Alla ricerca dei nuovi protagonisti della transizione energetica

Perché la conversione ecologica è così lenta? Come accelerare il passo se la politica non riconosce l'urgenza della crisi climatica e se le comunità locali non sono aperte al cambiamento sostenibile? Il primo passo è la rimozione delle barriere culturali.

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L’articolo nella versione digitale della rivista QualEnergia

Il profilo dei protagonisti della conversione ecologica sta cambiando: è diminuita drasticamente la richiesta di visionari, missionari e illuministi e, tendenzialmente, anche dei tecnici.

Le visioni della conversione ecologica appartengono agli anni Ottanta. Ad Alexander Langer, che introdusse il concetto «la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile» a Murray Bookchin (ecologia della libertà), a Rudolf Bahro (logica della salvezza), a Barry Commoner (il cerchio da chiudere), a Ivan Illich (convivialità) e a molti altri.

Non abbiamo più bisogno di visionari per dipingere la società ecologica, il che non significa che non sia benvenuta l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Riprende il concetto di conversione ecologica, insiste sullo stretto nesso tra la crisi ecologica e sociale e, nonostante un’analisi rigorosa che evidenzia una situazione di distruzione della vita umana su questo pianeta, emana ottimismo e speranza.

È anche venuta meno la domanda per missionari e illuministi che disseminano, informano, predicano, ammoniscono che la terra ci è stata data in prestito dai nostri figli, che la nostra impronta ecologica è troppo grande e che ogni anno arriviamo qualche giorno prima al “Earth Overshoot Day“, giorno in cui l’umanità avrà esaurito il budget ecologico di un anno.

È importante continuare queste attività, soprattutto con le nuove generazioni, ma si può partire dalla consapevolezza diffusa che stiamo vivendo una crisi ecologica e sociale che richiede una trasformazione profonda del modo di produrre, distribuire, consumare e smaltire.

I cambiamenti climatici sono in atto e lo sanno tutti e tutte, o quasi. I pochi che non sono interessati o che negano non meritano di essere illuminati. Non vedranno la luce. Conosciamo i problemi, sappiamo, a grandi linee, dove vogliamo andare e quali soluzioni vanno applicate.

Perché la conversione ecologica va avanti così lentamente? Che cosa si deve fare per accelerare il passo? Certo, il problema è una classe politica che non riconosce l’urgenza della crisi ambientale. È anche vero che le industrie temono per i loro profitti legati al fossile.

Però la questione più grande riguarda il distacco tra i grandi problemi ecologici e sociali e la vita quotidiana nelle comunità locali.

Esistono barriere socioculturali all’installazione dei generatori eolici o alla costruzione di una centrale a biomassa in un determinato luogo partendo dalle resistenze e preoccupazioni delle persone che si oppongono. In senso generale tutti e tutte sono a favore delle energie rinnovabili.

Quando però si tratta della pala eolica sul crinale dietro la propria casa, le cose cambiano. La distruzione del paesaggio, campi elettromagnetici, gli uccelli migratori, la perdita di valore del proprio immobile le paure sono molte e non tutte infondate.

Quello che continua a stupire è la diffusa incapacità o mancanza di volontà di informare, ascoltare, far partecipare quelli che sono gli esperti del proprio territorio, gli abitanti. Per paura di svegliare i cani che dormono, per mancanza di capacità comunicative, per una mentalità autoritaria.

I nuovi protagonisti della conversione ecologica sono gli psicologi ambientali, i campi d’azione sono le comunità locali, le culture professionali nelle amministrazioni pubbliche e, tra gli esperti, l’obiettivo è la rimozione delle barriere che separano quello che si conosce da quello che si è pronti a mettere in atto.

L’articolo è stato originariamente pubblicato sul n.5/2016 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “L’ecologia sociale”

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