Carbone: spirale discendente, ma il peso complessivo resta elevato

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Dati e tendenze sull’andamento globale di questa fonte fossile. Si riduce il numero di centrali costruite e molti progetti sono fermi, però la potenza complessivamente installata nel carbone continua a salire leggermente. Intorno al 2022 la capacità dismessa supererà quella dei nuovi impianti entrati in funzione.

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Nel mondo si progettano e costruiscono sempre meno centrali a carbone, mentre si dismettono quelle più vecchie, perché il boom delle fonti rinnovabili a costi competitivi sta mettendo in difficoltà la generazione elettrica con i combustibili fossili.

Secondo il nuovo rapporto diffuso dalla campagna EndCoal, che a sua volta riunisce decine di organizzazioni, tra cui Greenpeace e Sierra Club, la capacità globale installata nel carbone inizierà a calare intorno al 2022, quando la potenza ritirata dal mercato supererà quella dei nuovi impianti entrati in attività nei vari paesi.

Intanto, evidenzia il documento Boom and Bust 2018: Tracking the Global Coal Plant Pipeline (allegato in fondo all’articolo), le centrali a carbone completate in un anno sono diminuite del 28% nel confronto tra gennaio 2017 e lo stesso mese del 2018, come riassume la tabella seguente.

La riduzione è ancora più marcata nel paragone 2016-2018 (-34%).

Allo stesso modo, gli impianti di cui è iniziata la costruzione nei dodici mesi precedenti, a gennaio 2018 erano il 29% in meno rispetto alla rilevazione di gennaio 2017, si parla infatti di quasi 46 GW contro 65 GW.

Anche la nuova potenza annunciata da governi e utility è in discesa: poco più di 174 GW all’inizio di quest’anno, contro 248 GW dodici mesi prima (-29%).

La potenza cumulativa in funzione però è leggermente salita, +2% anno-su-anno.

Dalla metà degli anni duemila, prosegue il rapporto, è aumentata la tendenza a dismettere unità a carbone, come chiarisce il grafico sotto. Nel periodo 2015-2017, ad esempio, hanno smesso di funzionare impianti per un totale di circa 94 GW, con il picco massimo storico di ritiri registrato nel 2015.

Stati Uniti, Cina e Gran Bretagna – i link riportano agli approfondimenti di QualEnergia.it sui rispettivi mix energetici – sono i paesi che hanno eliminato il maggior numero di centrali “sporche” negli ultimi tre anni. Molti sono anche i progetti congelati in diverse aree geografiche.

L’India, si legge nel rapporto, che tra 2006 e 2017 ha aggiunto 152 GW di carbone, per la prima volta lo scorso anno ha installato più capacità rinnovabile che nuova potenza termoelettrica.

Gli investitori privati stanno abbandonando questo combustibile fossile, difatti ci sono oltre 17 GW di stabilimenti a carbone il cui sviluppo è stato bloccato per mancanza di fondi.

Tuttavia, segnala il documento, le emissioni totali di CO2 stimate per la vita media delle centrali fossili esistenti, in costruzione e già pianificate – in quest’ultimo caso, assumendo che sarà realizzato il 34% dei progetti – sforeranno ampiamente il carbon budget compatibile con gli obiettivi sanciti dagli accordi internazionali sul clima, che prevedono di contenere il surriscaldamento terrestre a +1,5/+2 gradi centigradi, vedi il grafico sotto (i numeri sono espressi in Gt).

Intanto, venendo all’Italia, Assocarboni dopo aver ricordato gli ultimi dati mondiali sull’impiego di questa risorsa (vedi anche la nostra sintesi dei nuovi grafici IEA sul mix globale delle fonti), ha criticato lo scenario delineato dalla Strategia energetica nazionale (SEN), con la preventivata chiusura di tutti gli impianti a carbone entro il 2025.

L’associazione continua a battere sui noti argomenti pro-fossili, in particolare la presunta necessità di mantenere in funzione quegli impianti, perché il loro eventuale phase-out, si legge in una recente nota, “non porterà alcun beneficio alla riduzione dei cambiamenti climatici, in quanto le emissioni di CO2 delle centrali a carbone italiane rappresentano lo 0,0004% delle emissioni mondiali”.

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