Piani d’azione per 139 paesi ad energia 100% rinnovabile

Una roadmap al 2050 per sistemi energetici alimentati al 100% da fonti rinnovabili in 139 paesi, responsabili del 99% delle emissioni globali di gas serra. Una strategia dettagliata per trasformare tutte le infrastrutture in modo da poter essere alimentate da eolico, idro e solare. Il nuovo report di Mark Z. Jacobson.

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Mark Z. Jacobson della Stanford School of Earth, Energy, and Environmental Sciences e 26 suoi colleghi ritornano sul loro argomento preferito: delineare possibili scenari di transizione energetica con il 100% di fonti rinnovabili.

Il nuovo report (allegato in basso) è un passo avanti rispetto a un progetto simile elaborato nel 2015 e relativo a 50 Stati Usa (oltre ad altri studi precedenti a questa data pensati a livello globale).

Il nuovo lavoro, pubblicato da Joule, dal titolo “100% Clean and Renewable Wind, Water, and Sunlight All-Sector Energy Roadmaps for 139 Countries of the World“, traccia una roadmap al 2050 per sistema energetici 100% rinnovabili in 139 paesi che sono responsabili del 99% delle emissioni globali e prefigura un piano di azione per trasformare tutte le infrastrutture di ciascun paese considerato (elettricità, trasporto, riscaldamento/raffrescamento, industria, agricoltura e foreste) in modo da poter essere alimentate essenzialmente dalle fonti eolica, idrica e solare (definite WWS, wind,water, solar).

La roadmap immagina un contributo di queste fonti rinnovabili pari all’80% della domanda al 2030 e del 100% a metà secolo.

L’utilizzo di queste tre fonti, secondo gli autori del report, non solo va a sostituire il sistema energetico cosiddetto business-as-usual (BAU), ma riduce i consumi finali del 42,5%. In che modo?

Una simile struttura energetica garantirebbe una quota di energia dell’elettricità da rinnovabili maggiore di quella generata da combustione (23%), perché più efficiente; poi non si avrebbe più la richiesta di energia per attività minerarie, né trasporto e di raffinazione e di processo dei combustili fossili (12,6%) e, infine, si stima che gli usi finali delle rinnovabili favorirebbero un’efficienza superiore a quella del business-as-usual (6,9%).

Questo processo di conversione dei sistemi energetici potrebbe creare circa 24,3 milioni di addetti netti permanenti (quindi tenendo conto anche dei posti di lavoro persi) ed evitare 4,6 milioni di morti premature ogni anno causate dall’inquinamento atmosferico (3,5 milioni/anno entro il 2050).

Un modello di questo tipo potrebbe inoltre evitare costi sociali e ambientali fino al 2050 molto elevati: 22.800 miliardi di dollari all’anno per i costi di inquinamento (stimati in 12,7 cent$/kWh nel modello BAU) e 28.500 miliardi di $ per i costi legati ai cambiamenti climatici (stimati in 15,8 cent$/kWh).

L’effetto transizione dovrebbe poter stabilizzare i prezzi dell’energia e favorire l’accesso all’energia nell’ambito di un modello di generazione distribuita. Inoltre, dice Jacobson, consentirebbe anche al pianeta di restare sotto un aumento della temperatura globale di 1,5 °C.

Nel grafico qui sotto il possibile sviluppo cronologico della transizione energetica, per i 139 paesi analizzati, così come è progettato dagli autori del report.

Come ad ogni nuovo report di questo professore della Stanford University e di molti che provano a delineare una società alimentata per il 100% con energie rinnovabili emerge un dibattito molto vivace e, ovviamente, diverse critiche.

Sulle alternative come nucleare e carbone pulito o biocombustibili gli autori rispondono già nel loro studio. Sull’atomo mettono in evidenza i rischi legati alla proliferazioni degli arsenali nucleari, al collasso del nocciolo o ad altri problemi legati all’aumento della radioattività, oltre che per la complicatissima gestione delle scorie.

In merito al carbone cosiddetto “pulito”, lo giudicano semplicemente un “mito”, come dimostrano fatti e numeri; mentre per i biofuels si ritiene che abbiano un impatto ambientale troppo superiore alle altre rinnovabili da loro prescelte per la transizione energetica.

Tra le soluzioni di storage indicate da Jacobson e colleghi c’è quella dell’accumulo termico, sotto terra, molto utilizzato in Danimarca.

Per quanto concerne il costo di un tale scenario, questo, va detto, sarebbe molto elevato, ma gli autori dello studio ritengono che un sistema economico che continuasse a basarsi sulle fonti fossili costerebbe almeno 4 volte di più, soprattutto se venissero internalizzati nei prezzi dell’energia i costi sanitari e ambientali.

Possiamo dire che questo documento di 202 pagine, nonostante i limiti e le normali pecche che modelli di questo tipo portano con sé, può diventare un notevole contributo per un confronto concreto tra la comunità scientifica, economica e politica su come concepire e pianificare un sistema economico completamente decarbonizzato.

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