Importazioni di gas: l’Italia è “sicura” nei possibili scenari di rischio

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Dal documento elaborato dall’organizzazione che riunisce gli operatori europei di rete (ENTSOG), emergono conseguenze nulle o molto limitate in caso di future interruzioni degli approvvigionamenti da diverse aree geografiche. Allora conviene investire in nuove infrastrutture?

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La rete europea del gas, evidenzia un rapporto dell’organizzazione che riunisce gli operatori delle infrastrutture di trasmissione nei singoli paesi (ENTSOG, European Network of Transmission System Operators for Gas), sarebbe in grado di “rispondere” alla maggior parte degli scenari di rischio esaminati.

Nel documento (Security of Supply Simulation Report, allegato in basso), come previsto dalle norme europee sulla sicurezza degli approvvigionamenti di gas, entrate recentemente in vigore, ENTSOG ha simulato diverse interruzioni, totali o parziali, delle forniture di combustibile, per capire quali sono le aree geografiche maggiormente esposte alle eventuali riduzioni forzate dei consumi.

Gli scenari ipotizzati sono 17 e per ciascuno di essi, gli esperti hanno considerato i possibili impatti dei tagli ai flussi di gas in vari paesi, per differenti periodi: due mesi, due settimane, un solo giorno con una domanda di picco eccezionalmente elevata.

Molte le variabili analizzate, in particolare: importazioni via tubo da Russia, Norvegia, Algeria e Libia, approvvigionamenti di LNG con le navi metaniere, produzione di combustibile nei 28 Stati membri.

Emerge un quadro sostanzialmente rassicurante, con pochi e limitati casi di “sofferenza”: la Bulgaria è il paese più a rischio in assoluto, perché la sua rete è molto isolata, con pochissime interconnessioni a livello europeo. Quindi, se l’import di gas dall’Ucraina dovesse mancare, la Bulgaria non riuscirebbe più a coprire il suo fabbisogno interno di combustibile, con tagli fino al 70% della domanda nello scenario peggiore.

Vediamo due esempi focalizzati sull’Italia.

La mappa sotto riassume lo scenario con l’interruzione totale delle forniture per l’UE dall’Ucraina, per un paio di mesi. L’Italia, in questo caso, rientra nella zona verde sicura, dove non sarebbe necessario diminuire forzatamente la domanda, grazie al maggiore utilizzo degli stoccaggi e all’incremento dei flussi di gas attraverso la Bielorussia e il gasdotto Nord Stream.

Nessun problema, in linea di massima, per l’Italia, anche nelle altre ipotesi esaminate nello studio, compresa l’interruzione completa delle importazioni di combustibile algerino (gasdotto Transmed e forniture LNG dal paese nordafricano). Qualche minimo taglio, invece, potrebbe essere inevitabile nel nostro Paese in una giornata di consumi eccezionalmente elevati e assenza di gas dall’Algeria, come riassume la prossima mappa-simulazione.

Scorrendo il documento, in definitiva, è logico domandarsi se abbia senso investire ingenti risorse in nuovi progetti per potenziare-variare le forniture di gas, come indicato dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN) approvata nei giorni scorsi dal governo.

Lo scorso febbraio, il “no” del Friuli-Venezia Giulia all’idea di costruire un rigassificatore a Zaule, aveva riproposto alcuni dubbi: all’Italia servono realmente altre piattaforme LNG? Non conviene, invece, puntare maggiormente sulle misure di efficienza energetica per ridurre i consumi, oltre che sulla produzione nazionale di biometano da immettere in rete?

La realizzazione del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), con cui aprire quel “corridoio Sud” del gas che la stessa Europa ritiene fondamentale per aumentare la sicurezza energetica, allo stesso modo, è circondata da interrogativi: ci serve davvero? O diventerà un’opera fuori scala rispetto ai bisogni futuri di combustibile?

In sintesi, la partita si gioca in buona parte sul concetto di transizione energetica che l’Europa intende abbracciare nelle sue politiche post-2020 (vedi anche QualEnergia.it): il gas è un “combustibile ponte” indispensabile ancora per molti anni, o la sua percentuale nel mix delle fonti va progressivamente diminuita?

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