Il discorso di Trump: solo un diversivo?

  • 6 Giugno 2017

La decisione del presidente americano di uscire dagli accordi globali sul clima di Parigi non produrrà effetti concreti e la sua proposta di avviare un negoziato per un nuovo accordo è destinata ad un nulla di fatto. I rischi di questa scelta "simbolica" di Trump per gli Stati Uniti. Un articolo pubblicato su Climalteranti.it.

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Pubblichiamo, con l’autorizzazione della testata, un articolo di Climalteranti.it  (a cura di Stefano Caserini e il contributo di G. Messori, M. Grosso e S. Coyaud)

Il discorso con cui Trump ha annunciato di voler avviare le procedure per il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi è stato accolto, come c’era da attendersi, da critiche quasi unanimi da parte degli altri leader mondiali.

E da una pronta risposta di 68 sindaci, sia Repubblicani che Democratici (tra cui quelli di New York, Chicago, Seattle, Boston, Los Angeles, San Francisco, Miami, Houston, Palm Beach, Little Rock) che hanno affermato con forza di voler rispettare gli impegni per contenere l’incremento della temperatura globale.

La proposta avanzata da Trump nel suo discorso, di avviare un negoziato per un nuovo accordo, è quindi destinata ad un nulla di fatto. Inoltre, l’Accordo di Parigi prevede tempi di uscita molto lunghi; la mossa di Trump non produrrà quindi effetti concreti fino al 4 novembre 2020, data in cui gli Stati Uniti potranno formalmente abbandonare l’Accordo.

La decisione di Trump avrà come principale effetto il disimpegno degli USA nel rilancio degli impegni di riduzione a livello globale, e i danni saranno soprattutto per gli stessi Stati Uniti.

Si tratta per lo più di una decisione simbolica, legata all’ossessione paranoica ben rappresentata dallo slogan “Make America Great Again”.

Non c’è molto da dire dal punto di vista scientifico sul discorso di Trump (qui il testo): l’inconsistenza e la miopia delle critiche di Trump alla sostanza dell’Accordo sono palesi.

I numeri sulle probabili perdite di posti di lavoro (2,5 milioni entro il 2025) o sulla perdita di benessere conseguenti alle politiche sul clima sono rozzi errori o vere e proprie bugie (qui un interessante fact checking): tesi senza fondamento che assomigliano da vicino agli argomenti con cui nel corso degli anni ha denigrato o deriso la scienza del clima (qui potete trovare un incredibile discorso in cui Trump propone di fare un test di intelligenza a chi crede nel riscaldamento globale, mentre a Rochester fa freddo).

E comunque l’economia, i capitali, gli investimenti stanno già andando dalla parte giusta. Non è un caso che un’azienda americanissima come Tesla, che oggi più di chiunque altro incarna la visione di un mondo decarbonizzato, abbia ormai superato in capitalizzazione di borsa colossi come Ford e General Motors.

E a questo punto anche Musk abbandona il suo ruolo di consigliere di Trump, avendo evidentemente molto di meglio da fare.

Pur se è difficile trovare una razionalità nelle scelte di Donald Trump, alla fine la spiegazione più solida di questa sua mossa è che utilizzi il clima come un diversivo, un modo per spostare l’attenzione dalle difficoltà politiche che sta incontrando in patria (vedi qui e qui).

Come ha scritto Gavin Schmidt, i rischi globali non cessano di essere globali, né scompaiono solo perché il governo di un paese chiude gli occhi e le orecchie e se ne va.

La scelta dell’orchestra jazz per intrattenere gli ospiti nel giardino della Casa Bianca, prima del discorso di Trump, potrebbe fare pensare ad altri casi del passato in cui le orchestrine hanno suonato per nascondere la gravità della situazione.

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