COP22: i testi negoziali tra rivoluzione energetica e temperatura in aumento

Da Marrakech alcuni progressi e la conferma dell’unità della comunità internazionale nell’affrontare la crisi climatica. Tutto però si muove con lentezza, inclusa quell'azione necessaria a scongiurare gli impatti più severi. Convitato di pietra, il neo presidente Usa, Trump.

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Sembrava un segno del destino che proprio Marrakech tornasse ad ospitare la Conferenza sul Clima all’indomani dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi: proprio a Marrakech nel 2001 si erano svolti i negoziati che avevano portato alla redazione delle regole attuative del Protocollo di Kyoto, siglato nel 1997 e poi entrato in vigore nel 2005.

Ma le discussioni, questa volta, hanno preso una piega diversa. Dal punto di vista politico, infatti, gli occhi erano puntati su come la comunità internazionale avrebbe reagito all’elezione di Donald Trump, di cui sono note le tesi negazioniste (come il suo tweet in cui afferma che i cambiamenti climatici sarebbero una “bufala inventata dai cinesi”) e i proclami sulla sua contrarietà in merito a qualsiasi azione o finanziamento alla lotta contro il riscaldamento globale.

Risultati dei negoziati

Dal punto di vista tecnico, invece, gli Stati avevano avuto ben poco tempo per digerire l’entrata in vigore dell’Accordo, avvenuta in meno di un anno: è un tempo da record quando si considera che il Protocollo di Kyoto di anni ne aveva impiegati otto. Ci sono stati quindi pochi mesi per digerire l’Accordo e iniziare la discussione sull’implementazione. Per questo i negoziati hanno permesso di trovare un accordo solo in merito ad alcuni punti.

Durante la COP si è svolta la prima riunione del CMA”, l’organismo preposto ad avanzare la discussione sull’Accordo di Parigi e a cui partecipano gli Stati che hanno già ratificato l’Accordo.

Due le decisioni: la prima riguarda il termine previsto per la conclusione della definizione di regole per dare operatività all’Accordo, che dovranno essere concordate entro il 2018. E’ una tempistica adeguata: proprio nel 2018 si dovrà svolgere il primo “dialogo facilitativo”, l’appuntamento nel quale agli Stati sarà richiesto di innalzare i proprio impegni rispetto al clima. È stata avviata anche una consultazione che si estenderà nel 2017 per avviare la discussione su come si dovrà svolgere tale processo di revisione degli impegni.

Un altro elemento oggetto di discussione sono state le “questioni orfane“: si tratta delle tematiche che non erano ancora state esplicitamente incluse nell’agenda di discussione.

Tra queste, due di particolare importanza sono state assegnate con mandato specifico all’Organo Sussidiario per l’Implementazione (SBI). La prima riguarda l’art. 12 dell’Accordo di Parigi riguardante istruzione, formazione e informazione pubblica: questo articolo era stato inserito nelle sessioni conclusive della COP di Parigi e ancora non aveva un binario per passare all’attuazione.

Inoltre, si dovranno stabilire gli anni di riferimento per gli impegni degli Stati (NDC), che al momento sono dichiarati con periodi temporali diversi (ad esempio, con anno base 1990 o 2005, con obiettivi al 2025 o al 2030, ecc.): è una questione molto importante perché riguarda anche la comparabilità politica tra gli obiettivi.

Basti pensare che il target statunitense dichiarato di ridurre le emissioni del 26-28% al 2025 rispetto al 2005 diverrebbe un obiettivo -6-12% rispetto al 1990; mentre l’obiettivo del -38% al 2030 scende al -27% se si prende come anno base di riferimento il 1990. Lo stesso per l’Unione Europea: l’obiettivo dichiarato di un taglio delle emissioni del 40% al 2030 rispetto al 1990 si converte in un -34-35% se prendiamo come riferimento il 2005 (vedi grafico).

Dagli organi sussidiari della COP sono arrivati alcuni progressi riguardo al “Paris Committee on Capacity-building”, che potrà iniziare i suoi lavori nel 2017, e relativamente al piano di lavoro per l’operatività del meccanismo “loss and damage”, il nuovo strumento che permetterà di aiutare i Paesi poveri e vulnerabili che saranno colpiti da quella parte delle conseguenze non più evitabili.

Le nuove regole del meccanismo dovranno essere definite entro il 2019. Passi avanti anche sulle modalità di contabilizzare i finanziamenti pubblici per il clima, in merito al quale sarà preparato un paper tecnico ad hoc.

Alcuni progressi, quindi, ci sono stati, ma limitati ad specifici argomenti o circoscritti a tempistiche e agende per i futuri incontri. Alcuni Stati e observer avrebbero voluto maggiori discussioni e decisioni, mentre è prevalsa la necessità di maggiori consultazioni, anche in considerazione del fatto che su alcuni punti le posizioni sono ancora distanti.

Ad esempio in merito alla costruzione delle linee guida per la presentazione degli impegni di riduzione nei prossimi anni, in cui alcuni gruppi negoziali vorrebbero una descrizione puntuale ed esaustiva, mentre altri più generica e flessibile.

Oltre i negoziati, gli Stati e la società civile

A pochi giorni dall’elezione di Trump come futuro presidente degli Stati Uniti, uno degli obiettivi della Conferenza era anche dare una risposta alla perdita della leadership statunitense. L’amministrazione Obama aveva indubbiamente rivestito un ruolo chiave per la sigla e la precoce entrata in vigore dell’Accordo di Parigi.

Attualmente nessuno Stato o gruppo negoziale è candidato a prenderne il posto come “leader climatico”: non certo l’Europa, che ha ormai settato il suo livello di ambizione a quel tanto che basta per rimanere all’interno di obiettivi politicamente accettabili, ratificando l’Accordo solo ad ottobre, nel momento in cui era diventato ormai chiaro che sarebbe entrato in vigore presto, con o senza l’Europa.

Nonostante questo, la parola ricorrente del negoziato è stata “irreversibile”: durante le due settimane vari sono stati gli appuntamenti della società civile, dalle associazioni alle aziende, agli enti locali, che hanno confermato e alzato i propri impegni.

Il portale NAZCA riporta tutte le azioni proposte da 2.508 città, 209 regioni, 2.138 imprese, 238 associazioni. 48 Stati membri del Climate Vulnerable Forum che hanno dichiarato il proprio obiettivo di arrivare al 100% di energia rinnovabile entro il 2050. Alcuni Stati hanno iniziato a presentare le proprie strategie di decarbonizzazione al 2050.

Il 2016 sarà l’anno più caldo di sempre. E la domanda non è più se avremo un mondo a zero emissioni, ma se faremo in tempo ad evitare i disastri più gravi provocati dai cambiamenti climatici. Al momento non abbiamo ancora una risposta.

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