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Extra costi e ritardi per i mega progetti fossili e nucleari

Secondo le stime di Ernst&Young su cento grandi opere energetiche a livello mondiale, il 57% delle iniziative ha sforato il budget preventivato. Le punte più elevate riguardano le centrali fossili, nucleari e i bacini idrici. Nel 64% dei cas i lavori procedono a rilento. Cause e implicazioni per il mix elettrico futuro.

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Ventimila miliardi di dollari: a tanto ammonterà la nuova ondata d’investimenti che secondo le stime più recenti della IEA (International Renewable Agency) sarà necessaria per plasmare le infrastrutture energetiche del futuro.

A ricordare questa cifra “stellare” è Ernst & Young (EY) nelle premesse del suo rapporto Spotlight on power and utility megaprojects (allegato in basso).

Parliamo quindi delle grandi opere per la produzione-trasmissione dell’energia e nel settore idrico: la società di consulenza, infatti, ha esaminato cento tra i maggiori progetti mondiali di questo genere, in termini di risorse in conto capitale impiegate dalle aziende. EY ha valutato ogni stadio nel ciclo di vita delle tecnologie coinvolte, dal prefinanziamento al ritiro dal mercato (decomissioning).

Parliamo soprattutto di centrali a gas e carbone, impianti idroelettrici e reattori nucleari, ma anche di parchi eolici offshore e reti idriche. I risultati dell’indagine sono molto chiari: il 64% dei mega progetti è in ritardo sulla tabella di marcia originaria, con una media di 25 mesi, mentre il 57% ha sforato il budget preventivato e in questo caso la media è +35% sulle spese calcolate inizialmente (vedi anche questo precedente articolo di QualEnergia.it).

Come mostra la cartina sotto, i ritardi maggiori riguardano gli investimenti nell’America settentrionale, con quasi tre anni in media di sfasamento tra data finale dei lavori prevista/effettiva; l’America Latina, invece, primeggia quanto a sforamenti di budget, +58% in media rispetto ai conti di partenza.

cartina mancante

Il rischio di progetto con relativo cost overrun è particolarmente elevato, si legge nel documento, per le grandi centrali nucleari e idroelettriche, nell’ordine, rispettivamente, di 4-4,6 miliardi di dollari in più per ogni singola iniziativa.

A proposito di nucleare, tra gli esempi più citati del fallimento di un piano di investimenti c’è l’infinito cantiere per il reattore EPR di Olkiluoto in Finlandia: l’unità entrerà (forse) in funzione nel 2018 anziché nel 2009 e con costi quasi triplicati da tre a circa 8,8 miliardi di euro.

L’argomento è tornato alla ribalta proprio in questi mesi, dopo che il Governo inglese ha annunciato il via libera definitivo alla costruzione della centrale nucleare di Hinkley Point C: ci vorranno 18 miliardi di sterline, secondo le stime più aggiornate, per produrre la prima energia nel 2025, quando le più ottimiste previsioni iniziali parlavano di 10 miliardi e consegna nel 2017 (Perché la Gran Bretagna vuole la centrale nucleare di Hinkley Point).

Tornando ai dati di EY, il grafico sotto riassume le percentuali di ritardi-sforamenti di budget per i diversi tipi di progetti, nell’ambito del campione di cento mega opere considerate. Si vede bene che gli investimenti più rischiosi e incerti riguardano il carbone e l’idroelettrico, con una differenza media di circa tre anni tra il piano dei lavori e l’avanzamento reale dei cantieri.

grafico mancante

L’idroelettrico è anche l’investimento che genera i maggiori extra costi, rispetto a tutte le altre fonti energetiche fossili/rinnovabili, +60% circa. Dalla parte opposta, invece, centrali a gas e parchi eolici offshore sono le due categorie di progetti che di solito comportano meno incognite e rispettano di più le indicazioni di tempo e costo stabilite nei business plan.

Extra costi e ritardi, osserva infine EY, sono solo la punta di un iceberg. Spesso, infatti, le cause che determinano il fallimento di un’operazione sono molto più profonde, un po’ nascoste e difficili da quantificare nello stadio inziale della pianificazione.

Il problema, spesso, è che le caratteristiche del progetto non sono state approfondite nel modo corretto, pensiamo ad esempio alle difficoltà di valutare tutti i rischi finanziari, politici e ambientali, alla complessità delle norme e regole tecniche nei diversi paesi, alla necessità di calcolare con precisione la domanda elettrica attuale e futura di una data regione.

Queste difficoltà si riflettono sui frequenti cambiamenti per gli obiettivi nazionali da raggiungere nelle varie fonti di energia: un esempio su tutti è la Cina, che di recente ha deciso di elevare la potenza cumulativa installata nel carbone da 960 a 1.100 GW nel 2020 e, allo stesso tempo, di ritardare la costruzione di circa 150 GW di nuovi impianti per abbassare leggermente il peso relativo di questa risorsa nel mix produttivo, a vantaggio delle rinnovabili (vedi QualEnergia.it).

Sono tutti dati e situazioni che dovrebbero indurre le utility a riflettere con attenzione su quale modello converrà seguire in futuro: produzione centralizzata di energia con grandi impianti a gas-carbone-idroelettrici-nucleari o una generazione più diffusa, costituita da tanti impianti rinnovabili abbinati a sistemi di accumulo e reti intelligenti.

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