Niente blackout in un mondo 100% a fonti rinnovabili

Attraverso l'uso di modelli matematici i ricercatori Jacobson e Delucchi hanno simulato la domanda di elettricità e l'offerta da rinnovabili per 20 aree del mondo in condizioni meteo realistiche e per un periodo di tempo che va dal 2050 al 2054 e per brevissimi intervalli temporali. Analizzati tre scenari di accumulo.

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Diciamoci la verità, anche il più convinto e fanatico assertore della necessità di passare a un sistema energetico che funzioni al 100% con rinnovabili ha un dubbio nascosto: che si fa se per un lungo periodo di tempo il cielo fosse coperto da nubi, affondando l’energia solare, e non soffiasse un alito di vento, mettendo fuori gioco quelle eolica? Non è che ci si ritroverebbe tutti al buio?

In genere, questo considerazione viene accantonata parlando di interconnessioni fra nazioni, pompaggio idroelettrico, installazione di batterie o produzione di idrogeno, ma la scala della sfida è tale che il tarlo “ma ce la possiamo fare veramente a evitare blackout diffusi contando solo, o quasi, su vento e sole?” resta. Basti pensare che solo l’Italia consuma circa 1 TWh di elettricità ogni giorno e ha riserve nel pompaggio idro pari a 8 GWh, cioè lo 0,8% del necessario.

Questa preoccupazione evidentemente tormentava anche due campioni della ricerca sulle rinnovabili come Mark Z. Jacobson, ingegnere ambientale della Stanford University, e il suo collega Mark Delucchi, dell’Università della California a Berkeley, che da molti anni esplorano la possibilità di un mondo che vada tutto a fonti rinnovabili.

Dopo aver elaborato piani per la rivoluzione energetica negli Usa e in altri singoli Stati, nel 2015 i due hanno esteso la loro ricerca a 139 paesi del mondo, dimostrando con modelli matematici come in tutti si potessero raggiungere il 100% di rinnovabili (ma senza biomasse, perché per i due ricercatori, sono ambientalmente insostenibili), a costi competitivi e con le tecnologie esistenti, anche prima della metà del secolo.

Ma quella mastodontica ricerca fu bombardata da critiche, in quanto i due ingegneri, secondo molti, si erano limitati ad ammassare turbine su turbine, pannelli su pannelli, sorvolando troppo su come fare a rendere programmabile in ogni situazione meteorologica quella enorme quantità di elettricità intermittente, limitandosi a prevedere una gigantesca, e per molti irrealistica, crescita degli impianti di pompaggio idroelettrici o per l’accumulo di calore o di freddo, in depositi sotterranei.

Punti sul vivo, Jacobson e Delucchi, hanno allora speso gli ultimi tre anni in una nuova, anche questa, monumentale ricerca che spiega come si possa rendere programmabili i sistemi ad energia rinnovabile intermittente, negli stessi 139 paesi della ricerca precedente.

Lo studio, apparso sulla rivista Renewable Energy, è a pagamento, ma in rete se ne trova una bozza completa.

L’approccio seguito dai due ricercatori è simile ai loro precedenti studi: con modelli matematici hanno simulato sia la domanda di energia che condizioni meteo realistiche, per un periodo di tempo che va dal 2050 al 2054, ottenendo così delle curve, con intervalli anche solo di 30 secondi, sia della richiesta totale di energia, che della produzione da solare ed eolico.

La differenza, positiva o negativa, fra le due curve crea uno scenario realistico per valutare quanta energia occorra, al netto delle fonti rinnovabili programmabili, come idro o geotermia, immagazzinare o rilasciare dagli stoccaggi nel corso di quel quinquennio, per assicurare, in ogni momento, quella necessaria al funzionamento della società.

A questo punto sono stati usati tre scenari di accumulo, ognuno caratterizzato da un mix diverso di tecnologie:

  • nel “caso A” vengono usate batterie, accumulo termico da solare a concentrazione, accumulo di calore e di freddo nel sottosuolo e solo l’accumulo idroelettrico oggi esistente;
  • nel “caso B” le batterie vengono sostituite da un aumento dell’idroelettrico come accumulo;
  • nel “caso C” si usano le stesse fonti del caso A, ma invece di accumulo di calore e freddo nel sottosuolo, si utilizzano per la climatizzazione solo pompe di calore ad aria e geotermiche.

Per rendere le condizioni ancora più realistiche, e anche fattibili, le 139 nazioni considerate separatamente nella ricerca del 2015, ora sono state raggruppate in 20 gruppi di Stati, all’interno dei quali ci si scambia elettricità su vasta scala, così da rendere meno complicata la copertura degli sbalzi di produzione da rinnovabili.

Inoltre, altro assunto importante, nel mondo immaginato da Jacobson e Delucchi, i consumi energetici globali sono ridotti rispetto a oggi di una quantità che va da un -42% a un -58% a secondo del mix di tecnologie ad alta efficienza usate, come trasporti elettrici e pompe di calore. Un risparmio aiutato anche dal fatto che, come ricorda lo stesso Jacobson, “l’eliminazione della gigantesca industria dei combustibili fossili, con i suoi aspetti minerari, di trasporto, di raffinazione e distribuzione, comporta di per sé una gran riduzione dei consumi energetici”.

Infine, altra cosa da tenere conto, i due ricercatori danno per scontato che una buona parte dei trasporti, per esempio aerei o marittimi, utilizzerà idrogeno come vettore: e questo è importante, perché la produzione di idrogeno su larga scala, fa di per sé da “tampone” agli eccessi di produzione dell’elettricità.

I risultati ottenuti facendo girare i modelli per le 20 regioni del mondo, mostrano che gli scenari A e B di accumulo riescono a soddisfare le loro esigenze di storage, evitando completamente il rischio di blackout, mentre nel caso C ci si riesce per 14 delle 20 regioni. Ovviamente, a secondo delle caratteristiche climatiche e di risorse locali, alcuni mix tecnologici funzionano localmente meglio di altri.

Per chi vuole conoscere i dettagli, alla fine dello studio ci sono decine di dettagliate tabelle che indicano i consumi previsti regione per regione, divisi nelle categorie trasporti, climatizzazione domestica, industria, agricoltura e pesca, con le relative combinazioni di fonti rinnovabili richieste, e sistemi di accumulo necessari per far fronte a ogni situazione meteo.

Per esempio, nel caso ottimale europeo (qui una scheda separata), Jacobson e Delucchi, prevedono al 2050, a fronte di una potenza idroelettrica di 160 GW, identica a quella attuale, 2.800 GW di eolico (oggi siamo a 143), 3.000 GW di fotovoltaico (oggi sono 97), 63 GW di solare a concentrazione (oggi sono 2) e 3 GW di geotermico (oggi siamo ad 1), oltre a grandi potenze di fonti oggi inesistenti, come 37 GW di energia da onde e 19 GW da maree. Altri 22 GW verrebbero dal calore geotermico e 153 dal calore solare.

Per rendere gestibile questo mix energetico pesantemente basato su fonti intermittenti, si prevedono 2,78 TWh di pompaggio idroelettrico, 1,43 TWh in solare a concentrazione, 1,94 TWh in batterie. A questo si aggiungono gli stoccaggi termici: 152 TWh come calore in rocce, 9 TWh come calore in riserve d’acqua e 1,1 come ghiaccio per il raffreddamento.

Ma il pezzo forte dell’accumulo sarebbero gli stessi impianti idroelettrici: secondo Jacobson e Delucchi, questi funzionerebbero in pratica solo come back up delle rinnovabili intermittenti, entrando in azione quando, a livello continentale, vento e sole non fossero sufficienti. La loro potenza di 160 GW è abbastanza grande da alimentare oggi 5 nazioni come l’Italia, mentre la capacità accumulata nei loro bacini è di 634 TWh, basterebbe per un paio di anni di consumi italiani attuali.

In pratica si estenderebbe al continente quanto fa già oggi la Danimarca, che “scarica” in Svezia gli eccessi della produzione eolica, fermando le locali centrali idro, e poi si riprende quell’energia dalle turbine idroelettriche svedesi, quando manca il vento.

Altre aree, per esempio Usa-Canada, userebbero invece di più il calore accumulato sottoterra, ben 597 TWh, cosa che farebbe ancora di più la Cina, 2.300 TWh di accumulo termico, oltre a sfruttare la sua enorme capacità idroelettrica (1.200 TWh).

«Basandomi su questi risultati – dice Jacobson – posso affermare con fiducia che non ci sono barriere tecniche o economiche per una transizione al 100% di rinnovabili, con il mantenimento della stabilità della rete e contando anche solo sulle tecnologie attuali».

Certo lo sforzo da fare sembra enorme: solo per l’area Europea prevedete una spesa di 13.000 miliardi di dollari, 29.000 per la Cina …

«In realtà sarebbe più costoso mantenere l’attuale dipendenza da combustibili fossili. L’energia, alla fine della transizione verso le rinnovabili, costerebbe più o meno quanto adesso, ma i consumi sarebbero ridotti circa della metà, con i risparmi conseguenti. Per non parlare del fatto che grazie alla transizione, elimineremmo almeno quattro dei sette milioni di morti annuali, e molte più malattie e invalidità, con i connessi cali di produttività, dovute all’inquinamento atmosferico, mentre ci incammineremmo sull’unica strada possibile per contenere il cambiamento climatico e i suoi conseguenti enormi costi. Basti pensare che solo eliminare il vapore, un potente gas serra emesso dalle attuali centrali elettriche a fossili, farebbe calare il riscaldamento globale del 3%», spiega Jacobson.

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