Sversamenti di petrolio in Val d’Agri, esposto di Legambiente alla Procura

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Legambiente ha presentato un esposto alla Procura di Potenza secondo quanto dichiarato da Eni sugli sversamenti di circa 400 tonnellate di petrolio provenienti da un serbatoio del Centro Oli di Viggiano. L'associazione chiede di utilizzare la legge 68/2015 sugli ecoreati.

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Legambiente nazionale e Legambiente Basilicata hanno presentato un esposto alla procura di Potenza per le recenti dichiarazioni di Eni sugli sversamenti di circa 400 tonnellate di petrolio probabilmente provenienti da un singolo serbatoio del Centro Oli di Viggiano. Centro Oli a cui era stata imposta la chiusura da parte della Regione Basilicata per 90 giorni con una delibera emessa poco prima di Pasqua.

Il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani, spiega come questo episodio, che arriva dopo l’indagine giudiziaria con gli arresti per le attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti del marzo 2016, “dimostra come tutte le dichiarazioni rassicuranti da parte di Eni in questi anni fossero parole al vento. È ora di intervenire con forza per fermare una situazione non più tollerabile in Val d’Agri: chiediamo alla magistratura e alle forze di polizia di utilizzare i nuovi delitti di inquinamento, disastro ambientale e omessa bonifica inseriti nel codice penale grazie alla legge sugli ecoreati”.

In realtà nessuno sa veramente quante volte in questi anni si siano verificati episodi di questi tipo in Basilicata, più o meno gravi. Ma l’impatto sul territorio c’è stato. Come ha scritto poche settimane fa in una nota il WWF “è sbagliato vedere tutta la serie di incidenti e di allarmi che si sono susseguiti in questi vent’anni come se ognuno di essi fosse dovuto al caso o ad accadimenti fortuiti”.

Di parere esattamente contrario l’approccio economicista del presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli che sulle pagine del Ilsole24ore affermava subito dopo la chiusura prevista per 3 mesi che questa “equivale a 250 milioni di euro di perdite, che si traducono in più greggio da importare, che significa ricchezza trasferita all’estero, meno lavoro, meno tasse, meno royalties, meno Pil”. “Si giustifica la chiusura per un principio di precauzione?”, si chiedeva, concludendo che “questa situazione riflette il gap esistente tra Italia e resto d’Europa. Tra nord e sud. La mancanza di una cultura industriale».

Se poi cultura industriale significa libertà indiscriminata di inquinamento di aria, terreni e falde, allora siamo veramente di fronte ad un’idea di sviluppo distorta che non è possibile condividere.

Per Legambiente con la legge 68/2015 sugli ecoreati, le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria possono contare ora su sei nuovi delitti specifici da contestare tra cui inquinamento, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale radioattivo, impedimento del controllo e omessa bonifica.

Le pene sono molto importanti: si va dalla reclusione da 2 a 6 anni per il delitto di inquinamento a quella da 5 a 15 anni per chi commette un disastro ambientale con tempi di prescrizione raddoppiati, una lunga serie di aggravanti, la confisca dei beni (anche per equivalente) degli inquinatori, come già previsto per i mafiosi, e sanzioni severe come la responsabilità giuridica delle imprese. La legge prevede anche sconti di pena per chi si adopera a bonificare in tempi certi.

Sulle criticità sanitaria-ambientale dell’area vicino al Centro Oli, Pietro Dommarco aveva scritto su QualEnergia.it che i “tassi di ospedalizzazione urgente per eventi sentinella cardio-respiratori sono mediamente più elevati rispetto all’insieme regionale. In particolare, nell’area della Val d’Agri furono registrati tassi di incidenza da 2 a 2,5 volte superiori alla media regionale per asma, altre condizioni respiratorie acute, ischemie cardiache e scompenso”.

L’Isde Basilicata ebbe a specificare che l’aumento significativo di alcune patologie cardio-respiratorie si era verificato dopo appena tre anni dall’entrata in funzione del Centro olio Eni di Viggiano, inaugurato nel 1996.

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