Esternalità negative del petrolio: bisogna contare anche terrorismo e mafie?

CATEGORIE:

Uno studio americano fa luce sulle operazioni illecite che riguardano l’oro nero: furti e contrabbando costituiscono un mercato parallelo che vale miliardi di dollari ogni anno in tutto il mondo, con pesantissime ripercussioni non solo sulla sicurezza e l'economia legale, ma anche sull’ambiente.

ADV
image_pdfimage_print

Tra le varie esternalità negative delle fonti fossili, c’è un elemento molto sottovalutato ma con impatti particolarmente devastanti, perché riguarda non solo l’ambiente ma anche il terrorismo internazionale e le relazioni tra Stati: stiamo parlando dei furti di petrolio.

Un’analisi approfondita di questo problema è stata pubblicata a gennaio dal think-tank americano Atlantic Council: Downstream Oil Theft.

L’autore, Ian M. Ralby, ha aggiunto in questi giorni una serie di considerazioni allo studio, che esamina il modo in cui possono avvenire traffici illegali di oro nero in diversi Paesi del mondo e le possibili soluzioni (entrambi i documenti sono allegati in basso).

Tra gli extra costi “segreti” degli idrocarburi, così definiti perché sono difficili da calcolare e perché sono perlopiù scaricati sulla collettività, di solito si citano i costi socio-sanitari e ambientali legati al consumo di carburanti fossili, che potrebbero essere ammorbiditi con sistemi di carbon pricing volti a ridurre le emissioni inquinanti.

Poco si discute, invece, sui furti di petrolio, che però sono molto diffusi.

Ecco qualche esempio citato nello studio: in Messico, un cartello della droga può ricavare decine di migliaia di dollari in pochi minuti, rubando il greggio raffinato da un oleodotto, in Nigeria il 30% dei prodotti petroliferi è contrabbandato nei paesi confinanti, in Marocco e Tunisia centinaia di migliaia di automobili viaggiano con benzina proveniente dall’Algeria e acquistata sul mercato nero.

In Europa, le frodi nel settore degli idrocarburi hanno fatto perdere almeno 4 miliardi di € di ricavi alle industrie e agli Stati membri nel 2012, secondo le stime avanzate dall’Atlantic Council.

Questi furti “a valle” della filiera petrolifera (downstream, cioè la distribuzione), possono rientrare nelle esternalità negative o effetti collaterali dei combustibili fossili per molte ragioni.

Senza addentrarci in complesse considerazioni geopolitiche, è chiaro che le attività illecite come quelle descritte nello studio, che valgono decine di miliardi di dollari l’anno a livello mondiale, non fanno altro che gettare benzina sul fuoco, letteralmente, per il terrorismo, il traffico di droga e armi, la corruzione, il contrabbando, le insurrezioni di gruppi paramilitari.

Non solo: le fuoriuscite di greggio (oil spills) causate da furti e danneggiamenti alle infrastrutture, tipicamente gli oleodotti, possono devastare interi territori, com’è successo nella regione del Delta in Nigeria.

Contaminazione di suolo e acqua, distruzione di ecosistemi, danni per l’agricoltura e la pesca: tutti esempi di esternalità ambientali, anche gravissime, che andrebbero incluse nel novero degli extra costi delle fonti fossili come conseguenza dei furti internazionali.

Tra i passi suggeriti dall’autore per limitare il fenomeno, troviamo ad esempio il “molecular fuel marking”, che in sintesi consiste nel marcare il carburante con procedimenti chimici per renderlo sempre tracciabile lungo la filiera e distinguerlo dal combustibile rubato.

Non è certo un sistema infallibile, come dimostra il caso ugandese, dove la marcatura, da un lato, ha ridotto notevolmente il contrabbando di oro nero, ma dall’altro ha visto aumentare la corruzione nell’ambito delle stesse autorità di controllo, con furti di benzina da immettere poi nel mercato parallelo.

Altri rimedi prevedono il monitoraggio satellitare dei camion-cisterna, l’installazione di dispositivi avanzati per il controllo e l’analisi dei dati, in grado di segnalare tempestivamente eventuali perdite di petrolio da oleodotti e impianti di stoccaggio, la loro entità e durata, il punto preciso in cui sono avvenute.

Lo studio completo uscito a gennaio 2017 (pdf)

Le nuove considerazioni dell’autore (pdf)

ADV
×