Il preoccupante inquinamento in Africa: impatti sanitari, ambientali e soluzioni

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Secondo l'Ocse, in Africa si stimano 712.000 morti premature per l'inquinamento dell'aria, un dato in costante aumento dal 1990. Le cause? Le emissioni del trasporto nelle aree urbane, i milioni di micro generatori diesel o a benzina, l'uso di cucine rudimentali in ambiente chiusi. Quali possibili rimedi?

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Nei mesi scorsi sono state pubblicate le stime sugli impatti sanitari dell’inquinamento dell’aria in Europa e in Africa nel 2013.

Uno studio rilasciato dall’Agenzia europea per l’ambiente evidenzia come siano state 467.000 le morti premature nel vecchio continente, un dato preoccupante, ma che si sta riducendo nel tempo.

Il secondo, elaborato dall’Ocse, stima in 712.000 i decessi in Africa. Un valore che, al contrario, è in continua crescita: l’attuale mortalità è di un quarto più elevata rispetto a quella del 1990.

Ma per essere realmente compreso nella sua drammaticità, il dato africano va disaggregato. Solo un terzo delle morti premature è infatti connesso con l’inquinamento negli spazi aperti delle città, mentre la quota maggiore è legata all’inquinamento negli spazi chiusi, dalle case che usano gruppi elettrogeni agli ambienti dove si usano sterpaglie per cucinare, che affumicano principalmente donne e bambini. 

Se si analizza poi l’evoluzione degli impatti ambientali, si nota come il peggioramento più netto si è registrato nei dati di inquinamento degli spazi aperti che hanno portato ad un aumento del 36% della mortalità, mentre i decessi nelle abitazioni sono cresciuti ad un ritmo inferiore, con un +18% rispetto al 1990.

L’aria delle città è infatti ammorbata da mezzi di trasporto molto inquinanti, da milioni di generatori diesel installati per far fronte ai frequenti black-out, dalle vicine industrie, dagli incendi dei rifiuti …

Una situazione peggiorata con l’incremento della popolazione urbana, più che raddoppiata negli ultimi 25 anni. Considerato che, entro il 2050, l’Africa vedrà un ulteriore raddoppio del numero di abitanti, è evidente che l’emergenza dell’inquinamento dell’aria va affrontata con decisione. Le ricadute sulla salute sono infatti più gravi rispetto a quelle legate all’acqua non potabile e alla malnutrizione infantile.

Ma analizziamo più in dettaglio, tre dei comparti maggiormente responsabili dei micidiali impatti sanitari.

Emissioni del trasporto

Partiamo dalle emissioni del trasporto nelle grandi città caratterizzato da una rapidissima crescita del numero di veicoli, spesso modelli inquinanti di seconda mano provenienti dall’Europa e dal Giappone.

Non siamo ancora ai livelli che si registrano nelle megalopoli cinesi e indiane, ma ci si sta avvicinando e in alcune città le soglie asiatiche sono già state superate. Esistono pochi sistemi di monitoraggio, ma dove vengono raccolti i dati sulla qualità dell’aria, questi sono molto preoccupanti.

In una recente classifica dell’Organizzazione mondiale della Sanità, sono nigeriane ben quattro delle venti città più inquinate del pianeta. 

Disincentivare le importazioni di veicoli vecchi e inquinanti e puntare con decisione su una nuova mobilità elettrica – con biciclette, tuk-tuk (tricicli come le nostre “Ape”)  e  minibus – può rappresentare un’alternativa possibile, come insegnano interessanti esperienze che stanno emergendo in Asia.

Generatori elettrici

Un altro ambito critico, particolarmente in alcuni paesi, è quello dei generatori elettrici, molto diffusi dove manca la rete elettrica o per ovviare ai frequenti black-out dove questa è presente. Le cifre sono impressionanti. In Africa sono 130 milioni le famiglie che non hanno accesso all’energia elettrica

In Nigeria si stima che siano ben 12 milioni di mini generatori, a volte posti all’interno degli stessi appartamenti per evitare i furti. Tra il 2009 e il 2012 sono stati spesi 10 miliardi $ per il loro acquisto. Se si considera che la potenza elettrica installata in Nigeria è di soli 6.000 MW, emerge con chiarezza l’irrazionalità che porta a destinare enormi risorse per rimediare all’inefficienza del sistema nazionale di produzione e trasmissione dell’elettricità.

Ovviamente, l’impatto sulla salute degli inquinanti emessi, ad iniziare dal monossido di carbonio e dal particolato, è notevole. L’insufficiente ventilazione provoca conseguenze particolarmente gravi quando i generatori sono collocati all’interno degli appartamenti o nelle immediate vicinanze, ma l’impatto delle emissioni è notevole anche per gli impianti di taglia maggiore collocati all’esterno.

Paradossalmente però, proprio l’incapacità del sistema elettrico di far fronte alle esigenze della popolazione e delle aziende (il cui fatturato si riduce del 10-20% a causa delle interruzioni di elettricità) rappresenta il contesto ideale per un progressivo passaggio alle fonti rinnovabili.

Il rapido calo del prezzo del fotovoltaico e delle batterie (oltre che dei led) potrà infatti favorire nei prossimi anni la diffusione di queste soluzioni al posto dei generatori a benzina o diesel, ad iniziare dalle comunità isolate con la creazione di micro-reti elettriche.

La cottura del cibo

Il terzo comparto su cui puntare i riflettori riguarda le cucine rudimentali che utilizzano sterpaglie, carbonella, scarti agricoli e letame essiccato.

Questa pratica, che riguarda 700 milioni di persone nell’Africa sub sahariana, comporta danni sanitari, ambientali, oltre alla fatica e alla perdita di tempo per la raccolta del combustibile. In 23 paesi oltre il 90% della popolazione non ha altre alternative.

Peraltro, visto l’aumento della popolazione, si prevede che nel 2020 il numero di africani costretti ad utilizzare pratiche primitive e dannose per cucinare gli alimenti salirà a 880 milioni.

Gli impatti sanitari di queste pratiche sono evidenti. Le emissioni di particolato, di monossido di carbonio e di gas policiclici aromatici possono infatti causare danni respiratori, tumori polmonari e danni ai feti. A livello mondiale le morti per queste cause, 4,3 milioni l’anno secondo l’OMS, superano quelle combinate di malaria, tubercolosi e Aids. La metà di queste riguarda bambini sotto i cinque anni, a causa soprattutto di malattie polmonari. Le donne, evidentemente, sono particolarmente esposte alle emissioni. Secondo uno studio della Banca mondiale effettuato in Kenya, l’impatto sanitario è quadruplo rispetto a quello sugli uomini.

Sempre le donne sono costrette a fare da uno a dieci chilometri per raccogliere il combustibile impiegando per questa attività da una a cinque ore al giorno.

C’è poi anche l’impatto sull’ambiente. Secondo la Fao, una famiglia di sei persone utilizza 8 kg di legna per ogni pasto. Complessivamente nell’Africa sub sahariana vengono utilizzate 300 milioni di tonnellate di legna all’anno, con gravi rischi di deforestazione e desertificazione perché la raccolta supera in molti casi la capacità di recupero della vegetazione.

Anche in questo campo si sono sviluppate negli ultimi decenni soluzioni interessanti per aumentare il rendimento delle cucine e ridurre notevolmente le emissioni (per informazioni vedi Global Alliance for clean coockstoves).

Malgrado i tempi di ritorno degli investimenti siano molto bassi, spesso sotto l’anno, la loro diffusione è ancora limitata, anche se la situazione sta cambiando grazie all’avvio di diversi programmi di diffusione. Ed è interessante il fatto che molte tecnologie “pulite” sono in grado di ridurre anche le emissioni di gas climalteranti.

Considerata la decisione presa con l’Accordo di Parigi di destinare notevoli risorse ai paesi più poveri per sostenere le politiche di adattamento e di mitigazione, è possibile pensare ad un rafforzamento delle iniziative volte a ridurre sia i rischi climatici che gli impatti locali dell’inquinamento dell’aria.

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Nigrizia (gennaio 2017)

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