Sentenza su fotovoltaico e paesaggio: “no a limitazioni illogiche”

Una Soprintendenza pretendeva che i moduli FV, oltre ad essere dello stesso colore delle tegole, fossero installati anche sulla falda nord. Per il Consiglio di Stato, nel proibire il FV in aree vincolate i dinieghi non possono essere “sproporzionati”. E poi c'è l'interesse nazionale per le rinnovabili.

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Il potere della Soprintendenza nel proibire il fotovoltaico in aree vincolate ha dei limiti, anche alla luce degli obiettivi che il nostro Paese ha in quanto energie rinnovabili.

A ricordarlo è il Consiglio di Stato, con una recente sentenza della sua sesta sezione, che, ribaltando una decisione del Tar Lombardia, è intervenuta cancellando una serie di dinieghi “sproporzionati ed illogici opposti a un progetto di fotovoltaico su tetto a falda, più volte modificato per venire incontro ai dettati dei Beni Culturali.

Rimandando alla sentenza (in allegato in basso) per la ricostruzione completa della tormentata vicenda, riassumiamo il caso.

La Soprintendenza competente, a partire dal 2011, ha rifiutato diverse volte l’autorizzazione per un impianto FV a falda sul tetto di due edifici a ridosso del centro storico di un paese sul Garda bresciano, su un territorio soggetto a “dichiarazione di notevole interesse pubblico”.

Dopo aver imposto che l’impianto fosse realizzato con moduli fotovoltaici dello stesso colore della copertura, l’ultimo rifiuto della Soprintendenza riguardava la pretesa che l’impianto coprisse interamente i tetti, falde nord comprese.

A quel punto i progettisti avevano fatto ricorso al Tar Lombardia, sezione di Brescia, vedendoselo però rigettare. Da qui il caso è passato al Consiglio di Stato che ha annullato la decisione del Tar.

Tra le altre cose, nella sentenza, il CdS scrive (neretti nostri) che “appare eccessivo e in definitiva sproporzionato e illogico – anche alla luce dell’esigenza, legislativamente riconosciuta, d’incentivare la produzione di energia con fonti rinnovabili, e di favorire soluzioni di risparmio energetico (…) che la Soprintendenza esiga dalla società, al fine di superare le alterazioni e le problematiche evidenziate sopra (…), la installazione di pannelli fotovoltaici sull’intero sistema di falda, pretendendo la realizzazione di una ‘copertura totalmente fotovoltaica’, e questo al di là della effettiva assurdità tecnica e insostenibilità economica della operazione”.

Nelle memorie, infatti, in maniera secondo il Consiglio “più che plausibile”, la società pone in risalto che le altre falde, non coperte con i pannelli, in quanto esposte a Nord, non possono ricevere i raggi del sole e non possono adempiere alle finalità per le quali si ricorre alla posa dei pannelli, “sicché è da considerarsi contrario al principio di proporzionalità e all’esigenza di conciliare la tutela ambientale e gli aspetti paesaggistici con le necessità legate al risparmio energetico pretendere una totale uniformità su tutte le falde.

Per questo, ad avviso del Collegio la sentenza del Tar di Brescia, che aveva respinto il ricorso, “presenta profili di contraddittorietà interna e di omessa adeguata considerazione specie delle modifiche progettuali apportate dalla società”.

Certo, il Consiglio di Stato non entra in valutazioni tecnico-paesaggistiche che, si legge nella sentenza, sono “caratterizzate da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa”, ma “ritiene ugualmente di dover convenire con la parte appellante”, laddove questa “rimarca come sia la stessa sentenza impugnata ad ammettere e a riconoscere che: la posa di pannelli fotovoltaici, oltre che favorita dal legislatore, non arreca “ex se” alcun degrado all’ambiente circostante; la stessa Soprintendenza ha dichiarato di non essere pregiudizialmente contraria alla posa dei pannelli avendo in concreto invitato la società a riformulare il progetto originario (…)”

Da ciò discende “l’accoglimento dell’appello e, in riforma della decisione impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento non solo del parere sfavorevole di compatibilità paesaggistica della Soprintendenza di Brescia, ma anche del successivo diniego conforme del Comune”.

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