Come “industrializzare” l’edilizia italiana

In Italia manca un'industrializzazione efficiente per la costruzione e la gestione dell'edificio. Ci sono oltre tredici milioni di edifici "colabrodo" che dovrebbero essere rigenerati in chiave di sostenibilità. Bisognerà rendere l'edificio sempre meno un bene immobile e più un bene-servizio con un suo rendimento.

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L’articolo nella versione digitale della rivista QualEnergia

In trent’anni, le auto sono passate dalla Fiat Ritmo alla Prius e alla Testa Model S.

Un’evoluzione incredibile, che vede finalmente il trionfo dell’auto elettrica e ibrida, superefficiente, fatta di componenti riutilizzabili e con un design sempre più ecoefficiente, disponibile a scala industriale.

Lo stesso non si può dire per le case in cui abitiamo. Anche le più nuove hanno spesso le stesse tecnologie di quelle di trent’anni fa. Caldaia a gasolio o a gas, coibentazioni mediocri, nessun sistema di gestione intelligente dell’energia, nessun elemento rigenerativo. Sono costruite con le stesse modalità con cui si costruivano negli anni Sessanta.

Ancora oggi, la filiera costruttiva è fatta di tanti soggetti (impiantista, progettista, architetto, costruttore, piastrellista) che raramente s’interfacciano e altrettanto raramente seguono una progettazione integrata. Basti pensare che meno dello 0,1% dell’edilizia è costituita da compagnie con più di 250 persone.

Quelle con almeno 50 unità? Lo 0,2%. Ciò significa l’assenza di un’industrializzazione efficiente per la costruzione e la gestione dell’edificio.

«Il mercato è da riconfigurare completamente, attraverso la digitalizzazione degli edifici e dei processi costruttivi e attraverso l’economia circolare nell’edilizia» spiega Thomas Miorin, presidente di Re-lab e ideatore di Rebuild, il forum su innovazione della riqualificazione e gestione immobiliare.

«È un passo in più, perché nell’edilizia circolare sparisce l’idea stessa di scarto, sia esso materia, energia o tempo delle persone. Tutto ha valore e, attraverso una convergenza tra nuove tecnologie disponibili e un nuovo processo organizzativo, è possibile realizzare un nuovo modello capace far quadrare il cerchio: rigenerare il nostro patrimonio edilizio, rimettere in pista il settore immobiliare e l’economia del nostro paese, ridurre drasticamente l’inquinamento in città e la bilancia energetica del nostro paese».

Significa eliminare una quota di emissioni (a livello globale il settore pesa il 30% sul totale delle emissioni) e di materia (il 54% dei materiali viene conferito in discarica).

Un’opportunità, quella dell’edilizia circolare, che tradotta in termini di mercato, potrebbe generare ricavi per 1.010 miliardi entro il 2030, secondo le stime di una ricerca sviluppata nel 2016 da McKinsey & Co., Ellen McArthur Foundation e Sun.

Di questo valore, circa 90 miliardi potrebbero interessare il comparto immobiliare italiano. In Italia, ci sono oltre tredici milioni di edifici “colabrodo” che devono essere rigenerati in chiave di sostenibilità.

Una nuova strategia

Secondo David Cheshire, autore del libro “Builiding Revolutions: Applying the Circular Economy to the Built Environment“, «serve innanzitutto pensare alla next-life dell’edificio, a cosa potrà diventare dopo la sua fine.

Quali reincarnazioni avrà? Serve disegnare gli edifici che includano come smembrarli a fine vita e come riusare le componenti, evitando di trasformare (downcycle) ogni cosa in rifiuto. Per giungere a ciò bisogna ripensare le forniture di materiali, attivare i fornitori».

Un tema quello della riconfigurazione della filiera del settore che anima il dibattito di tutti i principali forum di edilizia e immobiliare, da Saie a Rebuild.

«Serve una trasformazione industriale – continua Miorin. Ci sono degli aspetti prodromici che sono già avvenuti: la dimensione della sostenibilità e la progettazione integrata che si manifestano nella costruzione e nell’uso dell’edificio. Si costruisce a strati, con moduli intercambiabili, efficienza energetica spinta, impiegando moduli prefabbricati riutilizzabili».

«L’uso – prosegue – include la produzione di cibo, la condivisione di spazi, la connettività e il telelavoro, la manutenzione automatizzata e controllata a distanza. Tutto ha valore e, attraverso la convergenza tra nuove tecnologie disponibili e un nuovo processo organizzativo, è possibile realizzare un’edilizia capace di rigenerare il patrimonio pubblico e privato, ridare energia all’economia, ridurre drasticamente l’inquinamento in città e ridefinire il bilancio energetico nazionale».

Se poi l’edilizia incontra la bioeconomia italiana del legno, si capisce il potenziale ancora più grande. Il legno, per sua natura, è un materiale nodale per la prefabbricazione: le tecnologie del telaio e XLam (copyright Tren-tino) coprono il 90% delle tecnologie costruttive del settore prefabbricazioni industriali.

La flessibilità delle soluzioni tecnologiche e progettuali, e la sostenibilità intrinseca del legno come materiale da costruzione, lo rendono un materiale particolarmente adatto nella sperimentazione di nuove soluzioni costruttive, come lo studentato Mayer di Trento di Essepi Xxl e Duo Puu.

Italia piccola

Al di fuori di alcuni esempi virtuosi come il legno, l’Italia rimane vittima delle mille società edili a conduzione familiare e di una filiera degli impianti spesso frammentata. Contrariamente al Regno Unito, Olanda e USA, dove crescono sempre più esempi di edilizia circolare industriale, in Italia non si annovera ancora un esempio del genere. In Italia le fasi di vita non sono coperte.

Questo perché serve una gestione finanziaria diversa su edificio e impianti, che da noi non esiste.

I fondi mobiliari tipicamente hanno un ciclo finanziario dell’operazione di sette anni, troppo breve. È la dissociazione attuale ­ ma risolvibile ­ fra questi cicli che veramente crea l’impossibilità non solo di poter pensare all’intero ciclo di vita degli edifici ma anche di fare operazioni di riqualificazione ed efficientamento.

Per i promotori dell'”economia circolare”, nell’immobiliare, la soluzione viene dall‘industrializzazione dell’edilizia: l’unica organizzazione tecnico-economica capace di presiedere a un ciclo di vita di un prodotto complesso nell’economia capitalistica è, di fatto, la dimensione industriale.

Non a caso i settori che sono andati più avanti nell’applicazione dell’economia circolare sono quelli industriali, come dimostrano numerosi casi studio riportati dalla MacArthur Foundation. Perché i soggetti industriali, non necessariamente grandi corporation ma anche reti di imprese, sono gli unici che hanno la capacità di trasformare un prodotto in un servizio, gli unici che hanno le risorse tecnico-finanziarie per presiedere talmente tanti ambiti e che hanno una struttura e risorse per governare questa trasformazione.I pensatori del movimento circolare, come David Cheshire, non hanno dubbi.

La casa deve essere sempre meno un bene immobile e più un bene-servizio con un rendimento. Serve fare un doppio salto carpiato per ottenere ciò. Da un lato un passaggio tecnico/industriale, con l’industrializzazione della produzione e dall’altro un passaggio economico, con una definizione dei parametri di valore accordati tra la filiera, dove siano garantiti la performance dell’edificio e il suo valore in base alle prestazioni, nuovi strumenti finanziari come green lease, due diligence, nuovi modelli di business (building as a product), ecc.

La sfida, per un settore che pesa un sesto del Pil italiano e su cui si fonda la ricchezza patrimoniale dell’Italia, non è banale. Gli attori stanno arrivando sulla scena. Resta da scegliere se rimanere comparse o assumere il ruolo da protagonisti.

L’articolo è stato originariamente pubblicato sul n.5/2016 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “L’edilizia è circolare”

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