Un anno da Fukushima: l’incidente farà più morti dello tsunami

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A un anno dall'incidente nella centrale giapponese è ancora impossibile quantificare i danni alla salute, all'ambiente e all'economia. Quanti moriranno a causa delle radiazioni lo sapremo forse solo fra decenni. Intanto il nucleare a livello mondiale è in crisi: una fonte avviata allo spegnimento ci dice Massimo Scalia, intervistato da Qualenergia.it.

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L’11 marzo 2011 lo tsunami devastava le coste giapponesi e alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi il sistema di raffreddamento smetteva di funzionare portando all’incidente nucleare. Mentre l’anniversario si avvicina siamo andati a parlare con Massimo Scalia esperto di nucleare, ordinario di Fisica all’Università La Sapienza di Roma e tra i personaggi più attivi della battaglia italiana contro l’atomo dagli anni ’80 ad oggi.

Scalia, adun anno di distanza, si può tentare un bilancio dei danni dell’incidente di Fukushima?

Sono ancora in corso operazioni di decontaminazione per cui è ancora difficile fare una stima. Considerando solo la parte ingegneristica dell’impianto, ricordiamo che l’incidente di Three Miles Island è costato 2 miliardi di dollari e si trattava di un solo reattore, qui ce ne sono 4 che sono andati tutti in fusione. Credo che nemmeno la Tepco abbia un bilancio attuale. Ma i danni ovviamente vanno ben oltre l’impianto: basti pensare che sono state evacuate 200mila persone e un milione sono state interessate direttamente dalla contaminazione.

Quali sono stati i settori dell’economia più colpiti nella regione?

La domanda è ottimista: l’incidente ha avuto rilevanza nazionale per quel che riguarda l’economia giapponese e mondiale per quel che riguarda il danno ambientale, tracce di radioattività da Fukushima sono state infatti rilevate fino alla costa occidentale americana. A livello di economia giapponese credo che nemmeno il Governo giapponese abbia ancora calcolato i danni. Si pensi al grosso buco energetico lasciato dal nucleare, dato che ora sono in funzione solo 2-3 centrali su 52. Si pensi poi all’agricoltura e alla pesca: per mesi le acque sono state contaminate e c’è stato anche un allarme sui pesci pescati in quella zona. Ma il danno più grave è quello sulle persone …

Un danno anche questo le cui dimensioni si potranno conoscere solo tra qualche decennio. Ci sono delle stime indicative?

Già poco dopo l’incidente fummo facili profeti nel dire che, nell’arco di 30 anni, le vittime da radioattività dovuta all’incidente nucleare avrebbero superato quelle dello tsunami. Le circa 20mila morti provocate dallo tsunami fanno impressione perché sono arrivate tutte assieme ma, sulla base dei quantitativi di radioattività emessi, si può dire che certo negli anni a venire qualche migliaio di morti in più rispetto alla mortalità media del Paese saranno dovuti all’incidente. E non solo nell’area di Fukushima: molti hanno dimenticato che è stato ritrovato iodio radioattivo anche negli acquedotti di Tokio e verdura radioattiva a più di 200 km dalla centrale.

A freddo come si può valutare la gestione dell’incidente da parte di Tepco?

È stata semplicemente vergognosa. La Tepco è stata reticente quando non ha mentito spudoratamente. Ad esempio, si è ritardato al massimo il raffreddamento con l’acqua di mare dei reattori, per paura di mettere a rischio una futura operatività degli stessi. Inoltre in continuazione sono stati forniti dati molto più ottimistici rispetto a quello che stava realmente succedendo: per esempio si negava il fatto che i reattori stessero fondendo. Questo ha di conseguenza ritardato le procedure di evacuazione. C’è stata una gestione pessima dell’informazione, ma questo in materia di incidenti nucleari non è certo una novità, basti ricordare che ai tempi di Chernobyl la stampa francese ignorò per più di una settimana l’incidente. Segretezza e verticismo sono caratteristiche intrinseche dell’industria nucleare.

L’incidente è stato un duro colpo per la reputazione del nucleare.

La stessa IAEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, ha definito l’incidente di Fukushima una catastrofe globale al pari di Chernobyl, utilizzando la scala INES, creata se non ricordo male nell’89. C’è da chiedersi se, qualora si fosse ammessa la possibilità di una catastrofe di scala globale fin dagli esordi della tecnologia, il nucleare avrebbe avuto lo sviluppo che ha avuto negli anni 60-70, da un megatep nel ’60 a 146 megatep nel ’73. Sembrerebbe difficile. Lo sviluppo ci fu perché allora vigeva il dogma della sicurezza nucleare: si pensava che neanche un briciolo di radioattività potesse uscire dalla centrale.

Le nuove generazioni di reattori potranno colmare le lacune sulla sicurezza che l’incidente ha reso evidenti?

La quarta generazione è ancora in una fase di ricerca e sviluppo. La stessa cosiddetta ‘terza generazione’ avanzata è praticamente allo stadio di prototipi, dato che sono solo 3 al mondo i reattori che si stanno costruendo con questa tecnologia, quella francese dell’EPR. Questi reattori non portano miglioramenti significativi a livello di sicurezza; non è stato raggiunto il livello della sicurezza intrinseca, che si era promesso già negli anni ’80 nel dibattito sul nucleare, cioè il fatto che il reattore sia progettato in modo che, per leggi fisiche, in caso di incidente sia in grado di spegnersi da solo, senza bisogno di interventi esterni, per quanto automatizzati.

L’incidente ha fatto rivedere a diversi Stati, tra cui il nostro, i propri programmi sull’atomo. Come vede il futuro del nucleare ora?

La IEA (Internation Energy Agency, ndr) già nel 2001 stimava un declino per il decennio, visto che nel 2000 solo il 3% della nuova potenza installata era venuta dall’atomo. In realtà questo declino è stato peggiore del previsto dato che negli anni successivi si è installato meno nucleare che nel 2000. La previsione è che il nucleare si vada a spegnere tra il 2050 e il 2060. Fra 3 anni, nel 2015, 91 reattori su un parco di circa 440 avranno superato l’età critica di 40 anni e di sicuro nei prossimi 3 anni non entreranno in funzione 91 nuovi reattori. Dopo Fukushima la propensione dei Governi ad assumersi la responsabilità di allungare la vita dei reattori oltre i 40 anni è cambiata, si veda il caso della Germania. Si tenga conto che la vita media dei 123 reattori chiusi fino al 2009 è stata di 22 anni.

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