Il metodo scientifico, questo sconosciuto

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Il caso Elastic Energy, parte due: la trasmissione dell’elettricità fino a decine di km di distanza. Abbiamo, come promesso, ripreso la vicenda, con l'occasione di nuove dimostrazioni annunciate su un'isoletta del Lago Maggiore. Un esempio di ciò che non va fatto se si vuole dimostrare la validità di un'invenzione.

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Ecco la puntata numero due della storia di come il laureato in filosofia Marco Santarelli, stia portando avanti la dimostrazione della «scoperta del secolo» in campo energetico: “Elastic Energy”, la trasmissione dell’elettricità promessa fino a decine di chilometri di distanza, usando, ovviamente, un’invenzione di Tesla dimenticata dalla scienza ufficiale, ma evitando i metodi di presentazione e verifica delle novità scientifiche, adottati da secoli.

Avevamo lasciato Santarelli quasi un anno fa (vedi QualEnergia.it) dopo aver «dimostrato» (senza nessun ricercatore indipendente a verificare) la sua invenzione in Abruzzo. Ci aspettavamo che avrebbe speso questi mesi a scrivere pubblicazioni scientifiche a supporto, se non addirittura a costruire trasmettitori e ricevitori per rivoluzionare il settore dell’energia.

Invece, scopriamo adesso, che si è imbarcato in una strana impresa su un’isoletta del Lago Maggiore, in cui, fra le cento cose diverse che vorrebbe fare sul posto, c’è anche, en passant, un’altra “dimostrazione” pubblica di Elastic Energy. Stavolta, spiega, accenderà a distanza un lampione, invece di una lampadina.

Naturalmente lo abbiamo di nuovo contattato per capire questi nuovi sviluppi, ma ha preteso solo domande scritte: con QualEnergia.it non parla più perché, a differenza di altre testate, anche prestigiose, non abbiamo accettato acriticamente tutto ciò che racconta: dalla “sede di Londra” (in realtà un semplice recapito di agenzia) del suo “Istituto di ricerca Res on Network”, fino alla collaborazione con prestigiosi istituti scientifici (che in genere cadono dalle nuvole quando vengono a saperlo).

Le risposte che ha dato Santarelli variano dall’incomprensibile allo scarsamente utile a fare chiarezza. Tuttavia, “per correttezza”, il lettore che voglia leggerle per intero le trova QUI (pdf); in questo articolo ne riporteremo solo alcune parti.

A giugno 2017 Santarelli ci aveva promesso che avrebbe fatto a settembre dei test di Elastic Energy in un laboratorio sotto il controllo del fisico Ruggero Vaia, dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR. Ma poi non c’è stata nessuna prova e la nebulosa spiegazione a tal riguardo sembrerebbe indicare che il ricercatore si sia tirato indietro.

Questa invece la versione di Vaia: «Avevo subito chiarito a Santarelli che, prima di fare qualsiasi prova, avevo bisogno del testo tecnico-scientifico che egli aveva promesso di fornire per chiarire che cosa stavamo andando a provare; a suo dire si trattava di un articolo che stava preparando per la pubblicazione. Dopo aver atteso invano la bozza, e dopo che Santarelli mi comunicò che avrebbe rimandato la prova almeno fino a novembre, gli ho posto il fine luglio come data ultima per ricevere il testo. Di nuovo, non mi ha mandato nulla, e allora ho preferito rinunciare, per non tirare avanti la cosa per mesi, e rischiare magari di veder indicati, in qualche loro comunicato, me e il mio Istituto come “collaboratori” di Res on Network».

Dopo il mancato test, Res on Network è sparito dai radar per un po’, per poi riapparire a marzo: Santarelli, con l’ingegner Giuseppe Pittari (di cui ci piacerebbe potervi dire di più, ma su internet non si trova quasi niente su di lui) che non ha rispettato gli appuntamenti telefonici che ci aveva dato per un’intervista, e un altro collaboratore, era andato persino alle Svalbard a testare Elastic Energy.

Perché andare in remote isole artiche, quando il mondo pullula di laboratori, in cui si possono fare test di ogni tipo, anche simulando varie condizioni climatiche? Non è chiaro.

Comunque il comunicato stampa dell’evento dice che Santarelli e colleghi hanno incontrato i ricercatori del prestigioso The University Centre in Svalbard (Unis) e che «nel corso di una giornata di studi dedicata alla comprensione dei reciproci studi, i ricercatori dei due istituti hanno discusso i potenziali sviluppi».

Purtroppo il fondamentale esperimento alle Svalbard sembra non essere andato troppo bene perché «a ridosso del Polo Nord, la temperatura molto bassa e il contesto in cui si manifesta rallentano il flusso della trasmissione dell’energia all’interno di ogni dispositivo», qualunque cosa questo significhi.

Visto che il comunicato non chiarisce molto cosa abbiano fatto in quelle remote isole norvegesi, abbiamo chiesto lumi al direttore degli studi artici dell’Unis Arne Aalberg, che ne saprà qualcosa, vista la lunga discussione «sui rispettivi studi» fra lui e Santarelli e soci.

Aalberg ci ha confermato di aver incontrato i tre italiani, ma solo per meno di un’ora, durante la quale gli ha fatto fare il consueto giro turistico della struttura che si fa con tutti i visitatori. «Purtroppo – dice Aalberg – i rappresentanti del centro di ricerca internazionale Res on Network, parlavano un inglese rudimentale, e, in mancanza di un traduttore, non c’è stato modo di fare molta conversazione, tantomeno stabilire reciproche collaborazioni».

Questo dello spendere nomi di seri istituti scientifici, come se avessero qualcosa a che fare con le iniziative di Santarelli, è un vizietto che sembra non passare: la scorsa volta era successo a ricercatori di Cnr e Enea, di essere arruolati senza saperlo nelle iniziative di Res on Network; stavolta è toccato all’Unis e non solo.

Alla fine del comunicato sulle Svalbard si dice che la successiva iniziativa sul Lago Maggiore, di cui parleremo fra un attimo, si svolgerà «in collaborazione con l’Università di Tor Vergata». Peccato che l’Università di Tor Vergata non ne sapesse nulla di stare collaborando con loro, e li abbia subito diffidati dall’usare ancora il loro nome.

E veniamo allora alla nuova «dimostrazione» di Elastic Energy, che verrà tenuta, al solito, non in un laboratorio, non sia mai…, ma sull’Isola dei Pescatori, un isolotto del Lago Maggiore, abitato da 50 persone.

Perché lì? «Visto che i nostri progetti si incentrano su concetti di rete, l’isola si è prestata con il suo nome a essere un laboratorio». Non si capisce, sono lì perché i pescatori usano le reti? 

Ci consola il fatto, però, che le ragioni della loro presenza sfuggano anche al Comune di Stresa, che gli ha dato il permesso di operare nell’isola.

«Non sappiamo chi sia Res On Network e perché siano venuti qui a fare i loro studi, ma visto che sembravano persone serie e non volevano soldi dal Comune, gli abbiamo concesso di fare le loro prove», ci dice Albino Scarinzi, assessore all’ambiente della giunta comunale di Stresa, aggiungendo di non aver ritenuto necessario chiedere a un qualche ricercatore universitario di valutare la serietà dei progetti di Res on Network.

Un po’ ingenui, all’amministrazione di Stresa? A loro scusante, bisogna dire, che in effetti capire cosa voglia fare Res On Network lì non è proprio facile.

Questo infatti è quello che si legge nel loro comunicato: «Il progetto Isola delle Reti (…) punta a una riduzione dei consumi, dei costi e della vulnerabilità del sistema, attraverso la razionalizzazione dei processi produttivi e dei comportamenti, l’ottimizzazione delle risorse, la pianificazione del consumo energetico, l’ottimizzazione delle forniture e l’implementazione di piani di efficientamento energetico (…) raccoglieremo dati sul flusso marittimo e turistico in bassa e alta stagione, identificando e simulando scientificamente come potrebbero e dovrebbero essere organizzati gli spostamenti in caso di normalità e in presenza di emergenza o crisi (…) analizzeranno i rischi (maremoti, terremoti, smottamenti, cedimenti strutturali, incendi) a cui potrebbero essere soggette l’isola e le sue infrastrutture, elaborando scenari di intervento in caso di emergenze. Particolare attenzione sarà data al rischio idrogeologico e alla prevenzione dell’erosione costiera (…) sperimenteremo sull’Isola dei Pescatori ElasticEnergy».

E meno male che alla fine ci si è ricordati anche dell’invenzione rivoluzionaria.

Insomma, un programma di ricerca che farebbe tremare i polsi, e i bilanci, a Enea, Cnr e Ispra messi insieme, ma che Res On Network porterà avanti in appena 3-8 mesi e solo con «fondi propri».

A quale fine? Res on Network spera che la ricerca porti alla «produzione di alcune tecnologie che aiutano l’isola dei pescatori»; aiutino in cosa non è chiaro, ma pare che si punti a vendere qualcosa agli abitanti del luogo o all’amministrazione, a meno non le offrano gratis.

Comunque a QualEnergia.it interessano, ovviamente i temi energetici, e apprendiamo con sorpresa che oltre alla già notevole invenzione dell’Elastic Energy, a questo giro Santarelli, con la collaborazione di Pittari, ha tirato fuori dal cappello un altro coniglio: «il lampione no power (…) che non ha bisogno di energia in arrivo dall’esterno e che non deve essere acceso o spento, prendendo energia dall’ambiente circostante e ad esso reagisce. Il lampione che sperimenteremo utilizza diverse tecnologie (…) per esempio sarà in grado di trasdurre l’energia termica ambientale in energia elettrica e allo stesso tempo sfrutterà le correnti aree (…) avrà un sistema di accumulo che gli permetterà di immagazzinare senza cavi, né batterie. Il sistema punta a fornire energia elettrica in maniera totalmente gratuita per l’isola».

Fantastico… se solo ci si capisse qualcosa. Abbiamo chiesto a Res on Network di illuminarci e questa è stata la loro criptica risposta, che smentisce però il loro stesso comunicato.

«Non è stata letta bene la nostra nota (pare che anche altri abbiano equivocato, sostenendo che produrrà addirittura fino a 17 MWh di corrente, ndr). Il lampione è una conseguenza dell’energia senza fili. Non si tratta di produzione. Il lampione è dotato di sensoristica che permette di adattarsi ai ritmi ambientali secondo i suoi principi per accensione e spegnimento. L’energia da termica diventa elettrica. Ma la produzione avviene con il moto ondoso. Il lampione in sé e per sé riesce anche ad accumulare senza batterie un quantitativo di energia che permette, soprattutto in casi di emergenza, e quindi per il bene della comunità, di far accendere la lampadina e avere un primo soccorso».

Pare di capire che si tratti quindi di un banale lampione che si accenderà da solo quando fa buio e in caso di emergenza, come fanno già milioni di punti luce nel mondo; ma non produrrà elettricità, facendo invece da ricevitore all’elettricità senza fili via Elastic Energy. Insomma in Abruzzo hanno acceso a distanza una lampadina, ora accenderanno un lampione. In cosa questo differenzi le due esperienze e faccia progredire la tecnologia, non lo spiegano.

E restano anche da capire un altro paio di miracolose caratteristiche dell’oggetto, come la «trasduzione di energia termica in elettrica», alla faccia del secondo principio della termodinamica, e l’«accumulo di elettricità senza fili e senza batterie». 

Ma forse la più miracolosa di tutte è l’annuncio che l’elettricità per il lampione verrà «prodotta dal moto ondoso», visto che se c’è un luogo dove di onde ce ne sono poche, questi sono i laghi del Nord Italia, stretti e incassati fra le montagne.

Forse Res On Network vuole coprire di boe l’intero lago Maggiore per spremere un po’ di energia dalle sue ondine? Ma no, c’è sotto un altro colpo di genio: «Useremo le onde prodotte dai natanti».

Ah ecco, questo sì che farà la differenza e permetterà di produrre da 1 fino a 17 kWh, “quando serve di più”, come promesso. Basterà convincere i possessori di barche a motore del lago Maggiore a girare vorticosamente intorno all’isola dei Pescatori, per alimentare il lampione?

Insomma, ad ogni passo la nebbia intorno alle iniziative e intenzioni di Res On Network si infittisce, prendendo anche toni surreali, che potrebbero far sorridere se non fosse che ci sono Amministrazioni Pubbliche e organi di stampa (per fortuna stavolta pochi e solo locali, a differenza di quanto era accaduto in Abruzzo) che accettano tutto quello che dicono, senza fare un minimo di verifiche.

E, in particolare, resta del tutto oscuro perché, invece di concentrarsi sull’invenzione principale, potenzialmente rivoluzionaria, perfezionandola in laboratorio e esponendola poi alle verifiche di ricercatori indipendenti, insistano con strane dimostrazioni pubbliche, disperse in una nube di altre iniziative di minore interesse e potenziale innovativo.

Avevamo però, un’ultima, ingenua, speranza, che questo ulteriore contatto con Res On Network ci chiarisse una buona volta almeno il funzionamento di Elastic Energy, cosa rimasta incompresa dopo la precedente intervista.

Allora avemmo il sospetto che si trattasse di una trasformazione di elettricità in luce (quindi fotoni), tramite laser, e poi di nuovo in elettricità: una cosa ben conosciuta, ma non applicata vista la bassissima efficienza. Ma Santarelli ci assicurò che non era così: si trattava proprio di trasmissione di elettricità a lunga distanza fra delle bobine.

Ma questo tipo di trasmissione per induzione è regolato dalle leggi di Maxwell, che ci dicono che, a meno di costruire avvolgimenti grandi come case, non è possibile trasmettere elettricità oltre pochi decimetri di distanza.

Questa la nuova spiegazione di Res on Network su Elastic Energy, e improvvisamente risaltano fuori i fotoni .

«Abbiamo già detto che si tratta di leggi legate alla risonanza reciproca. Ovvero un trasmettitore prevede un ricevitore, che a sua volta, amplifica il segnale e lo ridonda attraverso le onde con lo stesso flusso. Questo fa sì che (…) la capacità dell’energia attraversa l’aria e si genera un principio fotonico. Tale principio fotonico forma come una “galleria preferenziale” per arrivare dall’altro lato del ricevitore».

Secondo noi, più confuso di prima. Non chiarisce molto neanche quanto Pittari scrive in un suo commento: «Il modello classico della conduzione elettrica (…) dovrà essere aggiornato con il modello quantico. A partire dagli studi di Einstein, i fotoni stanno permettendo a questi studi di fare importanti passi avanti (…) i fotoni ci aiuteranno nella trasmissione di energia a distanza senza conduttori in senso classico».

Allarghiamo le braccia, ammettendo la nostra incapacità di comprendere di cosa stiano parlando. Ma forse il fisico Vaia lo avrà capito.

«Certo che l’ho capito: è un puro non senso, come dire “Il lonfo non vaterca né gluisce e molto raramente barigatta”. Si tratta del tipico miscuglio di parole pseudoscientifiche messe a caso, destinate a impressionare chi non capisce nulla di scienza, ma che suscitano fastidio e diffidenza in chi ne sa. È un linguaggio che non serve a chiarire, ma a confondere ancora di più le acque, e che in genere rivela solo o la confusione mentale di chi lo usa o la volontà di ingannare gli altri o tutte due le cose insieme».

Comunque, anche se non spiegano nulla, adesso Res on Network, rinnova a QualEnergia.it l’offerta di organizzare una prova controllata di Elastic Energy in un istituto di ricerca, mostrando la consueta modestia: «Si farà la prova dopo aver visto il loro protocollo, se la cosa funziona a quel punto saremo noi a chiedere un posto importante all’interno dell’istituto».

Li ringraziamo, ma decliniamo l’offerta: per farci un’idea della serietà della cosa è bastata la “non prova” dell’anno scorso.

Ma se vogliono fare una prova in condizioni controllate, invece di strane iniziative al polo nord e in mezzo ai laghi, non hanno bisogno di noi: possono chiedere a ricercatori preparati di una qualsiasi università o Istituto di ricerca, tipo Cnr, Enea, Infn, di assisterli; gli costerà meno delle tante cose parallele che vorrebbero fare a Stresa e, se la loro invenzione si dimostrasse valida, avrebbero una legittimazione, che, al momento, pare allontanarsi da loro sempre di più.

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