quali la generazione effettiva dei pannelli supererebbe la potenza ammessa in rete.

Da un punto di vista del costo di generazione dell’energia il beneficio è evidentemente illustrato nella figura 1, relativa a una centrale da 30MW nominali che Element Power Solar sta realizzando nel deserto di Atacama, in Cile: con un rapporto DC/AC attorno a 1,3 si ha il minor costo di generazione. Si noti che in quell’area del Cile il prezzo di mercato di energia è superiore al costo di generazione da impianti solari, per cui questi ultimi si trovano già a operare in condizioni di user-parity. Per chiarezza, in Italia la conversione degli impianti già installati per prendere vantaggio da un maggiore rapporto AC/DC richiederebbe un’estensione del sito, una nuova autorizzazione, non sarebbe ammessa dalle norme italiane, le banche che hanno finanziato quegli impianti dovrebbero eseguire una nuova due diligence e difficilmente accetterebbero di rifinanziare l’upgrading, nonostante questo porterebbe evidenti benefici economici.

Capacità d’analisi

Quando acquistiamo un’automobile sappiamo molto bene quanto consuma il modello che abbiamo scelto. Quando ero un giovane progettista eravamo in grado di stabilire le prestazioni a diverse condizioni d’esercizio delle celle a combustibile da fornire alla NASA con un’approssimazione di un decimo di kW su 40kW di potenza nominale. Gli ingegneri sono in grado di prevedere le prestazioni, hanno studiato per saperlo fare. Allora perchè, nonostante l’abbondanza di dati disponibili sulle prestazioni effettive di ciascuna tipologia di pannello, per ciascun fornitore, con specifici processi produttivi per il silicio e le celle, gran parte dei negoziati per le forniture di centinaia di MW avvengono nel pieno disprezzo delle implicazioni sulla producibilità di ciascuna tecnologia, in ciascuna specifica condizione di irraggiamento? Mancano gli ingegneri? Le statistiche non sono disponibili? Le lingue come l’inglese e il tedesco sono barriere che impediscono di leggere i rapporti e gli aggiornamenti su riviste scientifiche?

Analisi sul campo

L’irraggiamento misurato in situ con adeguate procedure spesso si discosta in maniera rilevante rispetto alle informazioni genericamente ottenibili da banche dati in uso negli Stati Uniti da operatori del settore. Certamente le banche dati possono essere utilissime per analisi preliminari in sede di ricerca di siti adeguati a installare centrali solari. Ma, nell’esperienza di Element Power Solar, per consentire ai progettisti di sviluppare progetti ottimali è determinante disporre di misure meteorologiche sperimentali: nella nostra esperienza la producibilità reale di un sito si può discostare da quella teoricamente deducibile anche del 5-10%, in meno o in più. Le ragioni sono in parte riconducibili alla ventilazione e al microclima, ma anche ai codici di simulazione dell’energia rifratta che vengono applicati alle misure satellitari, che tendono ad associare la rifrazione dovuta alle nuvole (quindi irraggiamento che non raggiunge il suolo) con quella delle aree desertiche (che invece raggiunge il suolo). Element Power Solar dispone di 14 stazioni meteo installate nei principali siti dove intendiamo realizzare impianti. In alcuni casi le misure, che poi vengono correlate ai dati statistici di lungo periodo, hanno comportato sostanziali modifiche delle configurazioni tecniche proposte, o anche l’abbandono di progetti apparentemente redditizi.

Inseguire il Sole

Il dispacciamento e la fornitura di energia sono tecniche assai complesse, e gli operatori hanno precise responsabilità per garantire affidabilità e qualità di esercizio. L’energia consumata durante le ore di picco, che nei Paesi di clima temperato e con economia avanzata spesso coincidono con le ore più calde, quando le centrali termoelettriche sono meno efficienti, comportano un costo di produzione maggiore rispetto all’energia consumata nelle ore vuote. Southern California Edison (SCE) durante l’estate paga l’energia di picco tre volte quanto paga l’energia fornita dai generatori nelle ore vuote. La curva riportata in figura 2 (apri pop up,ndr) illustra il concetto (time of the day parameter). In genere l’energia solare ha un picco proprio nelle ore di maggior valore, ma questo è di scarso valore per SCE in quanto un pannello fisso montato in maniera ottimale contribuirebbe solo per poche ore al picco, rendendo comunque necessario per SCE tenere disponibile capacità di picco per compensare la mancata produzione solare.

Diverso è lo scenario se l’impianto solare ha un elevato rapporto DC/AC o ancora meglio se utilizza inseguitori monoassiali che catturano il massimo dell’irraggiamento durante le ore di maggior domanda (figura 3, sotto): in quel caso l’impianto solare diventa un efficace sistema di gestione del carico e un prezioso alleato dei dispacciatori.

Quanti degli impianti italiani hanno inseguitori? Ricordo la pessima reputazione degli inseguitori montati in Spagna, ma ricordo anche la natura di quelle tecnologie improvvisate rispetto alle alternative oggi diffuse nel mondo. Nel 2009 un nostro fornitore non sapeva risolvere un semplice problema di vibrazioni, ma allora appresi con orrore che l’azienda non aveva nemmeno un ingegnere in grado di compiere un semplice calcolo di stress analisis, ovvio che i loro inseguitori avessero evidenti problemi di natura meccanica! Non capisco però come mai tanti nostalgici italiani continuino a guardare con sospetto tecnologie ormai consolidate: forse si tratta di una pericolosa epidemia di apatia tecnologica che colpisce inspiegabilmente i brillanti ingegneri nostrani.

Estero non sempre è bello

All’estero è sempre meglio che in Italia? Nella mia esperienza no, tutt’altro! Si prenda il curioso mercato delle rinnovabili americano. Se in Europa le politiche di incentivazione delle rinnovabili sono nate dall’esigenza strategica di diversificare le fonti energetiche e di rispondere alla crescente sensibilità ambientalista, in America gli incentivi sono nati prevalentemente per motivazioni economiche. La conseguenza è che tax credit e la normative dei singoli Stati riducono le imposte delle grandi Corporation, aiutano gli operatori di rete a finanziare potenziamenti comunque necessari, favoriscono i proprietari terrieri e alimentano un nutrito nucleo di advisor, avvocati e consulenti bancari che raramente sanno distinguere un pannello fotovoltaico da un pannello solare termico, anche perchè non ne hanno mai visto uno. La conseguenza di tutto ciò è che meno del 60% del beneficio generato da un progetto fotovoltaico in California è riconducibile al valore economico dell’energia che produce. Il resto dei flussi di cassa va a remunerare proprietari terrieri, istituti finanziari, consulenti e, ovviamente, il fisco. Per contrasto, in un progetto di simili dimensioni in Cile, realizzato in condizioni di grid parity, almeno tre quarti del flusso di cassa sono impegnati a produrre energia verde (figura 4, sotto). Non c’è in inglese l’equivalente del nostro proverbio “mal comune, mezzo gaudio” ma io so che è un obbligo etico di chi opera in questo settore combattere l’apatia dovunque la si incontri, in Italia come in USA.

L’articolo è stato pubblicato con il titolo “L’apatia dell’ingegnere” (pdf) sul n.4/2012 della rivista bimestrale QualEnergia.

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