Una strategia per sfruttare al meglio solare ed eolico in Africa

Secondo uno studio del Lawrence Berkeley National Laboratory la soluzione entro il 2030 è, oltre che nella scelta dei siti più adatti in termini di risorse, quella di individuare il sito in modo da interconnettere il più possibile le reti esistenti delle nazioni africane. Vediamo come.

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Come si ripete spesso l’Africa ha saltato la fase della telefonia fissa, per entrare direttamente in quella basata sui reti cellulari, molto più flessibile, economica e adatta al suo vasto territorio a bassa densità di popolazione e basso reddito, largamente privo di infrastrutture.

La stessa cosa potrebbe adesso avvenire per i sistemi energetici, dove l’incrocio fra energie rinnovabili ricavabili localmente e sistemi di accumulo, potrebbe garantire l’accesso all’elettricità nelle vaste aree dove questa non arriva o è fornita irregolarmente.

In questo modo potrebbero finalmente accendere una lampadina o conservare i cibi in frigorifero molti degli oltre 600 milioni di africani che ancora non possono farlo.

Ma visto che entro il 2030 l’Africa avrà comunque bisogno del triplo dell’attuale produzione elettrica, per accompagnare la sua economia e popolazione urbana in rapida crescita, sarà fondamentale trovare fin da subito il modo di integrare energie sostenibili come il solare e l’eolico nella fornitura delle reti africane esistenti, magari in modo più ordinato e razionale di quanto sia accaduto nelle nazioni pioniere europee, così che queste fonti siano anche immediatamente competitive con quelle tradizionali.

Spiega come si potrebbe fare uno studio, “Strategic siting and regional grid interconnections key to low-carbon futures in African countries” (vedi allegato in basso), realizzato dal Lawrence Berkeley National Laboratory, del Dipartimento dell’Energia Usa, e pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Come già fa capire il titolo, la chiave della strategia che dovrebbe seguire l’Africa nello sviluppare un sistema di centrali a sole e vento per la rete, è individuare i siti strategici più adatti per la loro installazione. “Bella scoperta”, verrebbe da dire, ma il punto è che nella situazione africana la scelta non è così semplice e scontata.

«Normalmente gli sviluppatori dei progetti a rinnovabili scelgono per l’installazione i siti più dotati della risorsa, ma non è sempre detto che questa in Africa sia la scelta migliore», spiega  Ranjit Deshmukh, primo firmatario dell’articolo.

«Molto spesso – aggiunge – è meglio individuare luoghi, magari meno dotati, ma più vicini alle reti di trasmissione esistenti o alle città, così da evitare i costi e il rischio di dover costruire e far funzionare le linee di trasmissione su enormi distanze e in territori difficili».

Inoltre è anche importante che la curva di produzione solare o eolica del sito scelto, corrisponda il più possibile a quella della domanda dell’area che andrà a servire, così da evitare eccessivi sprechi.

«Con tutte queste variabili è difficile a priori individuare l’area che offre il giusto compromesso, ma il nostro strumento aiuterà chi dovrà prendere queste decisioni in Africa, così come in India, a scegliere i siti migliori».

Lo strumento a cui si riferisce Deshmukh si chiama Mapre (Multicriteria Analysis for Planning Renewable Energy), un sistema informatico realizzato dai Berkeley Laboratory con l’International Renewable Energy Agency, che crea mappe indicanti i luoghi più adatti per lo sviluppo delle rinnovabili, incrociando, appunto, i dati sulla produttività del luogo, con la distanza dalle reti, la densità di popolazione, i consumi, il costo locale del denaro, la facilità dei trasporti, eccetera.

Ciò permette di ricavare mappe che indicano i luoghi migliori per l’installazione: ma come fare a sopperire all’intermittenza di sole e vento?

Per questo Deshmukh e colleghi non propongono avveniristici, e ancora costosi, sistemi di accumulo dell’energia, ma una soluzione “all’europea”: interconnettere il più possibile le reti delle nazioni africane, così da poter spostare l’elettricità da una zona all’altra, sopperendo con l’eccesso di una alla carenza dell’altra.

Nello studio su PNAS sono state considerate in dettaglio due aree di interscambio elettrico già esistenti, la Southern African Power Pool, e la Eastern Africa Power Pool: sviluppando centrali elettriche eoliche e solari, e interconnettendo ancora di più queste nazioni, secondo Deshmukh e colleghi, esiste la possibilità teorica di produrre molte volte più elettricità dei 1000 TWh che queste due aree richiederanno nel 2030.

Il solo Sud Africa, per esempio, ha un potenziale eolico di quasi 3.000 TWh annui, mentre la Libia, fra fotovoltaico e solare termodinamico arriva a 14.000 TWh annui.

«Ma limitandosi a ipotesi realistiche entro il 2030 e seguendo il criterio del “niente rimpianti”, cioè con installazioni a basso costo, basso impatto ambientale e facilmente accessibili, stimiamo che il vento potrebbe fornire circa il 10% dell’energia richiesta in quelle due aree e il sole un altro 20-30%, con risparmi, per il solo eolico, che variano fra il 6 e il 20% rispetto al produrre quell’elettricità con combustibili fossili».

In particolare, nella rete dell’Africa Meridionale, Tanzania, Zimbabwe, Botswana e Lesotho potrebbero ottenere dal solare “senza rimpianti”, il 30% o più della loro elettricità entro il 2030 (la Tanzania avrebbe addirittura un surplus di 20 TWh da esportare).

Ciò perché queste nazioni hanno luoghi adatti vicini agli snodi delle reti elettriche. Nella rete dell’Africa Orientale, invece, in quella situazione ottimale si troverebbero già Etiopia, Sudan e Uganda.

Altre nazioni, apparentemente molto adatte allo sviluppo del solare, come Congo, Zambia, Angola, Sud Africa, Egitto, Kenya e Libia, dovrebbero invece accontentarsi di coperture minori con il solare rispetto ai propri consumi, a causa della distanza fra le linee elettriche e alcuni dei luoghi più adatti per la produzione, a meno che questi paesi non decidano di investire in grandi infrastrutture elettriche di trasmissione.

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