Assicurazioni, anche Lloyd’s vuole disinvestire dal carbone

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Il colosso inglese delle assicurazioni inizierà presto a tagliare i ponti finanziari con le imprese che investono nelle fossili. Aumenta la consapevolezza dei rischi ambientali associati a determinate attività, che potrebbero sfociare in perdite di profitti e fallimenti di aziende. Numeri e tendenze a livello globale.

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Sono sempre di più le banche e assicurazioni che decidono di ridurre o azzerare gli investimenti nelle fonti fossili: Lloyd’s, il colosso inglese dei mercati assicurativi, è uno degli ultimi nomi ad aver annunciato l’intenzione di uscire gradualmente dai settori più “sporchi” dell’economia globale.

L’impegno di attuare una politica di esclusione dal carbone (coal exclusion policy), dal 1° aprile 2018, era stato comunicato da Lloyd’s già lo scorso novembre.

Nel vertice del World Economic Forum (WEF) in corso a Davos, l’amministratore delegato del gruppo, Inga Beale, ha precisato che il settore assicurativo potrebbe fare di più per sostenere la transizione verso un’economia low carbon, ad esempio scegliendo investimenti più “sostenibili”.

Molti dettagli restano però da chiarire. In particolare, a quanto ammonterà il disinvestimento complessivo dai combustibili fossili? Quali saranno i criteri per individuare le società che puntano di più sul carbone (coal company) e, di conseguenza, per ammettere o rifiutare le richieste di assicurare i vari progetti?

Pochi giorni prima del vertice di Davos, il WEF ha presentato il nuovo rapporto sulle minacce per il sistema economico planetario (Global Risks Report, vedi QualEnergia.it), da cui emerge che i rischi ecologici sono quelli che preoccupano maggiormente le aziende di tutto il mondo.

Disastri naturali, eventi climatici estremi (tifoni, ondate di calore, siccità), surriscaldamento terrestre, collasso degli ecosistemi, aumento delle emissioni di gas serra.

Le incognite ambientali sono stabilmente in cima alla classifica della percezione del rischio elaborata dal WEF, con un cambiamento rilevante rispetto al periodo 2008-2010, quando gli investitori temevano soprattutto un eventuale crack delle borse, un’impennata dei prezzi petroliferi o un eccessivo rallentamento dei mercati emergenti.

A metà dicembre, la Banca Mondiale ha dichiarato che dal 2019 smetterà di finanziare progetti che riguardano l’estrazione e la produzione di gas e petrolio (vedi QualEnergia.it), introducendo anche una serie di misure per favorire l’economia verde, ad esempio la pubblicazione dei dati sulle emissioni di CO2 delle attività finanziate dalla banca e la definizione di regole comuni con cui rilanciare i green bond, le obbligazioni emesse per costruire impianti e infrastrutture a basso impatto ambientale.

Secondo un recente rapporto, curato da diverse associazioni ambientaliste della campagna Unfriend Coal (Disinvestire dai fossili, le assicurazioni iniziano a dire basta al carbone), quindici compagnie assicurative, soprattutto europee, tra cui Allianz, Aviva, Axa e Zurich, hanno iniziato a disinvestire in tutto o in parte dal carbone e a rifiutarsi di assicurare le imprese che operano nel settore.

Gasdotti, piattaforme estrattive offshore, oleodotti, centrali a carbone, miniere: entro alcuni anni potrebbero diventare stranded asset, beni “incagliati”, obsoleti e non più remunerativi, schiacciati dalla concorrenza delle tecnologie pulite, dai costi in declino per realizzare grandi impianti eolici e solari, dalle restrizioni sulle emissioni inquinanti (Il carbone in Ue? Un “morto vivente” nutrito a soldi pubblici).

Certo il cammino è ancora lungo, come sottolineava il rapporto, perché finora le assicurazioni hanno disinvestito circa 20 miliardi di dollari dall’economia fossile, una frazione minima dei beni complessivamente gestiti dagli istituti bancari a livello mondiale.

Ci sono ancora tante banche, tanti fondi assicurativi e pensionistici, soprattutto negli Stati Uniti e in Asia, molto esposti sui titoli azionari e obbligazionari che riguardano carbone, gas e petrolio.

Eppure, sono proprio queste banche e questi fondi che dovrebbero orientare gli investimenti verso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, rimarcava il documento di Unfriend Coal, perché hanno un ampio potere di condizionare l’andamento delle politiche industriali nel mondo.

Senza le coperture assicurative, infatti, qualsiasi progetto è destinato al fallimento. Il cosiddetto carbon risk diventa così un elemento cruciale nelle strategie di investimento di banche e assicurazioni, sempre più consapevoli dei problemi, anche molto gravi, in cui potrebbero incorrere senza una tempestiva gestione dei rischi ambientali.

Chiusure e fallimenti delle aziende fossili, ingenti perdite di profitti, pagamenti per le bonifiche ambientali dei siti dismessi, incremento delle tasse volte a limitare le emissioni di CO2 (carbon tax ad esempio), sono tutti fattori che potrebbero erodere i portafogli di chi sarà rimasto aggrappato ai comparti economici più tradizionali e inquinanti.

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