Confindustria punta sull’efficienza energetica

Un dettagliato e voluminoso rapporto analizza le proposte per un piano straordinario per l'efficienza energetica fino al 2020 per il nostro paese. Il potenziale risparmio è di oltre 86 Mtep, con una riduzione di emissioni di oltre 207,6 milioni di tonnellate di CO2. Un impatto sull'economia di circa 238 miliardi di euro e una crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di addetti. Ma allora a cosa serve il nucleare tanto agognato da Confindustria?

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Sono almeno 400.000 le aziende italiane coinvolte a vario titolo nel settore dell’efficienza energetica, dai produttori di componenti per l’edilizia ai costruttori di motori elettrici, dal settore automotive agli elettrodomestici, dalla piccola cogenerazione al settore dell’illuminazione. Oltre 1 milioni di addetti! A fornire questa fotografia è la Confindustria, che giovedì scorso ha presentato un rapporto con le sue proposte per un Piano Straordinario di Efficienza Energetica 2010. Un lavoro che procede da alcuni anni e che oggi è chiaramente rivolto al Governo, sperando che possa capire la forza di questo volano per l’economia e l’occupazione.

Un Governo che purtroppo sembra distante e distratto da questo tipo di azioni, mancando di un ministro per lo Sviluppo Economico da quasi 5 mesi, senza un vero piano industriale da proporre e nemmeno intenzionato a volere reintrodurre la detrazione fiscale del 55%, uno strumento a saldo positivo o nullo per le casse erariali che sta avendo un buon successo. La stessa presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha dimostrato una certa freddezza nei confronti dell’esecutivo, fino a dichiarare che la “pazienza sta ormai finendo”.
Resta questa proposta, poderosa e per molti versi molto innovativa, anche se spesso, crediamo erroneamente, viene messa in alternativa allo sviluppo delle fonti rinnovabili, perché meno costosa, almeno nel breve periodo.

Ma veniamo al contenuto del documento. Per Confindustria grazie ad una corretta politica di incentivazione dell’efficienza energetica si potrebbe ottenere un risparmio potenziale di energia fossile di oltre 86 Mtep nel periodo 2010-2020, con una conseguente riduzione di emissioni di CO2 pari ad oltre 207,6 milioni di tonnellate. Va tenuto presente che la previsione del consumo finale lordo al 2020, secondo diversi scenari e piani di efficienza energetica nazionale, oggi è stimata da 145,6 a 133 Mtep.

Sempre nello stesso periodo una simile strategia, accompagnata da una serie politica industriale, attiverebbe circa 130 miliardi di euro di investimenti e avrebbe un impatto sull’intera economia di circa 238 miliardi di euro, con crescita occupazionale totale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard. Dati che dovrebbero far riflettere qualsiasi responsabile del settore economico di un governo di un paese industrializzato, specialmente in questa acuta fase di crisi.

Il costo netto per gli incentivi in termini di esborso per lo Stato sarebbe di circa 16,7 miliardi di euro in 10 anni. E’ un questo concetto molto evidenziato dallo studio, o meglio piano strategico, che valuta come un aumento della domanda di beni ad alta efficienza energetica produca determinati effetti sul bilancio dello Stato, in particolare sui flussi delle entrate tributarie. Dunque viene stimato il contributo pubblico sotto forma di incentivo al consumo di beni ad alta efficienza energetica, la maggiore IVA derivante dall’aumento delle vendite di beni, l’aumento dell’IRPEF per una maggiore occupazione dovuta ad una sviluppo dei settori industriali, l’IRES e l’IRAP per i maggiori redditi dell’industria legata all’efficienza energetica, la riduzione di accise e IVA a causa di minori consumi di energia elettrica e gas.

La spesa statale, del tutto accettabile alla luce dell’impatto socio-economico sopra citato, è anche utile al raggiungimento degli obiettivi vincolanti per l’Italia del 20-20-20.
Infatti la Task Force Efficienza Energetica di Confindustria ha valutato che il taglio delle emissioni di 207,6 Mt CO2, consentirebbe un risparmio economico per il costo evitato della CO2 di circa 5,2 miliardi di euro (costo della CO2 al 2020 stimato in 25 Euro/t).

Considerando quindi un onere netto per il bilancio dello Stato di 16,7 miliardi di euro e un impatto economico positivo sul sistema energetico (valorizzazione economica dell’energia risparmiata e della CO2 non emessa) pari a 30,8 miliardi di euro, si può dedurre che l’impatto economico complessivo per il sistema paese è molto positivo e cioè pari a 14,1 miliardi di euro (vedi grafico Confindustria).

Il lavoro, corredato anche da due allegati tecnici, sebbene limitato negli aspetti dedicati agli strumenti da attuare, è piuttosto voluminoso e molto dettagliato nella sua analisi costi-benefici che si è concentrata su numerosi settori industriali e diverse tecnologie:
1. Trasporti su gomma (automobili e veicoli commerciali leggeri)
2. Motori elettrici ed inverter
3. Illuminazione nell’industria, nel terziario e illuminazione pubblica
4. Riqualificazione edilizia nel settore residenziale e terziario
5. Impianti di climatizzazione (caldaie a condensazione e pompe di calore)
6. Elettrodomestici (apparecchi domestici di refrigerazione, lavaggio e cottura: frigoriferi, congelatori, lavatrici, lavastoviglie, forni, pompe di calore per acqua calda sanitaria, caminetti e stufe a biomassa, condizionatori portatili)
7. Sistemi UPS (gruppi statici di continuità)
8. Cogenerazione
9. Rifasamento

Secondo Confindustria i settori più promettenti in termini di risultati di risparmio di energia primaria sono l’illuminazione pubblica e privata (18,2 Mtep), la cogenerazione (12,6 Mtep), i trasporti su gomma (12 Mtep), le pompe di calore (11,7 Mtep), gli elettrodomestici (10,8 Mtep), la riqualificazione energetica dell’edilizia residenziale (8,8 Mtep), i motori elettrici e gli inverter (5,5 Mtep), le caldaie a condensazione (4,9 Mtep) e i sistemi UPS (1,5 Mtep).
Sempre dal punto di vista settoriale, l’impatto in termini di produzione sarebbe più favorevole per il comparto dei trasporti (+43 miliardi di euro), mentre quello dell’edilizia, caratterizzato da un’elevata intensità di utilizzo del fattore lavoro, sarebbe più avvantaggiato sotto il profilo occupazionale (+407mila unità aggiuntive).

Alla luce di questo interessantissimo studio, del suo impatto sul comparto industriale sia per quanto concerne la produzione di tecnologie e prodotti sia per i vantaggi in termini di energia risparmiata e di bollette meno salate, e ancora, dell’impatto positivo sull’economia e anche sui consumi di energia elettrica, ci chiediamo un po’ ingenuamente: a cosa servirebbe spingere ancora per il nucleare? Sarebbe utile allora che Confindustria chiarisse meglio la sua visione di politica energetica nazionale, visto che oggi è, o dovrebbe essere, uno dei referenti privilegiato del governo.

 

 

 

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