Verso un mix elettrico senza carbone: scenari e impatti in Europa

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Uno studio ha ipotizzato la graduale dismissione delle centrali a carbone in Gran Bretagna e Germania. Le conseguenze? Sempre più rinnovabili tra le fonti di generazione (ma anche più importazioni nel caso tedesco), prezzi all’ingrosso in aumento, calo delle emissioni. Ma alcune criticità.

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Stop al carbone nel mix energetico: Gran Bretagna e Germania sono i paesi che in Europa stanno pensando molto più seriamente a questa possibilità.

Quali sarebbero le consequenze in termini di prezzi all’ingrosso dell’elettricità, emissioni inquinanti, sicurezza delle forniture?

Uno dei più recenti studi di Insight_E, “think tank” indipendente che raggruppa università, società di consulenza e centri di ricerca, ha provato a calcolare gli impatti sul sistema elettrico dovuti alla dismissione degli impianti a carbone (Impacts of a UK and German coal phase-out on the electricity mix and CO2 emissions in Europe, sintesi allegata in basso).

Il tema tocca anche l’Italia, alle prese con la rottamazione di alcune centrali “sporche” (vedi anche QualEnergia.it, “La chiusura della centrale di Vado Ligure e la fine del carbone in Italia“).

In Gran Bretagna, nel 2014, il carbone generava il 30% circa dell’energia elettrica, per poi crollare ai minimi storici nel 2015. Quest’anno la tendenza è sempre stata al ribasso, a causa soprattutto della concorrenza del gas e delle rinnovabili; a maggio, addirittura, il fotovoltaico aveva prodotto più elettricità della fonte fossile più inquinante (vedi anche QualEnergia.it, “Gran Bretagna: a maggio la produzione da fotovoltaico supera del 50% quella da carbone“).

Mentre Londra nel 2015 aveva annunciato di voler fermare tutti gli impianti a carbone entro il 2025, la Germania non ha ancora preso una decisione simile, ma sta pianificando la chiusura almeno delle installazioni più obsolete.

Germania

La dipendenza tedesca da carbone e lignite resta molto elevata, perché oltre il 40% dell’energia elettrica nazionale proviene da questi due combustibili.

È una evidente contraddizione rispetto all’Energiewende, la politica incentrata sulle rinnovabili e sulla riduzione dei gas-serra. La Germania, evidenzia peraltro Insight_E, con ogni probabilità non riuscirà a tagliare le emissioni del 40% (in confronto ai livelli del 1990) entro il 2020, come aveva stabilito.

Lo studio ha così definito tre scenari: uno “base” senza la graduale dismissione delle centrali a carbone, uno scenario phase-out con la totale uscita di scena di tali impianti entro il 2040, partendo da quelli più vecchi e meno efficienti, infine uno scenario retrofit che contempla nuovi investimenti per estendere di una decina d’anni la loro vita utile.

Per confrontare i diversi scenari, Insight_E ha utilizzato il modello Perseus-EU, semplificando molto: è uno strumento utilissimo nell’analisi degli impatti, perché consente di elaborare una moltitudine di paramateri tecnici, economici e finanziari per tracciare la probabile evoluzione del sistema elettrico europeo.

I ricercatori hanno inserito anche degli assunti sull’andamento futuro dei prezzi della CO2 sul mercato ETS e sugli obiettivi comunitari per le energie rinnovabili.

Come si vede nel grafico sotto, in tutti i casi si verificherà un aumento dei prezzi all’ingrosso dell’elettricità in Germania, più marcato nello scenario phase-out; a portare in questa direzione saranno, in particolare, i prezzi crescenti della CO2 e i costi sempre più alti dei combustibili.

Il secondo grafico proposto, invece, mostra l’evoluzione del mix elettrico tedesco tra quadro base e phase-out nei prossimi decenni.

Sarà soprattutto l’eolico, sia sulla terraferma sia offshore, a sostituire la generazione fossile nel 2040, insieme con un incremento delle importazioni di energia da altri paesi europei. L’obiettivo di ridurre le emissioni del 40%, si legge poi nel documento, sarà pienamente raggiunto intorno al 2030, in modo più rapido nell’ipotesi di seguire lo scenario no-carbon.

Gran Bretagna

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, osserva Insight_E, l’impatto sulla rete elettrica dello stop al carbone sarebbe assai più limitato, perché si parla di 20 GW di capacità cumulativa, contro 57 GW in Germania. Inoltre gli impianti inglesi sono mediamente più datati e con poche possibilità di essere riqualificati a costi convenienti.

Come emerge dal grafico, il mix britannico del 2040 vedrà l’eolico in prima linea, con un ruolo importantissimo del gas per la generazione di riserva/backup.

Quali effetti?

C’è da riflettere sulle possibili implicazioni “di sistema”. Difatti, spiegano gli analisti di Insight_E, la progressiva eliminazione delle centrali a carbone in Gran Bretagna e soprattutto in Germania avrà un effetto abbastanza limitato sulla diminuzione complessiva della CO2 in Europa.

Una buona parte delle emissioni risparmiate in Germania, precisa il rapporto, sarebbe rimpiazzata da un incremento delle emissioni in altri paesi, con una sorta di “carbon leakage” dovuto al maggiore utilizzo di carbone nelle nazioni che non hanno programmato lo smantellamento dei vecchi impianti.

Dalle diverse elaborazioni di dati e assunti emergono queste tendenze:

  • rinnovabili in cima al mix elettrico europeo nel 2040
  • emissioni in forte calo soprattutto dopo il 2020
  • generazione fossile più costosa
  • prezzi all’ingrosso dell’elettricità in aumento.

Quindi, per far diminuire ancora di più le emissioni di CO2 nel loro complesso, secondo Insight_E, l’Europa dovrebbe definire una politica euna strategia unitaria, che potrebbe prendere la forma di una carbon tax o un potenziamento del mercato ETS (vedi anche QualEnergia.it, “Portare il prezzo della CO2 a 30 euro per tonnellata: la proposta francese“).

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