Rifiuti nucleari, nessuna soluzione

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La Commissione europea presenta al Parlamento una soluzione del problema scorie nucleari sulla base di un documento del Joint Research Centre e dell'Igd-Tp: lo stoccaggio in depositi profondi è la soluzione più appropriata. Un rapporto commissionato da Greenpeace punta a contestare queste valutazioni e riporta dati noti in letteratura che escludono la possibilità di una sicura soluzione del problema dei rifiuti radioattivi.

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Greenpeace ha consegnato ieri al Parlamento europeo quattro campioni di scorie radioattive in due container sigillati con cemento e piombo. I campioni di materiale radioattivo provengono tutti da località contaminate, ma aperte al pubblico. Alla vigilia della presentazione della direttiva sulla gestione delle scorie nucleari proposta dalla Commissione europea, Greenpeace ricorda ai parlamentari che “non ci sono soluzioni e che l’unica opzione valida è di non produrre rifiuti nucleari”.

Per l’associazione finora non esiste un sito, in nessuna parte del mondo, che si è dimostrato all’altezza di questo compito: un deposito in sicurezza per materiale (variamente confinato) che presenta rischi sanitari e ambientali per un arco di tempo stimabile nelle decine o nelle centinaia di migliaia di anni.
La ricerca di un deposito in sicurezza ha dominato gli sforzi economici e di ricerca della lobby nucleare negli ultimi 30 anni, da quando cioè si sono chiuse le porte per la semplice, economica e devastante pratica dello smaltimento in mare delle scorie radioattive.

La soluzione proposta dalla Commissione europea da presentare al Parlamento è stata realizzata sulla base di documenti del Joint Research Centre (Jrc di Ispra) e dello European implementing geological disposal technology platform (Igd-Tp).

In sintesi, il documento (pdf), finanziato dall’Euratom, sostiene che “lo stoccaggio in depositi profondi è la soluzione più appropriata per smaltire combustibile nucleare esaurito, scorie altamente contaminate e altre scorie radioattive a lunga vita” e che questa conclusione è sostenuta dal rapporto 2009 del JCR che afferma che “la nostra comprensione dei processi principali per lo smaltimento geologico si è sviluppata abbastanza da procedere con una realizzazione graduale. Insomma, si dà il via libera allo stoccaggio sicuro, tanto che la DG Ricerca della Commissione ha accettato questi pareri.

Secondo Greenpeace invece “questi studi ignorano le informazioni scientifiche e i diversi punti critici sull’effettiva sicurezza dei depositi di scorie radioattive di profondità“. L’associazione ha quindi presentato un rapporto tecnico, dal titolo “Rock Solid?”, elaborato da GeneWatch, che smentisce le ottimistiche previsioni della Commissione.

In questo rapporto si mettono in luce le numerose lacune nella conoscenza in materia di depositi geologici. Diversi sono i problemi, noti in letteratura, e gli incidenti di vario genere che potrebbero portare a rilasci di sostanze radioattive nelle falde acquifere o in mare, e per secoli.
La letteratura scientifica identifica alcune cause come le più probabili per questa contaminazione:




  • corrosione accelerata dei sistemi di contenimento


  • sviluppo di gas o surriscaldamento con cedimento della camera di stoccaggio


  • reazioni chimiche inattese


  • incertezze sulle caratteristiche geologiche (falde, ecc.) del sito 


  • future ere glaciali 


  • terremoti 


  • interferenze umane

Per Greenpeace, inoltre, non è detto che gli eventuali, futuri reattori nucleari producano tipologie di rifiuti equivalenti a quelli attuali, con simili problemi di gestione: ciò costituisce un ulteriore fattore di incertezza (ignorato, come gli altri, dalla Commissione). Il rapporto dell’associazione conferma che i modelli computerizzati oggi sono sempre più sofisticati. Tuttavia, essi non sono ancora in grado di render conto dei numerosi fattori (termici, meccanici, microbici, chimici, geologici) che possono svilupparsi in questi depositi a lunghissimo termine.

Infine, va detto che la proposta della Commissione europea presentata al Parlamento ignora del tutto la tipologia di scorie “consegnate” ieri da Greenpeace. Come detto, si tratta di scorie disperse “all’aria aperta”, che non sono classificate come rifiuti radioattivi poiché provengono da attività minerarie o da emissioni autorizzate, ma se raccolti e messi in un contenitore, gli stessi materiali devono essere classificati come “rifiuti pericolosi” e immagazzinati in sicurezza per secoli o millenni. Fra l’altro l’industria nucleare non ha idea di come trattare questo tipo di scorie e le ha spesso disperse indiscriminatamente per meri interessi economici.

Per i residui radioattivi derivati dal combustibile delle centrali o dai resti contaminati delle centrali dismesse, “l’industria spera di poterle gettare sotto il tappeto, seppellendole nei depositi sotterranei”, dice Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Negli Usa “hanno rinunciato al deposito ‘geologico’ dopo aver speso 9 miliardi di dollari in 15 anni e anche in Germania hanno fallito e dovranno spostare le scorie dal deposito di Asse con miliardi di euro di costi aggiuntivi”, denuncia il responsabile dell’associazione. Insomma, “fallita l’opzione di buttarle a mare – conclude Onufrio – hanno già provato a seppellire le scorie sottoterra. I risultati sono stati fallimentari: non bastano rapporti di istituzioni compiacenti per cancellare la realtà“.

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