Europa leader dei green bond. Come e perché investire nei titoli verdi

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Con 48 miliardi di $ raccolti nei primi sette mesi del 2016, il mercato delle obbligazioni “sostenibili” sta crescendo in tutto il mondo, ma non in Italia. Manca però uno standard globale di certificazione. Rinnovabili, efficienza energetica e trasporti puliti tra i settori favoriti. I rischi di greenwashing.

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Il mercato dei green bond si sta sviluppando con una certa rapidità: nei primi sette mesi del 2016, secondo le stime di Ernst&Young nell’ultimo indice RECAI (Renewable energy country attractiveness index, vedi QualEnergia.it) le obbligazioni verdi emesse in tutto il mondo hanno superato 48 miliardi di dollari.

È più del valore complessivo raccolto nel 2015 e più del quadruplo della cifra registrata nel 2013, pari a 11,5 miliardi di dollari.

Come spiega a QualEnergia.it Stefano Robotti, Power and Utility Leader Italia per EY, «è un mercato relativamente nuovo, che ha iniziato a crescere in modo esponenziale dal 2007-2008. Oggi vale cento miliardi di dollari e il 50% delle emissioni di titoli è in Europa».

La cartina sotto (clicca per inngrandire) evidenzia la diffusione di questo strumento finanziario nelle diverse aree geografiche. L’Europa è il continente leader con quasi 55 miliardi di dollari investiti finora; Germania, Lussemburgo, Francia e Olanda sono i paesi di maggior successo per le obbligazioni verdi, mentre in Italia si possono contare sulle dita di una mano.

«L’ultimo green bond uscito nel nostro paese – prosegue Robotti – è quello di Alperia lo scorso giugno da 225 milioni di euro, che l’utility dell’Alto Adige utilizzerà per rifinanziare l’acquisto di alcuni impianti idroelettrici sul territorio». La Cassa depositi e prestiti (CDP) ha sottoscritto una tranche di 125 milioni, mentre il restante importo è stato ripartito tra vari investitori istituzionali.

L’Italia è rimasta un po’ alla finestra di questo mercato emergente, ma è presumibile che i green bond riusciranno a decollare anche da noi nei prossimi due o tre anni, seguendo una tendenza globale.

La Francia, ad esempio, ha annunciato a settembre che nel 2017 lancerà delle obbligazioni verdi sovrane per sostenere il suo piano di transizione energetica (La svolta ecologica francese: nel 2017 arrivano i green bond statali).

Caratteristiche delle obbligazioni verdi

Che cosa sono esattamente le obbligazioni verdi? Va detto, innanzitutto, che “verde” è da intendere in senso ampio. I green bond, precisa Robotti, «possono finanziare vari tipi di progetti con caratteristiche di sostenibilità ambientale, quindi non solo fonti rinnovabili ed efficienza energetica, ma anche, ad esempio, il trattamento dell’acqua e dei rifiuti e le infrastrutture per i trasporti, tra cui le ferrovie».

Inizialmente le nuove obbligazioni provenivano da istituzioni finanziarie sovranazionali, come la Banca mondiale o la Banca Europea per gli Investimenti, poi sul mercato sono arrivati anche titoli emessi da singole aziende, municipalità e agenzie statali.

La corsa verso i bond sostenibili nel 2016 è partita, secondo l’esperto che abbiamo interpellato, anche grazie alla spinta impressa dalla Cop21 parigina e dagli accordi sul clima. Molti paesi, compresa la Cina, stanno cercando di equilibrare il peso dei combustibili fossili nel mix energetico con nuovi investimenti per ridurre le emissioni di gas serra.

Verso uno standard condiviso

Certo, i green bond rappresentano ancora una piccolissima frazione del mercato obbligazionario internazionale che è di circa centomila miliardi di dollari in totale. Un problema è capire quanto siano realmente sostenibili gli investimenti sottostanti.

«Al momento non esiste uno standard globale per certificare come “verde” un determinato bond – spiega ancora Robotti – ma ci sono le linee guida elaborate dall’International Capital Market Association (ICMA)».

I Green Bond Principles sono quattro: per prima cosa, chi emette un titolo deve identificare con chiarezza la destinazione dei proventi. In secondo luogo, deve seguire alcuni procedimenti particolari nella valutazione e selezione dei progetti, che devono rientrare in un elenco di categorie.

Infine, chi emette l’obbligazione deve garantire la massima trasparenza (disclosure nella dicitura inglese) nel comunicare la gestione dei proventi e nell’attività di reporting, per mantenere aggiornati gli investitori sull’avanzamento dei progetti finanziati.

Secondo i dati aggiornati ai primi di novembre dalla Climate Bonds Initiative (CBI), il valore globale delle obbligazioni verdi ha già superato 65 miliardi di dollari quest’anno, a fronte di un obiettivo stimato di circa cento miliardi di $ di nuove emissioni nel 2016.

La CBI è un’organizzazione che promuove gli investimenti nelle tecnologie pulite e cerca, di conseguenza, di mobilitare il mercato obbligazionario verso un’economia a basso contenuto di carbonio. In gioco c’è la reputazione e l’affidabilità dei soggetti che “confezionano” i titoli green.

Per questo motivo, promuove anche un sistema volontario di certificazione, Climate Bonds Standard, che per ora conta una ventina di titoli verificati/approvati da enti terzi. L’ultimo in ordine di tempo è stato emesso a ottobre da SNCF, la società francese dei trasporti ferroviari, per un importo complessivo di 900 milioni di euro da destinare a interventi per riqualificare le infrastrutture e diminuire il loro impatto ambientale.

Il rischio, senza una più attenta e precisa valutazione indipendente delle obbligazioni verdi, è che i proventi siano rivolti a progetti che poco o nulla hanno a che vedere con l’eco sostenibilità.

Un rischio greenwashing, quindi, sottolineato anche nell’ultimo indice RECAI di Ernst&Young, dove il green bond può diventare una sorta di “copertura” per attività molto più tradizionali di quanto si voglia far credere.

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