Odissea burocratica italiana per un piccolo impianto fotovoltaico

Voler adeguare la propria produzione da rinnovabili significa scontrarsi con una matassa di intoppi burocratici quasi inestricabili. L'esperienza concreta di un nostro lettore per l'integrazione di un piccolo impianto FV con un sistema di accumulo, dimostra nei fatti che le barriere alle rinnovabili sono aumentate.

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Smart cities, accumulo, Internet of Things, reti intelligenti. Tutte prospettive che sembrano a portata di mano, sono pronte a livello tecnologico e anche di mercato, ma che si scontrano con una dura realtà quando devono essere applicate in contesto reale, come quello del nostro Paese.

Ed è ciò che è successo a un nostro lettore, Stefano Ceccarelli, che ha raccontato sul proprio blog l’odissea burocratica che si è trovato a dover affrontare per un’operazione tutto sommato semplice: nstallare un impianto fotovoltaico con accumulo al litio, sul proprio tetto di casa.

Una casa normale, come molte altre, una villa bifamiliare nella provincia di Frosinone, a poche decine di chilometri dalla Capitale. E parliamo di una persona, Ceccarelli, che ha tutte le caratteristiche per definirsi un “prosumer” – consumatore e produttore – estremamente evoluto e sensibile all’ambiente.

«Nel 2008 ho installato 2,9 kWp di fotovoltaico sul tetto di casa usufruendo del secondo Conto Energia e successivamente ho acquistato una delle prime autovetture ibride e ora nel 2017 mi sembrava l’ora di passare all’accumulo da fonti rinnovabili anche in prospettiva di ricaricare un’eventuale auto elettrica, cosa possibile come dimostra Luca Mercalli», ci dice Ceccarelli descrivendoci la sua esperienza.

«E così attraverso QualEnergia.it ho trovato la configurazione che mi interessava e l’installatore per realizzare un secondo impianto fotovoltaico da dedicare all’accumulo e svincolarmi il più possibile dalla fornitura elettrica proveniente dalla rete». L’esperienza di Ceccarelli è interessante anche per provare con mano la dinamica dei prezzi delle rinnovabili di piccola taglia negli ultimi anni.

«L’impianto del 2008 costò all’epoca 20.000 euro chiavi in mano per una potenza di 2,9 kW, mentre quello del 2017 (FV più accumulo, ndr) da 2,6 kWp è costato 11.000 euro chiavi in mano, batterie al litio da 5,9 kWh effettivi comprese, ovviamente». Quindi l’impianto fotovoltaico, pannelli più inverter è costato 6.000 euro con un prezzo che è passato, nei fatti, da 6.896,5 euro per kWp a 2.307,8 euro per kWp.

In pratica la parte fotovoltaica è costata il 65% in meno rispetto a nove anni prima, mentre il pacco batterie al litio è costato 5.000 euro. Ceccarelli, essendo una persona fortemente motivata da questioni come energia pulita e resilienza ecologica, è stato disposto a superare barriere e ostacoli che in questa occasione ha incontrato.

La prima questione è che serve installare un secondo contatore per l’energia prodotta dal secondo impianto, perché quando le batterie sono al 100% si possa venderla alla rete ai prezzi di mercato.

Certo una soluzione tecnologicamente meno macchinosa potrebbe esservi, ma bisogna considerare il fatto che la presunzione d’onestà in Italia non esiste per cui meglio mettere il doppio contatore che non dare la possibilità all’utente disonesto di immettere tutta la produzione sulla linea incentivata. Per cui prese tutte le decisioni del caso, è stato firmato il mandato di rappresentanza e sono stati consegnati i documenti al tecnico. E l’odissea è iniziata.

Il 21 novembre 2016, dopo essersi dotato di Pec, Ceccarelli invia al Comune la CIL (Comunicazione di Inizio Lavori). E fin qui ci sta.

Il 22 novembre 2016 viene effettuato un versamento tramite bonifico per l’importo di 36,60 € ad e-distribuzione, società del Gruppo Enel che gestisce la distribuzione di energia elettrica, pagamento che serve per farsi fare il preventivo per la connessione. Un balzello sul listino prezzi, in pratica. E’ un po’ come se in un negozio d’abbigliamento vi facessero pagare per mostrarvi l’etichetta del prezzo.

Il 4 gennaio 2017 l’impianto è completo, l’installatore esegue il collaudo e il tutto parte. In un’ora la batteria arriva al 30%, ma bisogna spegnere subito. Già, perché in assenza del secondo contatore la produzione energetica del secondo impianto viene vista dal contatore di scambio come prelevata alla rete e la fa pagare come tale. Per cui verificato il funzionamento l’imperativo è uno solo: spegnere.

Il 24 gennaio 2017, finalmente dopo un gioco a rimpiattino durato parecchio per avere informazioni al telefono e sul web, l’ingegnere incaricato dall’installatore riesce a presentare la richiesta di connessione alla rete ad e-distribuzione.

Il 26 gennaio 2017 nasce il problema dell’accumulo. E’ necessario fare un’integrazione, che viene fatta, per la presenza delle batterie che sembrano oggetti ancora abbastanza ignoti allo scenario energetico italiano.

Il 27 gennaio 2017 arriva l’accettazione della richiesta di connessione racchiusa in una missiva di undici pagine con la quale si rende noto anche il preventivo per la realizzazione della connessione: 229,82 € che sono prontamente pagati, ma non si capisce bene perché visto che la lettera recita chiaramente: «le comunichiamo che non sono previsti lavori per la realizzazione della connessione».

L’11 febbraio 2017 sono trascorsi 40 giorni dal collaudo e tutto tace. E allora Ceccarelli invia una mail di sollecito a cui non segue alcuna risposta. L’ingegnere che lo segue scopre che Enel non può effettuare l’allaccio perché bisogna agire sia sul GSE che su Terna (chissà per quale motivo). Ma non è così semplice. Ceccarelli è infatti “colpevole” di possesso di altro impianto fotovoltaico e pertanto servono i codici d’accesso di questo impianto, quello del 2008 in secondo Conto Energia. Semplice? No. I codici erano in possesso dell’azienda che lo ha realizzato quell’impianto e che nel frattempo è fallita.

Il 18 febbraio 2017 dopo una settimana passata tra compilazione e scansioni di moduli vari, arrivano le nuove credenziali e si effettuano le modifiche necessarie sul sito di Terna.

Il 2 marzo 2017 non c’è ancora nessuna novità e allora Ceccarelli chiama e-distribuzione che emette una sentenza: manca l’approvazione del “Regolamento di Esercizio”, cosa che ferma la pratica. La colpa è del modulo in excel che fa parte dell’addendum tecnico, il quale ha celle bloccate e non restituisce il valore corretto della potenza nominale dei due impianti. Insomma pare che l’accumulo sia letto come un’anomalia ed è necessario “forzare” il sistema per effettuare la correzione.

L’8 marzo 2017 un funzionario Enel corregge l’errore e il Regolamento di Esercizio può essere inviato.

Il 12 marzo 2017 Ceccarelli invia per email un altro sollecito. Inizia a essere primavera e il Sole illumina, inutilmente, i pannelli la cui elettricità non può arrivare nemmeno alle batterie, visto che l’inverter deve rimanere spento.

Il 14 marzo 2017 arriva da e-distribuzione la validazione del Regolamento di Esercizio dell’impianto.

Il 22 marzo 2017 arriva il colpo di scena visto che Enel, sollecitata, afferma che il ritardo non dipende da loro. Inizia la caccia al responsabile.

Il 23 marzo 2017 l’ingegnere, incaricato da Ceccarelli scopre l’intoppo: Terna, chissà perché, non ha reso esercibile l’impianto.

Il 24 marzo 2017 Terna, interpellata, rende esercibile l’impianto, dopodiché Ceccarelli chiama Enel che assicura che il 27 marzo (ieri) una volta verificata l’esercibilità effettuata da Terna, avrebbe disposto l’intervento tecnico di connessione.

Il 28 marzo, data in cui questo articolo è stato terminato, l’impianto di Cecarelli non è ancora connesso. Ed è ora di fare un bilancio.

Un impianto privato pagato 11.000 euro è stato fermo dal 4 gennaio al 28 di marzo, per un totale di 83 giorni in attesa di una connessione che è stata pagata in anticipo per un totale di 266,4 euro, il tutto al netto delle commissioni bancarie e del lavoro burocratico aggiuntivo sia di Ceccarelli che dell’ingegnere.

Si sono persi in questi 83 giorni circa 700,6 kWh di produzione per un valore di 147 euro e ben 269,5 kg di CO2 in più sono state emesse. Il tutto per avere la possibilità di “vendere” l’elettricità in eccesso alla rete, in maniera chiara e automatica quando si presenti quest’occasione.

«Le procedure – conclude Ceccarelli – rispetto a nove anni fa sono diventate più farraginose e meno intellegibili, con ostacoli inaspettati dietro ogni cosa. Non si tratta di una volontà politica esplicita di mettere i bastoni tra le ruote alle rinnovabili, ma il problema è proprio l’ingranaggio che non è oliato come dovrebbe essere».

Si direbbe, da questa esperienza, che il gran parlare che si fa di energie intelligenti, di Smart Cities, di interazioni e connessioni sia solo materia per delle slide di presentazione ai convegni.

Se per un’installazione tutto sommato semplice come quella di aggiungere un impianto fotovoltaico con accumulo a uno precedente e in funzione, si devono interpellare tre soggetti diversi che oltretutto non si parlano tra di loro e hanno procedure che, viste nel loro complesso, definire opache è un eufemismo, non possiamo immaginare cosa succederà quando a un impianto di questo tipo il nostro lettore volesse aggiungere un’auto elettrica che fornisce alla distribuzione e alla trasmissione servizi di rete, magari interrompendoli poco dopo perché in quel momento diventa più conveniente cedere elettricità sul mercato elettrico.

Il futuro delle rinnovabili è rappresentato, per dirla con Gianni Silvestrini, dalle sartorie energetiche in grado di ritagliare su misura l’impianto necessario a una famiglia, a un’impresa o a una comunità, ma in questo caso sembra che siamo ancora alla fase della tosatura della pecora, per rimanere in tema di sartoria, con l’aggravante che i pastori litigano su come e quando tosarla questa pecora. 

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