Transizione ecosolidale: serve un ministero, adesso

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Il tema della connessione tra ambiente e diseguaglianze sociali è assente dalle trattative per quello che si autodefinisce «il governo del cambiamento». Serve un ministero ad hoc sull'esempio della Francia. Un intervento di Marco Morosini, docente di politiche ambientali al Politecnico di Zurigo.

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Chi sta preparando il nuovo governo farebbe bene a dare alta priorità alle due maggiori urgenze che ci minacciano e che sono due facce della stessa medaglia: l’accelerazione della crescita delle disuguaglianze e la distruzione ambientale.

Preoccupa che questo tema – perché, insisto, di uno stesso tema si tratta – non sia neppure evocato tra i primi punti programmatici dei principali partiti e, soprattutto, che sia assente dalle trattative per quello che si autodefinisce «il governo del cambiamento».

Il cambiamento più urgente e improrogabile è, come scrive papa Francesco nella ‘Laudato si’’ «una certa decrescita in alcune parti del mondo, procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti».

Infatti, «il ritmo di consumo, spreco e alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta avvenendo in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio – conclude Francescodipende da ciò che facciamo ora » (entrambe le citazioni sono tratte dal punto 193 dell’enciclica).

Ciò che facciamo ora, già. È proprio ora, in questi giorni, che qui in Italia «il governo del cambiamento» può dimostrare di essere all’altezza del suo slogan fondativo. Come? Con un Ministero della transizione ecologica e solidale come in Francia. Il presidente Macron ne ha fatto uno dei due Ministeri più importanti, i due soli diretti da un Ministre d’État (una sorta di vice primo ministro). 

L’altro Ministre d’État è quello dell’Interno. Questo indica che, proprio in un Paese martoriato dal terrorismo, l’emergenza socioecologica (nazionale e mondiale) è considerata altrettanto importante dell’emergenza securitaria. Sarebbe importante, perciò, se anche in Italia si facesse dell’assegnazione di questo nuovo ministero una priorità nelle trattative di governo e se si arrivasse alla nomina di un ministro con ampi poteri, scegliendo una persona di alto profilo che abbia competenza e riconoscimento internazionali sul tema della transizione ecologica e solidale.

Oltralpe, Macron è riuscito in quello che avevano tentato invano ben tre altri presidenti: ha convinto a diventare ministro Nicola Hulot, il più rispettato ecologista francese, quel monsieur Environnement (il signor Ambiente) che in Francia più incarna il legame tra ecologia e giustizia sociale.

Forse Hulot riuscirà a cambiare di poco il corso di cose che hanno un’inerzia enorme, eppure, egli ha già un grande merito: aver abbinato alla parola ‘ecologia‘ l’aggettivo ‘solidale‘: Ministero della transizione ecologica e solidale. 

La Presidenza e il Governo francesi hanno così affermato al massimo livello istituzionale il concetto che l’ingiustizia sociale e la degradazione ambientale sono due facce della stessa medaglia. Gli uni (persone e nazioni) degradano l’ambiente perché sono troppo poveri per potersene prendere cura. Gli altri (persone e nazioni) degradano l’ambiente perché sono troppo ricchi per ridurre i loro insostenibili consumi.

È impensabile di risolvere la questione socio-ambientale senza mettere mano a entrambi questi eccessi. Studi scientifici, rapporti e libri (per esempio ‘Social-écologie‘, di Eloi Laurent) documentano e affermano questo legame. Eppure, quasi nessun Governo ne sta tenendo conto. Sarà capace di farlo il prossimo «governo del cambiamento»?

Secondo un’ipotesi formulata molto prima della crisi ambientale e della globalizzazione, l’homo oeconomicus sarebbe mosso più dal proprio interesse che dalla solidarietà per gli altri. Anche per l’ homo oeconomicus più incallito, però, ridurre oggi gli eccessi non solo della povertà ma anche della ricchezza è diventato necessario, se egli vuole preservare il proprio benessere da crisi economiche, ecologiche e politiche.

Non solo il Papa, infatti, ma anche l’Ocse, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e le agenzie dell’Onu per il commercio, per lo sviluppo e per l’ambiente, ammoniscono che la continua crescita delle disuguaglianze nelle nazioni e nel mondo è una delle maggiori minacce per l’integrità ecologica, il progresso socioeconomico, la stabilità politica e la democrazia.

Basti pensare ai molteplici legami che ci sono tra il nostro consumo di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), lo sconvolgimento del clima, le siccità e le inondazioni, e le decine (forse presto centinaia) di milioni di profughi climatici. Molti di costoro approdano sulle nostre coste. Ma non basteranno cannoniere, muri e filo spinato per risolvere il problema. 

Dobbiamo noi stessi smettere di essere il problema, come scrive Francesco: «Il dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investimenti esteri» (Ls 178.). Ma dobbiamo convincerci che «rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo» (Ls 191).

In Italia, sulla carta, c’è un’occasione utile. I due partiti che preparano ‘il governo del cambiamento’ saranno all’altezza? Uno, il M5s, ha radici ecologiche ventennali e ha voluto fondarsi proprio il 4 ottobre, giorno di san Francesco d’Assisi, perché si dice ‘francescano’. L’altro, la Lega, è il più votato partito al mondo tra quelli che hanno il ‘verde’ come simbolo. Che cosa aspettano?

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