Il solare del futuro sarà con celle alla perovskite?
Ce lo chiediamo da anni, pubblicando ricerche, analisi e risultati dai laboratori di tutto il mondo che si concentrano su questo materiale, un composto organico-inorganico che consente di realizzare celle mille volte più sottili di quelle al silicio, rendendole quindi molto flessibili – al punto da poter essere inserite in tende o indumenti – e potenzialmente più efficienti.
Questa volta ad analizzare il materiale e le sue potenzialità sono il Politecnico di Milano insieme all’università di Cambridge, con uno studio pubblicato su Nature Communications.
I risultati dello studio in sintesi
Come sappiamo, quando la luce solare colpisce una cella fotovoltaica le particelle di luce (o fotoni), vengono convertite in elettroni. I ricercatori hanno misurato per quanto tempo gli elettroni prodotti mantengono i loro più alti livelli di energia (elettroni caldi) prima di scontrarsi e perderla.
Dopo che la luce è stata inizialmente assorbita dalla cella lo studio ha rivelato che gli eventi di collisione fra elettroni iniziano a verificarsi tra 10 e 100 milionesimi di miliardesimo di secondo (femtosecondi). Per massimizzare l’efficienza energetica, gli “elettroni caldi” devono essere raccolti entro questo brevissimo intervallo di tempo.
Ciò è reso possibile dalle celle di perovskite – spiega una nota di accompagnamento alla studio – perché sono talmente sottili che la distanza da percorrere per gli elettroni caldi è molto breve, portando il tasso di efficienza energetica al 30% (massima efficienza energetica che le celle solari possono realisticamente raggiungere).
Il metodo
I ricercatori si sono avvalsi del metodo sperimentale di spettroscopia ultrabreve, sviluppato presso CUSBO – la facility europea del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, parte del network Laserlab-Europe – dal team del Prof. Giulio Cerullo del Politecnico di Milano.
Il metodo – spiega una nota stampa – consiste nel simulare la luce solare illuminando con impulsi ultrabrevi di luce laser campioni di celle di perovskite di ioduro di piombo e nel misurare quanta luce viene assorbita dal campione da un impulso “sonda” ritardato nel tempo.
Una volta che gli elettroni si sono scontrati e rallentando hanno iniziato a occupare spazio nella cella campione, la quantità di luce assorbita sarà cambiata. Il tempo necessario perché cambi la luce assorbita dentro al campione di perovskite è stato utilizzato dai ricercatori per stabilire il tempo entro il quale si può estrarre gli elettroni ancora “caldi” e quindi ottenere la massima efficienza energetica dalla cella.
- Lo studio pubblicato su Nature Communications
Link utili