In Olanda consorzi di stalle finanziate per la produzione di biogas

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La principale organizzazione olandese di produttori di latte crea una finanziaria per far realizzare piccoli impianti per biogas da installare presso le stalle dei suoi associati. Un esempio interessante che potrebbe essere ripreso anche in Italia. Ne parliamo anche con il Consorzio Italiano Biogas.

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Com’è noto, dietro alla maschera di simpatia delle placide mucche, si nasconde uno dei più implacabili killer climatici: le emissioni di gas serra collegate al settore zootecnico, come quelle collegate alla produzione di mangimi o il metano emesso direttamente dall’animale durante la ruminazione e digestione del cibo.

Emissioni che contribuiscono, secondo la Fao, per circa il 18% all’aggiunta in atmosfera di gas serra in grado di alterare il clima terrestre, anche più delle automobili.

Naturalmente non è colpa delle mucche se questo avviene, siamo noi che ne alleviamo una quantità spropositata, circa 1,5 miliardi di capi nel mondo, tenendone buona parte chiusi in stalle e nutriti con soia e cereali che sarebbero buoni anche per il consumo umano ma che, passando attraverso le mucche, restituiscono solo un decimo del loro potenziale nutritivo.

D’altra parte, se tentassimo di allevare tutti quei bovini all’aperto con la sola erba naturale, non solo annienterebbero le praterie attuali, ma dovremmo trasformare in pascoli anche buona parte delle foreste rimaste.

La soluzione “definitiva” sarebbe quindi ridurre drasticamente l’uso di carne e latticini derivati dai bovini. Ma questo si scontra con potenti fattori di mercato e culturali, rendendo questa strategia di contenimento delle emissioni molto lenta nell’ottenere qualche risultato.

In attesa che si diventi tutti vegetariani, però, le emissioni derivanti dall’allevamento bovino possono essere attenuate utilizzando le tecnologie della digestione anerobica.

In altre parole, l’immissione del letame in appositi digestori, ovvero contenitori dove batteri specializzati lo digeriscono rilasciando biogas (un misto di CO2 e metano) da utilizzare poi per produrre elettricità e calore o per produrre biometano.

La sostituzione di combustibili fossili con questi di origine biologica, attenua l’impronta climatica connessa all’allevamento, tanto più se si considera che quello che resta nell’impianto dopo la digestione è un ottimo concime per i campi, che può  prendere il posto dei fertilizzanti di sintesi, altra grande fonte di CO2 fossile.

Un esempio originale di come si potrebbe impiegare la digestione anerobica per tagliare le emissioni dell’allevamento, viene ora dall’Olanda, dove le mucche sono così intensamente allevate, da essere responsabili di circa il 7% delle emissioni di gas serra del paese. 

Di questo “gas da mucche”, i due terzi provengono dalle 13.500 stalle consorziate nella FrieslandCampina, la principale associazione olandese di produttori di latte.

Così FrieslandCampina ha deciso, si può ben dire, di prendere la mucca per le corna e risolvere il problema, fondando una finanziaria, Jumpstart, i cui 100 milioni di capitale iniziale (in parte forniti anche dalla Stato perché la digestione anerobica aiuta a limitare i danni provocati dall’eccesso di spargimento di letame sui campi) saranno dedicati al finanziamento di piccoli impianti per biogas da installare vicino alle stalle dei suoi associati.

Il calore e l’elettricità prodotti verranno impiegati per soddisfare prima di tutto le necessità della fattoria, mentre l’elettricità in eccesso potrà essere venduta alla rete olandese.

Oltre agli incentivi governativi per il biogas, chi installa l’impianto riceverà anche dal consorzio 10 euro in più per ogni 1000 litri di latte prodotti.

Il primo impianto sperimentale di questo tipo è entrato in funzione un paio di mesi fa, e ha dato risultati molto buoni: 13mila kWh di energia prodotti al mese e la previsione di un incasso totale annuo di 10.000 euro, abbastanza da ripagare a Jumpstart il costo del digestore in pochi anni.

La cosa sembra così ben avviata che si prevede che, dalle prime 200 stalle previste nel progetto, entro il 2020 addirittura 2000 del consorzio potrebbero essere dotate di digestore; un successo potenziale tale che, per evitare che gli allevatori smettano di portare le mucche al pascolo, così da avere più letame sottomano, FrieslandCampina ha dovuto anche aumentare il premio al litro di latte, per chi continua a allevare le mucche sui prati.

L’Italia, in teoria, non avrebbe nulla da imparare dall’Olanda, essendo la quarta nazione al mondo per installazione di impianti a biogas, 1300, per una potenza di oltre 1 GW, anche se non tutti collegati direttamente alla digestione del letame.

Ma al momento la situazione italiana del biogas è in una fase un po’ di stallo, con il blocco di nuove installazioni che si protrae ormai da un paio di anni. Viene da chiedersi quindi se la strada olandese non possa aiutare a rilanciare questa fonte anche in Italia.

«È sicuramente una vicenda da tenere d’occhio, che può ispirare iniziative simili anche da noi – dice l’ingegner Christian Curlisi, direttore del Consorzio Italiano Biogas – ma non abbiamo bisogno di guardare all’estero per parlare di sostenibilità degli allevamenti: in Italia, nonostante in 4 anni siamo passati attraverso tre diversi decreti sulla produzione di elettricità da fonti rinnovabili, il settore è rimasto molto attivo. L’ultimo registro informatico per l’iscrizione degli impianti al portale del GSE, per esempio, ha avuto il 30% di richieste in più rispetto alla potenza prevista nell’ultimo decreto».

Secondo Curlisi, «la filiera del biogas italiano, con il modello virtuoso del “Biogasfattobene” sta già contribuendo concretamente ad abbattere le emissioni di gas serra in agricoltura, anche stoccando tramite il digestato il carbonio nei suoli coltivati».

«Questo processo in Olanda è solo agli esordi ma ci sono spunti validi nella loro esperienza – continua il direttore del CIB – ad esempio i grandi consorzi italiani dei latticini, che in parte già usano biogas, potrebbero fare qualcosa di simile per diffondere ancora di più questa buone pratiche fra i loro associati, specialmente quelli con le stalle più piccole».

Ma l’aiuto che può provenire dall’esperienza olandese, in realtà, finisce qui, perché le ragioni del blocco attuale in Italia in particolare per il biometano, cioè del metano ottenuto raffinando il biogas, non sono certo superabili coinvolgendo le cooperative di allevatori.

«Il rallentamento attuale di crescita dipende essenzialmente dal fatto che da oltre due anni stiamo attendendo che il governo emani un decreto correttivo del DM 5/2013, che stabiliva le modalità per la produzione e vendita del biometano», ricorda l’ingegner Marco Pezzaglia, referente istituzionale del CIB.

 «Quel decreto del Ministero dello Sviluppo Economico – ci spiega – risultava incompleto in molte parti, tanto che finora ha impedito la partenza di questa filiera in Italia. Al momento da noi esistono solo 7 impianti per biometano, tutti “impianti pilota” ovvero vetrine di promozione delle varie tecnologie di raffinazione: nessuno al momento immette il metano in rete o lo vende per l’autotrazione, usando le norme del DM 5/2013».

Adesso si attende la bozza del nuovo decreto per la consultazione pubblica, e poi, si spera, entro i primi mesi del 2017, si potrà partire.

«Questa è forse la più grossa differenza fra la situazione nostra ed olandese: lì, fin dall’inizio, il biometano lo possono produrre e immettere nella rete, in Italia, nonostante da noi il biogas sia un settore maturo e con un’industria leader a livello mondiale, siamo ancora in attesa di dare il via agli investimenti», aggiunge Curlisi.

Secondo la visione del CIB, un impianto di digestione anerobica del futuro, per funzionare con pochi o nessun aiuto pubblico,  dovrebbe poter decidere cosa fare del proprio biogas momento per momento: quando la rete elettrica ha bisogno di un servizio di bilanciamento, che paga il kWh un prezzo più alto di quello di base, il biogas può venir utilizzato nel cogeneratore per produrre elettricità.

Per far questo servirà l’estensione da parte dell’Aeegsi dei servizi di dispacciamento anche ai piccoli impianti a rinnovabili, mentre in altri momenti il biogas può essere convertito in biometano e in quella forma stoccato, immesso in un metanodotto o utilizzato in un distributore per autotrazione. Ma per far questo servirà il decreto ministeriale sul biometano.

«Solo se concederemo questa flessibilità fra i vari impieghi possibili del biogas – conclude Curlisi – la filiera della digestione anerobica potrà riprendere ad espandersi in Italia, dando il suo importante contributo non solo alla limitazione delle emissioni di gas serra, ma anche all’occupazione, al sostegno alla zootecnica e, non meno importante, a partecipare al comparto dei biocarburanti, che dovranno entro il 2020 costituire il 10% dei carburanti per autotrazione venduti in Europa».

Sostituendo così prodotti esteri di molto dubbia sostenibilità, come l’olio di palma asiatico impiegato oggi per il biodiesel, con sostenibilissimo biometano prodotto in Italia.

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