Geotermia: quale ruolo in Italia e dell’Italia nel mondo?

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In Italia la geotermia ad alta entalpia è ferma: abbiamo chiesto a Franco Terlizzese, del Ministero dello Sviluppo Economico, cosa intenda fare l’Italia per partecipare, sia direttamente, che attraverso le sue industrie nel mondo, a colmare l’enorme gap nell’uso di questa risorsa rinnovabile.

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La geotermia è un po’ la Bella Addormentata dell’elettricità rinnovabile italiana: nonostante le grandi potenzialità, da qualche decennio è caduta in un sonno quasi completo, che ha fatto si che il nostro Paese, il primo a usare al mondo questa fonte ben 100 anni fa, stia via via scendendo nella classifica delle nazioni che più usano l’energia del sottosuolo.

Ultima a sorpassarci la Nuova Zelanda: nel 2007 noi avevano 711 MW di geotermico installato, e i Kiwi 471, nel 2015 noi ci siamo trascinati fino a 814, mentre i neozelandesi hanno superato i 1000 MW, e oggi ci guardano dall’alto con il loro 15% di elettricità da geotermia, contro il nostro 2%

E nel tempo hanno sorpassato l’Italia anche Usa, Indonesia, Filippine e Messico, mentre ha messo la freccia pure l’Islanda, con i suoi 300mila abitanti.

Forse l’Italia ha esaurito tutte le risorse disponibili? Pare di no, secondo una stima del 2014 di Francesco Peduto, presidente dell’Ordine dei geologi della Campania, la sola area dei Campi Flegrei ed Ischia avrebbe un potenziale geotermico di 17 GW, come dire 20 volte l’attuale installato.

Una potenza che, visto il fattore di capacità geotermico di oltre il 90%, il più alto di tutte le fonti, si tradurrebbe in circa 130 TWh di produzione annua, come dire avere il 40% dei consumi italiani coperti con elettricità rinnovabile e programmabile.

Una stima più realistica delle possibilità la si può invece avere sommando la potenza dei nuovi progetti geotermici elettrici presentati dal 2010, anno della fine del monopolio Enel sul settore, al Ministero dello Sviluppo Economico: fossero realizzati tutti, entro pochi anni l’Italia raddoppierebbe la produzione elettrica da calore sotterraneo.

Ma al momento la realtà è che è praticamente tutto fermo: l’ultimo impianto inaugurato è stato, nel 2016, Bagnore 4 dell’Enel, 40 MW di aggiunta a una centrale sull’Amiata.

Questo il quadro che l’Italia presenterà lunedì 11 e martedì 12 settembre a Firenze (Palazzo Vecchio) al meeting della Global Geothermal Alliance, a cui parteciperanno oltre 200 esperti, fra cui i rappresentanti di 25 governi di paesi interessati al settore.

Un evento organizzato dal governo italiano e dai Ministeri degli Affari Esteri, Sviluppo Economico e Ambiente, assieme ad IRENA, Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, che intendono usarlo per accelerare lo sviluppo globale del settore, visto che secondo Adnan Amin, direttore generale di Irena, il 94% delle risorse geotermiche conosciute non è ancora sfruttato.

Abbiamo chiesto a Franco Terlizzese, Direttore Generale per la sicurezza, anche ambientale, delle attività minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico, cosa intenda fare l’Italia per partecipare, sia direttamente, che attraverso le sue industrie nel mondo, a colmare l’enorme gap nell’uso di questa risorsa rinnovabile.

Direttore Terlizzese, a cosa si deve questo sviluppo a passo di lumaca della nostra geotermia?

È una fonte che richiede una notevole complessità tecnica e risorse finanziarie molto consistenti: al confronto lo sviluppo di centrali eoliche e solari è banale. Ma questo, bisogna ammettere, vale anche per gli altri paesi, che invece corrono.

Evidentemente da noi ci sono altri fattori, come il fatto che le aree più ricche, quelle toscane, sono ancora largamente proprietà dell’ex monopolista Enel, che da noi mancano grandi player industriali disposti ad assumersi le spese e il rischio connaturati all’investimento in geotermia e, naturalmente, che essendo l’Italia un paese densamente abitato, le resistenze delle popolazioni locali a questi impianti sono molto forti.

Resistenze giustificate?

In gran parte no, non stiamo parlando di impianti come quelli degli anni ’60, che scaricavano i gas estratti da sottoterra in aria, ma di impianti moderni, di piccole dimensioni e con emissioni molto ridotte o addirittura nulle, che portano lavoro, il doppio del solare, a parità di potenza, risorse economiche e spesso anche il teleriscaldamento, alla popolazione locale.

Forse se i progetti fossero presentati e discussi localmente, prima ancora di iniziare l’iter autorizzativo, si riguadagnerebbe fiducia e si ridurrebbero le resistenze. Ma certo non si annullerebbero visto che purtroppo nel paese è ormai generalizzata una forte diffidenza contro ogni cambiamento: sono stato all’inaugurazione di una centrale elettrica ad acqua fluente sulle Apuane, un impianto minuscolo e assolutamente innocuo, e il sindaco mi ha detto che ci sono voluti sette anni per farla partire, anche per le resistenze di ben due comitati del No locali…

È per questo, allora, che la geotermia è rimasta confinata in Toscana, senza, per esempio, sbarcare nella ben più ricca di risorse sotterranee Campania?

E non c’è solo la Campania, anche la Sicilia è molto promettente, come rivela la mappa della risorse geotermiche italiane che abbiamo elaborato al Ministero, ma, oltre a problemi tecnici legati al tipo di fluidi, molto salini, operare in quei territori così densamente abitati e con paesaggio spesso sotto tutela non sarà facile. Per esempio Ingv e Cnr stanno incontrando grossi problemi nel convincere i comuni dei Campi Flegrei a lasciargli perforare un pozzo profondo per indagini scientifiche, figuriamoci per la geotermia. 

E visto il recente terremoto ad Ischia direi che il momento non è dei migliori: alla paura dell’inquinamento atmosferico, si aggiungerebbe quella, infondata, che queste attività possano innescare sismi, bradisismi o persino eruzioni.

Ma almeno sfruttare l’acqua calda a poca profondità per usi civili, tipo un progetto dimostrativo di teleriscaldamento di un quartiere di Napoli, non si potrebbe fare?

Quello sarebbe più facile da far approvare, e potrebbe anche aprire la strada all’accettazione della geotermia elettrica. Ma le competenze in materia sono locali, l’iniziativa dovrebbe partire da lì. Noi saremmo certo felici di contribuire.

Però le difficoltà italiane potrebbero proprio essere uno stimolo allo sviluppo di una geotermia innovativa, più sostenibile e accettabile, in contesti abitati.

Infatti, oltre agli incentivi per la geotermia, che continueranno ad essere elargiti anche in futuro, come previsto dalla nuova Strategia Energetica Nazionale, abbiamo messo a disposizione incentivi aggiuntivi per 10 impianti innovativi di potenza totale di 50 MW, che utilizzano un ciclo binario (il fluido geotermico scalda un liquido a basso punto di ebollizione, che fa girare la turbina, ndr) e prevedono la reiniezione dei fluidi nel sottosuolo, quindi con abbattimento totale delle emissioni.

Dei 10 progetti presentati due hanno già ottenuto il via libera ambientale, Castel Giorgio-Torre Alfina, in provincia di Terni, e Montenero, in provincia di Grosseto, ma sono fermi in attesa dell’intesa con gli enti locali, che al solito devono fare i conti con i comitati del No. Altre sei sono in corso di valutazione di impatto ambientale e due accettati con riserva, in attesa di una ulteriore valutazione tecnica.

Avere un impianto pilota di “nuova geotermia” che dimostri che si può produrre elettricità dal sottosuolo senza emissioni, sarebbe stato fondamentale per sbloccare la situazione.

Sicuramente, e forse avremmo potuto farne uno in passato, usando le risorse tecnico-scientifiche dei nostri enti di ricerca pubblici, ma sono fiducioso che si cominci la costruzione di almeno un impianto di questo tipo entro il prossimo anno.

Non pensiamo però che i cicli binari siano la panacea: personalmente ho qualche dubbio sulla loro reale convenienza, ma certo bisognerà costruirne qualcuno ed effettuare più ricerca su questi sistemi per capirlo. 

A proposito di ricerca: l’Italia sembra un po’ dormire anche sotto questo aspetto. In Islanda stanno sperimentando tecniche innovative, come l’estrazione del calore direttamente dal pozzo scavato in rocce molto calde, ma secche, senza far uscire fluidi all’esterno.

É vero che negli anni del monopolio forse ci si è un po’ seduti, puntando solo sulle tecniche consuete e ben conosciute. Ma adesso ci sono diversi enti di ricerca pubblici e privati ed Università che stanno studiando innovazioni per la geotermia, sia con fondi nazionali che europei.

Per esempio a Larderello si sperimenterà l’uso di fluidi supercritici a grande profondità (vedi QualEnergia, ndr). Anche alcune industrie presenteranno a Firenze innovazioni per il settore, come il sistema binario della Turboden o tecnologie per lo scavo di pozzi ad alta temperatura, elaborate da una società di Ravenna. E a proposito di Islanda, proprio con loro firmeremo il 13 settembre un accordo di cooperazione per lo sviluppo di tecnologie per la geotermia.

E dobbiamo aspettare una nazione con meno abitanti di Firenze per fare innovazione?

Tenga conto che l’Italia e l’Islanda sono oggi i due principali attori europei in ambito geotermico. La tradizione geotermica in Italia è più che consolidata ma altrettanto significativa lo è quella dell’Islanda, sviluppatasi inizialmente solo per il riscaldamento, un ambito dove in Italia c’è ancora molto da fare. Gli islandesi sono arrivati al geotermoelettrico quasi 60 anni dopo di noi, ma oggi hanno maggiore facilità  a sviluppare nuove tecnologie geotermiche anche perché vivono in un Paese poco popolato e l’accettazione della geotermia è altissima.

Stanno per esempio portando avanti  un affascinate progetto, che ha l’endorsemnet del Governo di Reykjavik, per costruire nel nord dell’isola un sistema geotermico sperimentale a diretto contatto con la camera magmatica di un vulcano. Sarà la prima volta al mondo e oltre a iniziare una nuova era dell’energia geotermica, consentirà anche di capire di più sui fenomeni vulcanici pericolosi, conoscenze che saranno molto preziose per l’Italia. Ma pensi se tentassimo di fare una sperimentazione simile su un nostro vulcano …

Intanto che aspettiamo, però, islandesi, americani, persino canadesi, vanno in giro per il mondo a proporre ad asiatici, centroamericani, africani, impianti geotermici. Insomma noi li abbiamo inventati, ma adesso a venderli sono loro: neanche una vera ricaduta industriale siamo stati capaci di ricavare da questo settore in cui eravamo i pionieri…

Non è proprio così, Enel, per esempio, sta costruendo o operando centrali geotermiche in Indonesia, Cile, Usa. Così come è internazionalmente riconosciuta l’eccellenza tecnologica italiana nella costruzioni di turbine per gli impianti geotermici sia tradizionali sia con ciclo binario.

Ma certo dobbiamo fare molto di più, e l’incontro di Firenze servirà anche a rilanciare il nostro know-how geotermico nel mondo. Per questo, per esempio, è programmato per la prossima settimana un giorno di lavoro con i rappresentanti del Kenia, che mi auguro porterà a consolidare ulteriormente la collaborazione bilaterale per lo sviluppo congiunto delle risorse geotermiche di quel paese.

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