ENI prova a tingersi di verde, ma sulle rinnovabili ci arriva “tardi e male”

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Nell'Assemblea degli azionisti di ENI il vertice aziendale sottolinea come la propria attività sia sempre più in sintonia con la sostenibilità ambientale. Ma l'azionariato critico stigmatizza il peso ancora trascurabile delle fonti rinnovabili nelle strategie della multinazionale.

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Nel corso dell’Assemblea degli azionisti di ENI, svoltasi ieri a Roma, c’è stato il tentativo da parte del vertice dell’azienda energetica di dimostrare che la propria attività è sempre più in sintonia con un impegno di sostenibilità ambientale, del resto in linea con i suoi numerosi messaggi pubblicitari che passano in TV.

Tuttavia la multinazionale non sembra orientata veramente a snaturare il suo core business basato su petrolio e gas.

“Sul fronte della riduzione della carbon footprint – ha spiegato Emma Marcegaglia, presidente Eni – il nostro portafoglio low carbon basato su gas e su investimenti nelle rinnovabili è la nostra strategia di decarbonizzazione; ciò ha permesso che venissimo inseriti nella ‘Climate list A’ del Carbon disclosure project, riferimento per gli investitori a livello di sostenibilità”. Secondo la Marcegaglia, Eni è l’unica tra le major oil and gas ad aver raggiunto questo risultato.

Nell’intervento di Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni, si è rimarcato poi l’obiettivo di  “eliminare entro il 2025 completamente il gas flaring, una pratica molto inquinante che consiste nel bruciare a bocca di pozzo il gas associato al petrolio. In particolare in Africa, afferma Descalzi, Eni sta usando il gas associato alla produzione petrolifera per alimentare le centrali elettriche che realizza, fornendo elettricità a comunità locali che ne sono prive (circa 20 milioni di persone). Si parla di un investimento di 2,2 miliardi di $.

Ricordiamo che ENI è una società quotata alla Borsa di New York ed è controllata dallo Stato italiano tramite il Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico (la cosiddetta golden share). Oggi lo Stato ne detiene ancora una quota di circa il 30%.

Anche per queste sue peculiarità è spesso guardata con attenzione dal mondo dell’ambientalismo italiano. Ma anche dal giornalismo d’inchiesta. È il caso della storia, ripresa di recente da Report, con nuove rivelazioni sulla presunta maxi tangente pagata da Eni per l’acquisto della licenza di estrazione su un giacimento petrolifero in Nigeria nel 2011, Olp 245.

Tra i partecipanti all’assemblea degli azionisti, come rappresentanti del cosiddetto azionariato critico, sono intervenuti, tra gli altri, Mauro Meggiolaro di Fondazione Banca Etica e Jacopo Fo, titolare di una singola azione.

Sulle rinnovabili Eni è arrivata tardi e male rispetto ai competitor”, ha detto Meggiolaro, prendendo parte all’assemblea in collaborazione con associazioni e Ong, per fare specifiche domande alla proprietà su temi sociali e ambientali.

La strategia sulle rinnovabili di Eni, ha spiegato “è debole ed è positivo che venga fatta, ma resta debole”. La società infatti “non svilupperà tecnologie proprie, ma si limiterà ad acquistare ad esempio moduli fotovoltaici prodotti da altre imprese per installarli su propri terreni”.

Meggiolaro ha fatto capire che Eni è ben lontana da quel ‘piano B’ che permetterebbe di acquisire gradualmente competenze interne per diversificare sempre di più la produzione su fonti rinnovabili come richiesto dagli accordi internazionali sul clima cui l’Italia ha aderito.

“Se guardiamo ai diretti concorrenti di Eni nel settore Oil&Gas possiamo concludere che sulle rinnovabili il ‘Cane a sei zampe’ è arrivato tardi e male”.

Ha citato ad esempio Total, la compagnia più simile ad Eni in Europa, che non si limita a comprare pannelli ma è attiva lungo tutta la catena di produzione del fotovoltaico grazie a una partecipazione del 56,73% in Sunpower, produttore di moduli fotovoltaici statunitense già dal 2011 con un investimento da 1,38 miliardi di dollari”, ha detto il rappresentante di Fondazione Banca Etica.

Ha aggiunto poi che i francesi della Total nel 2016 hanno anche acquisito Saf Group, uno dei leader mondiali nel settore delle batterie per un miliardo di dollari e che solo l’anno scorso Sunpower ha installato 1.300 MW di fotovoltaico nel mondo, il triplo di quanto Eni pianifica di installare nel periodo 2017-2020 (vedi piano strategico 2017-2020).

Al momento è stato presentato da ENI il “Progetto Italia” che prevede la realizzazione di impianti in aree industriali di proprietà, disponibili all’uso e di scarso interesse per altre attività economiche. Eni ha identificato 15 progetti per una capacità complessiva di appena 220 MW che saranno installati entro il 2022.

Mauro Meggiolaro ha poi citato la Shell, che ha una potenza installata di oltre 400 MW nell’eolico solo negli Usa, ma nel dicembre 2016 in consorzio con altre tre imprese Shell si è aggiudicata l’asta del governo olandese per sviluppare due parchi eolici offshore per potenza totale di 700 MW.

Altra grande compagnia del settore è la norvegese Statoil che ha lanciato un fondo di venture capital da 200 milioni di dollari per investire direttamente in imprese che operano nel settore delle rinnovabili; ha già realizzato due parchi eolici offshore per 319,3 MW in Norvegia e negli Usa, altri tre parchi eolici offshore sono in costruzione in Gran Bretagna e Germania per un totale di 817 MW.

Il rappresentante di Fondazione Banca Etica ha sottolineato che “sono numeri molto più alti rispetto a quelli di Eni, sottolineando che l’offshore eolico ha un tasso di rendimento interno del 10-15%, quindi resa economica maggiore rispetto alla semplice installazione di pannelli solari comprati da altri come intende fare Eni, prevedendo una redditività pari ad appena il 6%; quindi si tratta di rendimenti molto inferiori rispetto ai concorrenti”.

Meggiolaro ha chiesto “se Eni prevede di investire in modo significativo in altre fonti rinnovabili oltre al solare, in particolare partecipando ad aste per l’eolico onshore e offshore, se si prevedono investimenti per sviluppare ‘tecnologie proprietarie’ e se investirà nel medio e lungo periodo per l’acquisizione di imprese già attive nel settore rinnovabili per internalizzare parti della catena di produzione al momento esterne, come fa Total”.

Claudio Descalzi, rispondendo alle domande di Mauro Meggiolaro, ha detto che Eni sta sviluppando tecnologie rinnovabili innovative con il MIT di Boston e università italiane, e sta anche testando sulle piattaforme dismesse in Adriatico nuove tecnologie (Eni ne ha in tutto 100): oltre al solare a concentrazione anche energia da maree e da gradiente salino.

“Eni pensa che oggi i tempi siano maturi per un tipo innovativo di offerta coniugato a sostenibilità sociale e ambientale?”, si è chiesto nel suo intervento in assemblea Jacopo Fo. “Oggi il consumatore è favorevole alle ecotecnologie, ciò è un dato ineluttabile”, ha detto Fo, quindi “le corporation sono chiamate a grandi sfide” e, in questa ottica, vede un utente che diventi collega e partner delle corporation. “Serve il passaggio a una progettazione condivisa tra corporation e utenti”, ha detto Fo.

L’azienda, come diciamo da tempo, continua a perseguire una strategia focalizzata su petrolio e gas, mentre le sue attività nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica sono ancora marginali. Una visione strategica che forse poteva andare bene una decina di fa, ma non oggi.

Una strada da percorrere potrebbe essere quella di sfruttare il proprio know-how interno, come ha fatto Statoil, o acquisire società di punta (vedi Total), per trovarsi preparati al progressivo affermarsi di un nuovo mercato energetico basato sulle fonti rinnovabili e la generazione distribuita e, allorché si presenteranno difficoltà nel settore delle fonti fossili. Per ora qualche solo qualche goccia di verde nel business dell’azienda.

  • Approvazione Bilancio ENI 2016 e nuovi organi sociali (comunicato).
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