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Una transizione energetica irreversibile, ma con qualche ombra

Dall’elezione di Trump alla dichiarazione di Marrakech, passando per le nuove strategie delle utility, gli investimenti nell’auto elettrica, il fondo “verde” dei petrolieri: segnali contrastanti, ma per lo più positivi, nella corsa verso le rinnovabili per cercare di limitare il surriscaldamento globale.

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La transizione energetica verso le fonti rinnovabili è un processo inarrestabile? Il 2016 sembra avviato a chiudersi con più passi avanti che indietro e alcuni segnali molto promettenti, come evidenzia Jeremy Leggett nell’ultimo post del suo blog dedicato al nesso tra energia fossile e cambiamento climatico.

Leggett è un personaggio dalle molteplici sfaccettature: dopo aver lavorato parecchi anni nel settore oil & gas, si è convertito alle rinnovabili. Fondatore di Solarcentury, direttore del think-tank finanziario Carbon Tracker, scrittore e futurologo, ogni mese pubblica un aggiornamento sullo stato di salute dell’economia verde internazionale.

Il rischio, emerso con chiarezza negli ultimi mesi – scrive però Leggett – è che la società umana non riuscirà a creare un’economia a basse emissioni di CO2 con la rapidità necessaria a evitare gli effetti più distruttivi dell’aumento delle temperature medie terrestri.

Tra i tanti campanelli d’allarme ricordiamo l’ultimo rapporto della conservatrice IEA (International Energy Agency) che, tra una previsione e l’altra sull’evoluzione del mix energetico mondiale, ha ricordato che intorno al 2040 l’umanità avrà esaurito l’intero carbon budget, la quantità di gas serra compatibile con l’ormai noto scenario dei due gradi centigradi (Per la IEA le rinnovabili possono salire al 60% nel mix elettrico del 2040).

Da Trump alla Cina

L’elezione di Donald Trump ha restituito un’immagine un po’ strana: mentre tutto il mondo, o quasi, va in una direzione, quella segnata dagli accordi di Parigi e dalla dichiarazione di Marrakech, gli Stati Uniti potrebbero dirigersi dalla parte opposta. Alla Cop22 in Marocco, 196 paesi hanno siglato l’impegno a combattere il cambiamento climatico con uno slancio “irreversibile”; Trump, al contrario, ha affermato in più occasioni che il surriscaldamento globale è una “bufala”.

Difficile anche immaginare che gli Stati Uniti di Trump vorranno rimanere isolati nella corsa alla green economy, cui la stessa Cina vuole partecipare con la massima intensità. La Cina del carbone e del solare, dell’inquinamento metropolitano e degli investimenti in tecnologie pulite, sintesi perfetta delle contraddizioni che muovono la transizione energetica (vedi anche QualEnergia.it).

Pechino ha già criticato le idee di Trump. Vedremo se la sua politica sarà davvero così orientata alle fonti fossili come sbandierato in campagna elettorale e se vorrà circondarsi di uomini che fanno del clima-scetticismo (per non dire negazionismo) il loro pensiero dominante. L’ultimo nome a circolare per la poltrona dell’EPA è Scott Pruitt, noto contestatore delle scelte verdi di Barack Obama.

Fossili vs rinnovabili nei piani delle utility

L’irreversibilità dell’azione salva-clima emerge anche dalle nuove strategie di alcune aziende. Un esempio molto citato riguarda Dong Energy. Il colosso danese, infatti, sta completando il suo disinvestimento dalle infrastrutture legate a petrolio e gas, per concentrarsi esclusivamente sulle rinnovabili, soprattutto i grandi parchi eolici offshore.

Questi rinnovamenti non sono certo scontati e anzi molte compagnie fossili continuano a finanziare studi, ricerche e articoli giornalistici per promuovere l’economia centrata sugli idrocarburi. Un gruppo di big del petrolio, di recente, ha lanciato un’iniziativa “verde” dai contorni molto incerti e sfumati; si parla perlopiù di gas flaring e sistemi CCS tralasciando le rinnovabili (questi temi sono stati approfonditi nell’articolo Fondo clima dei petrolieri: sotto il greenwashing poco o niente).

Eppure, diversi investitori si stanno accorgendo del rischio-bolla connesso all’economia fossile: tornando al blog di Leggett, il suo ultimo esempio è lo schema pensionistico inglese di HSBC, che ha deciso di destinare quasi due miliardi di sterline a un nuovo fondo focalizzato sulle società low-carbon.

Sarà questa la “nuova normalità”? Puntare sulle rinnovabili e scordarsi di petrolio, gas e carbone? Tra i tanti indicatori della transizione energetica-finanziaria in atto ricordiamo anche: gli investimenti in batterie di accumulo e contatori intelligenti di UK National Grid, l’acquisizione Tesla-SolarCity che ha costituito il primo conglomerato di mobilità elettrica integrata con il fotovoltaico e lo storage, i progetti di gigafactory per batterie al litio in Europa (e non solo di Tesla), i prezzi super-competitivi di eolico e solare, raggiunti in alcune aste per le rinnovabili in America Latina e Medio Oriente.

Ci sono abbastanza segnali, insomma, per sconfessare dichiarazioni come quella rilasciata qualche settimana fa da Ben van Beurden, amministratore delegato di Shell, secondo cui le rinnovabili – il solare soprattutto – non sono un buon affare perché non consentono di generare adeguati profitti.

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