CO2 in leggero calo in UE, ma il mondo è già oltre quota 410 ppm

I nuovi dati Eurostat sulle emissioni negli Stati membri mostrano una riduzione media dello 0,4%. Un calo anche in Italia, ma il rallentamento delle rinnovabili non ci permette di dormire sugli allori. Intanto la concentrazione di anidride carbonica continua ad aumentare: siamo al record di 412 parti per milione.

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Mentre a livello mondiale arriva un dato allarmante, cioè che le emissioni di CO2 hanno superato in anticipo rispetto alle previsioni la soglia di concentrazione di 410 parti per milione (ppm), l’UE segna un modesto risultato nella loro riduzione.

Le emissioni di anidride carbonica derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili per usi energetici nell’Unione, infatti, sono scese nel 2016 dello 0,4% rispetto all’anno precedente.

A renderlo noto è l’Eurostat, che ha pubblicato oggi, 4 maggio, i nuovi i dati sulle emissioni in Europa, mentre l’allarme sulle concentrazioni di CO2 in atmosfera arriva dal NOAA statunitense che lo scorso 26 aprile ha registrato 412 ppm presso l’osservatorio di Mauna Loa, alle Hawaii (grafico sotto).

Tornando ai dati Eurostat (in allegato in basso), come si vede dal grafico sotto, le emissioni da usi energetici hanno registrato i maggiori decrementi a Malta (-18,2%), Bulgaria (-7%), Portogallo (-5,7%) e Regno Unito (-4,8%), mentre i più marcati incrementi si sono avuti in Finlandia (+8,5%), Cipro (+7%), Slovenia (+5,8%) e Danimarca (+5,7%).

Rammentiamo sempre che l’Europa riesce a vantare al momento buone prestazioni in termini di emissioni anche perché in gran parte le “delocalizza”.

Ad esempio il rapporto tra Pil e fabbisogno energetico, nel nostro Paese è sceso di quasi 9 punti percentuali dal 2010 al 2014. Se l’efficienza energetica ha i suoi meriti in questi risultati, ha un notevole ruolo anche il cambiamento strutturale della nostra economia, che negli ultimi decenni ha visto parte della produzione industriale spostarsi all’estero, spesso nei Paesi emergenti.

I dati Eurostat sull’Italia segnano per il 2016 una contrazione del 2,9% rispetto al 2015, anno in cui le emissioni di CO2 da usi energetici erano però aumentate del 3,5% nei confronti del 2014.

Sul dato nazionale, i lettori più attenti noteranno lo scostamento con le stime ENEA che abbiamo pubblicato di recente.

Secondo l’ENEA, nel 2016 le emissioni di CO2 del sistema energetico italiano sono diminuite dello 0,8%, scendendo a circa 333 Mt dalle circa 336 Mt del 2015 (vedi grafico sotto). Il divario tra i due dati è dovuto alla diversa metodologia usata: Eurostat stima le emissioni in base al consumo interno di combustibili fossili, esclusa dunque l’elettricità importata e la combustione di rifiuti non rinnovabili; Enea fa i suoi conti partendo dai consumi finali di energia, escludendo il consumo di fossili nei processi industriali.

Nei primi nove mesi dell’anno – si legge nell’ultima analisi trimestrale ENEA – la riduzione delle emissioni era stata molto maggiore, grazie prevalentemente alla forte riduzione della generazione elettrica da carbone, legata all’aumento del prezzo della materia prima.

Anche nell’ultimo trimestre la produzione elettrica da carbone è risultata inferiore all’anno precedente, ma il fermo dei reattori francesi ha determinato un aumento della produzione termoelettrica da gas naturale, che ha più che compensato la riduzione delle emissioni da carbone.

Nel quarto trimestre 2016 le emissioni della generazione elettrica sono infatti aumentate di circa 1 Mt rispetto all’anno precedente. Nonostante la ripresa di fine anno, le emissioni del settore elettrico sono state comunque inferiori all’anno precedente per circa 5 Mt (-10 Mt da carbone, +5 Mt da gas).

A fine 2016, si legge nel report ENEA, le emissioni di CO2 dell’intero sistema energetico risultano inferiori del 28% rispetto al 2005 e di quasi il 18% rispetto al 2010. Siamo dunque in linea con il target definito nella Strategia Energetica Nazionale del 2013 (del -15% rispetto al 2010 per la sola CO2, del -21% rispetto al 2005 per l’insieme dei gas serra), ma questo non significa affatto che possiamo essere soddisfatti.

Non poche criticità infatti riguardano le prospettive di decarbonizzazione nel medio-lungo termine: potremmo avere difficoltà a raggiungere i target al 2030, ipotizzati dall’ENEA a -40% rispetto al 2005, leggermente più stringente del target proposto dalla Commissione UE, che fissa una riduzione del 33% per i settori non-ETS e del 43% per l’insieme dei settori ETS europei.

Come mostra il grafico sopra (sempre dal rapporto ENEA), infatti, ipotizzando che popolazione, intensità energetica, quota di fossili e intensità carbonica continuino a crescere al tasso medio degli ultimi cinque anni, la traiettoria di decarbonizzazione non sarebbe in linea con gli obiettivi al 2030 se per la proiezione si ipotizza una tasso di crescita del PIL maggiore dello 0,5% medio annuo, oppure se per le altre variabili si utilizzano i tassi di variazione medi registrati negli ultimi tre anni, nei quali la decarbonizzazione ha registrato una frenata.

“L’elemento di novità che emerge dalla nostra analisi – spiega il ricercatore ENEA Francesco Gracceva – è proprio questo: il ‘rischio 2030’ tenuto conto che, a differenza di altri Paesi, in Italia la forte diminuzione dei consumi di energia e delle emissioni di CO2 degli ultimi anni è stata legata non tanto a cambiamenti strutturali, ma alla diminuzione dell’attività economica (si veda quest’altra analisi, ndr).

Un altro segnale cui prestare forte attenzione è la riduzione dei tassi di sviluppo delle rinnovabili riscontrata negli ultimi anni”.

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