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Trump e il caso-Parigi, come uscire dagli accordi e con quali impatti

Sono sempre più insistenti le voci del probabile abbandono americano del patto climatico siglato nel 2015 a Parigi. Fake news o notizie fondate? Il presidente staunitense ha rimandato ancora la decisione: vediamo cos’è accaduto negli ultimi giorni, dal G7 in poi, e come potrebbe evolvere la situazione.

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Donald Trump, per l’ennesima volta, al G7 di Taormina ha annunciato che avrebbe deciso “la prossima settimana” se gli Stati Uniti sarebbero rimasti negli accordi di Parigi.

Di certo, un risultato è stato ottenuto dal presidente statunitense: concentrare tutta l’attenzione del mondo, anche se in negativo, sul suo paese.

G7 e “fake news”

Questa settimana sarà davvero decisiva? Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, prima ha usato un eufemismo per descrivere l’esito del dibattito sul clima – è stato “molto difficile” – poi ha rincarato la dose, definendolo “molto insoddisfacente”. Nonostante le pressioni dei leader mondiali, che avrebbero voluto una risposta chiara da Trump alla domanda “Parigi sì o no”, l’America come prevedibile è rimasta defilata.

Nel comunicato finale del G7, si legge che gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro politica sui cambiamenti climatici, quindi non sono in grado di concordare con gli altri paesi sui temi legati a energia e ambiente.

Si ripropone lo schema sei contro uno sperimentato al G7 Energia dello scorso aprile, con Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Gran Bretagna che invece “riaffermano il loro forte impegno a implementare rapidamente gli accordi di Parigi”.

La stessa posizione americana, però, è incerta e si presta alle speculazioni più varie. Secondo “tre fonti bene informate” citate dall’agenzia di stampa USA Axios, Trump avrebbe detto a molti suoi collaboratori, incluso il numero uno dell’EPA (Environmental Protection Agency), Scott Pruitt, di stare pianificando l’uscita dal patto salva-clima siglato nella capitale francese due anni fa.

Trump, su Twitter, ha poi bollato come “fake news” molte delle fughe di notizie dalla Casa Bianca.

Non c’era un riferimento diretto alle fonti anonime riportate da Axios, ma è lecito supporre che il suo commento riguardasse anche le voci interne all’amministrazione repubblicana sul caso-Parigi, voci che per il momento Trump vorrebbe mantenere strettamente confidenziali.

Uscire da Parigi, le opzioni sul tavolo

Uscendo dagli accordi, il presidente USA darebbe due messaggi chiarissimi. Primo, collaborare con gli altri paesi contro il surriscaldamento globale non è una priorità per gli Stati Uniti (qui torniamo alla celebre definizione del global warming in campagna elettorale: è una bufala cinese) e secondo, la politica più green di Barack Obama va interamente smantellata.

Il quadro però è complesso e non basterebbe un annuncio per ripudiare il patto climatico internazionale. Stando ai termini concordati in Francia, una nazione può notificare la sua intenzione di abbandonare l’intesa non prima di tre anni dall’entrata in vigore degli accordi (che è stata il 4 novembre 2016), poi l’intero processo durerebbe circa un altro anno.

Per velocizzare l’opzione leave, Trump potrebbe allora decidere di uscire dal trattato mondiale che ha sorretto tutti i negoziati sul clima dal 1994 in avanti, la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), il cui obiettivo è ridurre le emissioni antropogeniche di CO2 per evitare i suoi effetti più devastanti sugli ecosistemi.

È la convenzione “madre” di tutte le successive conferenze sul clima, inclusa ovviamente Parigi 2015: l’eventuale USexit sarebbe più rapida (circa un anno) ma, allo stesso tempo, comunicherebbe al mondo il “no” più radicale possibile per gli Stati Uniti, perché a quel punto sarebbero completamente isolati da tutte le politiche ambientali.

Altrimenti, il presidente repubblicano potrebbe tentare la via del Senato, chiedendo un voto – che con ogni probabilità sarebbe a lui favorevole – per sancire la non-approvazione degli accordi parigini o della stessa convenzione ONU.

Rimane poi sempre la possibilità della via intermedia (vedi anche QualEnergia.it), cioè rimanere nell’alveo dell’intesa siglata nel 2015, ma riducendo l’impegno americano, ad esempio non versando più dollari nel Green Climate Fund e inquinando più di quanto sarebbe consentito, in modo da non compromettere la politica pro-fonti fossili inaugurata dalla nuova presidenza repubblicana.

Molto dipenderà da quanto Trump vorrà perseguire anche in chiave climatica la sua idea di politica nazionalista e autoreferenziale, senza curarsi della scontata disapprovazione degli altri paesi se gli Stati Uniti abbandoneranno il campo.

Inoltre, dal peso che vorrà assegnare alle opinioni di diverso tenore nel suo stesso governo; ci sono infatti anche i favorevoli all’accordo di Parigi.

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