La vernice che produce idrogeno con il sole e l’umidità

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Una vernice elettrolitica capace di produrre idrogeno con energia solare e umidità dell’aria, usando solfuro di molibdeno e biossido di titanio. Una ricerca australiana che potrebbe portare a sfruttare superfici non utilizzabili dai pannelli solari o con un’illuminazione molto bassa.

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C’è una curiosa parola inglese, serendipity, entrata ormai anche nel nostro vocabolario come serendipità, che sintetizza uno dei più curiosi fenomeni dell’esperienza umana: cercare una cosa e trovarne un’altra del tutto inaspettata.

Il più clamoroso caso di serendipity fu quello di Cristoforo Colombo, che nel cercare una rotta più corta per le Indie, scoprì un continente sconosciuto agli europei, cambiando la storia del mondo, e visto che anche la ricerca scientifica è esplorazione, la storia della scienza è piena di casi di serendipità: dagli alchimisti cinesi che nel IX secolo cercando l’elisir di lunga vita inventarono la polvere da sparo, fino ai chimici della Pfizer che venti anni fa, notando un insolito effetto collaterale del farmaco UK92480 contro l’angina pectoris, uscirono dal laboratorio con il Viagra.

Ultimo caso del genere quanto accaduto all’ingegnere chimico Torben Daeneke, del Royal Melbourne Institute of Technology, che con il collega Kourosh Kalantar-zadeh, mentre era intento a lavorare a un nuovo tipo di deumidificatore, si è imbattuto per caso nella possibilità di produrre idrogeno usando solo energia solare e umidità dell’aria.

Tutto è cominciato quando Daeneke e Kalantar-zadeh si sono messi a testare le proprietà igroscopiche, cioè di assorbimento di acqua, del solfuro di molibdeno, un composto che, a livello molecolare, forma una sorta di alveare tridimensionale, con grandi spazi vuoti all’interno: l’ideale per ospitare altre molecole più piccole, come quelle dell’acqua appunto. 

I due ricercatori hanno constatato che questa economica sostanza (è usata nei lubrificanti), è in grado di assorbire il 7% del suo peso in acqua e poi rilasciarla con altrettanta facilità, una volta esposta ad aria asciutta. Inoltre, mentre il solfuro di molibdeno asciutto è un isolante elettrico, basta assorba un po’ di umidità per trasformarsi in un buon conduttore.

Con queste due caratteristiche i ricercatori pensavano quindi che il solfuro di molibdeno potesse costituire la base per un nuovo sistema di deumidificazione a basso consumo energetico, oppure potesse servire per sensori in grado di rivelare anche la minima presenza di vapore acqueo in ambienti che invece devono restare completamente asciutti.

Ma il solfuro di molibdeno è anche un semiconduttore, come il silicio, e la sua capacità di produrre cariche elettriche quando esposto alla luce, in congiunzione con la sua capacità di intrappolare umidità dall’aria, ha fatto venire in mente l’idea a Daeneke e Kalantar-zadeh, che avrebbe potuto essere anche una sorta di macchina naturale per l’elettrolisi, che non richiede per funzionare elettricità esterna e neanche acqua liquida, sali minerali, catalizzatori o elettrodi, ma solamente sole e umidità.

Il molibdeno, però, non è molto efficiente nello spezzare i legami idrogeno-ossigeno, soprattutto perché non assorbe bene la luce solare.

Così i due ricercatori hanno provato a mescolarlo con un composto universalmente noto per la sua capacità di interagire con la luce, tanto da essere usato come pigmento bianco ovunque, dalle pitture alla carta: il biossido di titanio.

Questo economico composto è a sua volta un semiconduttore, e poteva quindi aiutare il solfuro di molibdeno nell’arduo compito di spezzare la molecola d’acqua.

Dopo aver provato varie miscele dei due composti, quella con solfuro di molibdeno al 90% e biossido di titanio al 10%, spalmata su una superficie e lasciata asciugare, si è mostrata la migliore per scindere l’umidità dell’aria in idrogeno e ossigeno appena esposta al sole, continuando in questo suo compito, in teoria, senza limiti, visto che i due componenti non vengono alterati dalle reazioni elettrochimiche dell’elettrolisi.

«In altre parole, è immaginabile realizzare una vernice con questi due economici composti, e coprire con essa grandi superfici esposte al sole. Basta poi l’umidità dell’aria a trasformare queste superfici in “fabbriche di idrogeno”, che poi può essere utilizzato come combustibile in motori o celle a combustibile, producendo elettricità con i soli vapore acqueo e calore come sottoprodotti», dice Daeneke.

Certo, il rendimento della vernice elettrolitica non è un gran che: in teoria, al massimo, in un’ora sotto al sole, un grammo di questo catalizzatore, in aria fortemente umida, produrrebbe circa 0,01 grammi di idrogeno.

Questa quantità è già molto di più di sistemi analoghi “a umidità” creati con altri catalizzatori, ma è molto, molto di meno di quanto producano gli elettrolizzatori industriali (che però usano il raro platino come catalizzatore e consumano elettricità) o anche meno della produzione di altri sistemi sperimentali di elettrolisi dell’acqua (in forma liquida) tramite energia solare, come la famosa “Foglia artificiale” di Davi Nocera, che però ha grossi problemi di durata.

Oltre alla scarsa produttività il sistema inventato in Australia ha anche un altro bel problema : idrogeno e ossigeno vengono prodotti e mescolati fra loro: una condizione non certo ideale per l’uso dell’idrogeno, visto che le miscele di questi due gas sono altamente esplosive.

Comunque sia i due ricercatori sono convinti delle prospettive della loro invenzione. «Non ci sono altri sistemi che al tempo stesso siano in grado di estrarre umidità dall’aria, e contemporaneamente scinderla in idrogeno e ossigeno, senza energia artificiale esterna. E la nostra vernice lo fa anche usando composti estremamente economici», dice Daeneke, che al momento con il collega sta lavorando all’ottimizzazione del sistema e alla raccolta dell’idrogeno prodotto dalla superficie dipinta.

Ma come potrebbe essere usata la “vernice elettrolitica”, in pratica?

«Noi la vediamo come un’alternativa più conveniente alla produzione di idrogeno tramite fotovoltaico: una tecnica che si renderà indispensabile per immagazzinare energia per i momenti di assenza di sole. Usare la pregiata elettricità solare a questo scopo, porta a sprecarne molta, per l’inefficienza degli elettrolizzatori. Ma la nostra vernice, spalmata su superfici non utilizzabili dai pannelli solari o con una illuminazione troppo bassa per le loro esigenze, produrrebbe idrogeno senza necessità di dedicare ad esso elettricità che può essere impiegata altrove».

Pannelli e vernice, insomma, si completerebbero a vicenda: con i primi che producono in bella vista  l’energia da usare direttamente durante il giorno, e la seconda che, umilmente, senza farsi notare, produce quanto serve per passare la notte e i periodi di maltempo.

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