Non lo abbiamo, ma la nostra bolletta continua a dipendere dal nucleare

Abbiamo chiuso le nostre centrali da 40 anni, ma il nostro sistema elettrico e le bollette continuano ad essere influenzate dal nucleare, in particolare quello francese. Come rimediare? QualEnergia.it ritorna sull'aumento del PUN ad ottobre. Un articolo di Roberto Meregalli.

ADV
image_pdfimage_print

Abbiamo chiuso le nostre centrali da quarant’anni, ma il nostro sistema elettrico e le nostre bollette continuano ad essere influenzate dal nucleare. Perché?

Motivo base è che siamo importatori di elettricità, lo siamo non perché non siamo in grado di produrre tutta quella che ci serve, anzi ne avevamo troppe di centrali e ne stiamo chiudendo parecchie (vedi Enel).

Ma perché, esistendo dal 2004 un mercato all’ingrosso aperto a qualsiasi produttore, italiano o straniero che sia, ed essendo il nostro Paese distinto in diverse zone per la formazione del prezzo medio nazionale (PUN), la zona Nord (quella che consuma più elettricità), acquista in maniera regolare dalla Francia.

Di quanta elettricità parliamo?

Nel 2015 ne abbiamo importata una quantità pari a 50.849 GWh (46.747,5 GWh nel 2014).

Dalla Francia ne sono arrivati direttamente 15.520 GWh mentre ben 24.414 sono stati importati dai tralicci che ci mettono in comunicazione con la Svizzera, ma l’elettricità importata non è tutta made in Suisse, una parte è ancora francese che transita dalla Svizzera.

Perché importiamo elettricità nucleare?

Per il motivo più semplice del mondo: perché costa meno di quella che produciamo in Italia con il gas.

Questo fattore ha condizionato il nostro mercato elettrico fin dalla sua nascita, ma qualcosa sta cambiando e questa disponibilità economicamente conveniente sta probabilmente finendo.

Nove mesi record

A segnalarlo è l’inversione dell’andamento del prezzo all’ingrosso dell’elettricità (il cosiddetto PUN), che negli ultimi anni è sempre calato grazie al ribasso del prezzo del gas e alla crescita delle rinnovabili, arrivando a valori molto bassi in questo 2016.

Sino al 10 ottobre il PUN era intorno ai 45 euro per megawattora, ad aprile era sceso al valore record di soli 42,89. Ma a ottobre il record è stato negativo nel senso che si è toccato il prezzo più alto dell’anno: 53 euro (vedi grafico).

A metà ottobre si è verificata una impennata di 10/15 euro, arrivando a toccare i 70 euro al megawattora. Come mai? Aumenti del gas? No.

Le cause

La tabella che segue mette a confronto la settimana dal 2 al 9 ottobre con quella di fine mese e mostra come il rialzo del PUN sia motivato dal rialzo del prezzo della zona nord legato alla riduzione dell’import con la Francia.

Come mai questo calo di import dalla Francia? La Francia si sa, esporta elettricità perché la generazione nucleare è la meno flessibile, ossia un reattore non si accende e spegne come un ciclo combinato a gas; si accende e rimane attivo sino alla successiva carica di barre di combustibile.

L’elettricità non richiesta dalla propria rete nazionale trova sbocco con le esportazioni, favorite dalle offerte a basso costo poiché altrimenti l’elettricità andrebbe sprecata. È intuitivo che la rigidità del parco reattori francese in questi decenni è stata gestita anche grazie alla domanda italiana e di altri paesi confinanti con la Francia (vedi anche Elettricità, il fermo nucleare francese rischia di costarci 1,5 miliardi di euro).

Ma i reattori invecchiano

Anche i reattori invecchiano e quelli transalpini hanno quasi tutti raggiunto i 40 anni di attività e con l’età appaiono gli inevitabili acciacchi.

Oggi 21 reattori sono fermi dal 18 ottobre, 9 per normale manutenzione e 12 per ordine dell’Autorità preposta alla sicurezza nucleare (Asn), che aveva imposto alcuni controlli straordinari sui generatori di vapore. I test sono terminati su cinque reattori, ma l’Asn non ha ancora dato il via libera alla ripartenza.

Ventun reattori fermi su 58 sono un numero rilevante (più di un terzo) e ovviamente in questo momento i reattori servono a produrre per i consumi francesi a scapito dell’export.

Non solo, le Borse elettriche funzionano secondo la logica che all’aumentare della domanda aumenta il prezzo, per cui l’elettricità francese è diventata più costosa di quella italiana (il 9 ottobre il PUN francese era superiore di 23 euro a quello italiano) e pertanto non più appetibile per il nostro mercato.

Il freddo giunto in Francia ha peggiorato la situazione perché ha aumentato i consumi elettrici francesi, per noi italiani l’effetto è che il 9 novembre il PUN rimaneva elevato a 65 euro, sempre con la zona nord a 73 euro rispetto a centro e sud dove un megawattora costava invece 49 euro.

Il futuro non è roseo

Il futuro non sembra promettere miglioramenti per due motivi. Il primo è che sino a fine anno il parco reattori francese resterà ancora deficitario: Gavelines 2 e Burgey 4 saranno riavviati il 31 dicembre, idem per Tricastin 1,3 e 4.

Quindi si stimano due/tre mesi di prezzi elevati, come mostra la tabella (a destra) dei valori del mercato a termine:

Se l’inverno sarà freddo i problemi si protrarranno: martedì 8 novembre il gestore della rete francese (RTE) ha annunciato che per questo inverno prevede problemi di approvvigionamento.

Il secondo motivo è che il problema della vetustà del parco francese rimane e c’è da aspettarsi che continueranno ad essere necessari fermi impianti per controlli e manutenzioni.

L’Autorità di sicurezza nazionale è consapevole che tutto il parco nucleare si avvia a compiere quarant’anni e, come esprime una slide, si domanda come procedere per garantire un funzionamento in sicurezza.

L’unico reattore in costruzione, il famoso EPR di Flamanville (1.600 MW) entrerà in produzione solo a fine 2018 e potrà mandare in pensione i due vecchi reattori di Fessenheim (due da 880 MW ciascuno), niente di più.

Quindi è doverosa una riflessione per il nostro Paese e, di conseguenza, nuove azioni per evitare un rincaro del costo dell’elettricità. Un primo aumento lo subiremo certamente in occasione del prossimo aggiornamento tariffario dell’Autorità di fine anno.

Vogliamo diventare più indipendenti?

Lato generazione non ci sono nuove strade da inventare in verità, si sa che sono due le fonti che costano meno: carbone e rinnovabili, due fonti opposte dal punto di vista delle emissioni e dell’inquinamento.

Il nostro Paese delle due fonti, ha solo le rinnovabili; è quindi urgente tornare ad investire dopo tre anni di politica del gambero che hanno portato nel 2015 ad aumentare le emissioni di CO2 per effetto del calo della generazione da FER.

Continuiamo a produrre meno elettricità da fonti rinnovabili

Terna ad inizio ottobre ha finalmente diffuso i dati definitivi della generazione elettrica del 2015 confermando che i consumi sono tornati a salire, ma con essi anche la generazione da fonti fossili, mentre è calata quella da fonti rinnovabili.

Rispetto ai dati provvisori su cui basavamo le precedenti analisi, l’idroelettrico risulta aver prodotto due miliardi di chilowattora in più (TWh), ma le notizie positive si chiudono qui perché le fonti rinnovabili nel 2015 globalmente sono calate di quasi il 10% (9,8% per la precisione) e dai 120,7 TWh del 2014 sono scese a 108,9 con una incidenza sul consumo interno lordo di energia elettrica, al netto degli apporti di pompaggio, pari al 33,2% (era il 37,5% nel 2014).

E questo 2016 si sta rivelando ancora peggiore perché i dati da gennaio a settembre mostrano una produzione da rinnovabili di soli 83,7 TWh rispetto agli 86,2 dell’analogo periodo 2015 e ai 94,2 del 2014.

Anche a settembre 2016 l’elettricità prodotta da fonte fossile è aumentata del 7,7%, mentre continua il crollo dell’idroelettrico e la crisi del fotovoltaico che da inizio anno ha prodotto il 10% in meno.

Invertire la rotta è quindi urgente e strategico per il futuro, a meno di voler rimanere prigionieri del nucleare altrui o rimanere dipendente dalle fluttuazioni del mercato del gas che, come ha sottolineato l’ad di Enel Francesco Starace (“Starace a New York rilancia le rinnovabili”, Il Sole24ore 4 novembre 2016), non sarà mai la fonte della transizione (sono dieci anni che se ne parla),perché i mercati del gas sono volatili come quelli del petrolio.

La stabilità viene dalle fonti rinnovabili.

ADV
×