Cooperative e benefici dell’energia rinnovabile prodotta dai cittadini

  • 12 Ottobre 2016

Il modello delle cooperative energetiche avrà sempre più un ruolo fondamentale nella transizione energetica. A livello europeo e nazionale servono però norme certe e infrastrutture adeguate. Ne parla in un'intervista Dirk Vansintjan, presidente di REScoop.eu, che Retenergie ha tradotto integralmente.

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Il maggiore ricorso all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili fa bene all’economia oltre che all’ambiente.

Significa maggiore remunerazione dei risparmi dei cittadini e maggiori entrate per le municipalità, ma significa anche meno dipendenza dalle fonti fossili, che in Italia importiamo per la gran parte dall’estero, e quindi anche maggiore stabilità geopolitica: forse meno guerre, profughi e migrazioni climatiche.

Le cooperative energetiche hanno un ruolo fondamentale nella transizione energetica, che deve essere intrapresa e completata al più presto. Ma è necessario che i governi definiscano quadri normativi favorevoli a questa transizione, con regole certe, che non possano essere cambiate retroattivamente, e infrastrutture adeguate.

Tutto ciò è possibile, si tratta di un modello operativo già attuabile ma che richiede che i cittadini investano essi stessi, tutti insieme, nella transizione energetica e nel loro stesso futuro.

È questa la sintesi di una lunga intervista rilasciata a EurActiv.com da Dirk Vansintjan, Presidente della Federazione europea per le cooperative di energia rinnovabile (REScoop.eu) che Retenergie ha tradotto integralmente.

Il tipo di modello rappresentato e auspicato da Vansintjan è proprio quello di Retenergie, una cooperativa che dal 2008 ha aggregato oltre 1000 soci e investito oltre un 1.600.000 euro in impianti collettivi di produzione di energia rinnovabile.

L’intervista segue la pubblicazione del report The Potential for Energy Citizens in the European Union, redatto dall’istituto di ricerca ambientale CE Delft per conto di Greenpeace, Federazione Europea per le Energie Rinnovabili (EREF), Friends of the Earth Europe e REScoop.eu. QualEnergia.it ne ha parlato recentemente nell’articolo Prosumer: metà dei cittadini UE autoprodurrà energia nel 2050.

Presidente Vansintjan, qual è la situazione attuale in Europa per le cooperative di energia?

Diversi Stati Membri hanno introdotto un quadro normativo favorevole affinché i cittadini assumano un ruolo attivo nella transizione energetica. In Germania, sono spuntate negli ultimi dieci anni 800 cooperative di energia e i Paesi Bassi, con alcune centinaia, stanno andando altrettanto veloci. E questo è dovuto alle normative favorevoli introdotte dai governi. Così ora, se le direttive saranno riviste a livello europeo, ad esempio la Direttiva sulle Energie Rinnovabili, è del tutto evidente che la Commissione Europea dovrebbe aprire una via per i cittadini e per le loro iniziative.

Dall’esperienza di questi paesi, quali sono stati i motivi principali che hanno favorito le cooperative di energia?

Se si guarda alla Germania, per esempio, c’è stata una favorevole tariffa “feed-in” che ha reso redditizio investire. I tedeschi hanno diffidato i loro governi dall’imporre misure retroattive per tagliare i profitti. Quindi, nei paesi in cui la fiducia è andata di pari passo con un quadro favorevole per i cittadini e le loro iniziative, i cittadini si sono attivati e hanno investito nella transizione energetica.

Ma quali sono i benefici per la società nel suo insieme? La generazione decentrata in piccola scala è più efficiente di quella del sistema energetico tradizionale proveniente dalle grandi utilities?

Il punto è, ed abbiamo collaborato con i comuni a questo proposito, che le rinnovabili locali a volte sono un po’ più costose del gas russo, quando i prezzi del gas sono bassi. Ma anche in questo caso è utile optare per le fonti rinnovabili perché i soldi non escono dai nostri comuni, fuori dalla nostra economia, fuori dall’Europa, e si accumulano. Quindi, se prendiamo il vento e produciamo energia elettrica verde, ed è di proprietà di cittadini, allora i profitti restano alla comunità locale. Questo è il punto, e ora che la tecnologia si è evoluta e i pannelli solari sono molto a buon mercato, tutti gli europei possono metterli sui tetti. Tutti dovrebbero farlo.

Avete valutato quanto ha già prodotto tutto questo?

La mia cooperativa ha iniziato nel 1991, uno dei pionieri di questa ondata di cooperative di energia dopo la seconda guerra mondiale. Ora abbiamo circa 50.000 membri, circa 45.000 famiglie, e il 41% di queste famiglie ha i pannelli solari sui tetti. Lo studio “The Potential for Energy Citizens in the European Union” che abbiamo realizzato con Greenpeace Europa, EREF e Friends of the Heart Europe, dimostra che questo è il potenziale: la metà degli europei avrà pannelli solari sui tetti entro il 2050.

Le dice che questo porta posti di lavoro e reddito per l’economia locale e per la popolazione locale. Avete fatto una valutazione?

Non come parte di questo studio. Ma ce n’era uno recente effettuato in Germania dalle Stadtwerke, sulle aziende di servizi pubblici comunali, che ha dimostrato che se gli impianti di energia rinnovabile sono di proprietà delle municipalizzate o dei cittadini di una cooperativa, portano a otto volte più entrate per la regione di quando farebbe se fossero di proprietà di una grande utility. Questo dimostra davvero qual è la posta in gioco.

Questo significa che il modello delle grandi utility è obsoleto? O possono co-esistere accanto alle cooperative di energia?

Credo che saremo in grado di coesistere. Le utility dovrebbero concentrarsi di più sull’industria, considerando che i cittadini e le comunità locali saranno in grado di provvedere autonomamente ai propri fabbisogni energetici in futuro.

Qual è la resistenza più grande rispetto all’adozione più ampia di questo modello?

Beh, ovvio, è normale che le grandi utility non vogliano perdere quote di mercato. Per esempio, con la liberalizzazione in corso nelle Fiandre da 13 anni, la quota di mercato dell’ex monopolista si è ridotta dal 90% a circa il 40%. Tutto questo non si fermerà, e quando la gente inizierà a produrre autonomamente la maggior parte della propria energia, agirà conseguentemente. Nei prossimi anni acquisteremo auto elettriche e avremo sistemi di accumulo a casa. I cittadini saranno molto proattivi ed è compito delle cooperative di energia e di altre iniziative in campo energetico aiutarli a fare questo.

Quindi quali sono le vostre aspettative a livello europeo?

In poche parole noi vogliamo un quadro europeo che dia spazio ai cittadini per investire il proprio denaro nella transizione energetica.

E in particolare, questo significa ad esempio l’accesso prioritario alla rete?

Questa è una priorità assoluta, naturalmente. Ricordo ancora il momento in cui stavamo ristrutturando un vecchio mulino ad acqua nei primi anni ’90 e siamo andati dal distributore di energia, che era per il 50% di proprietà dell’ex monopolista Electrabel. Ci disse di non aver bisogno della nostra energia elettrica e che avremmo dovuto pagare per immetterla in rete. Non credo che vogliamo tornare a quel tempo. Questo è spesso la criticità che rileva la parte più conservatrice del dibattito energetico. Dicono che c’è un sacco di energia rinnovabile immessa in rete, e che viene sprecata perché la rete non è sempre adeguata a riceverla. Ovvio, la rete deve essere adeguata. Come cooperative di energia abbiamo un bel po’ di membri che sono distributori, alcuni hanno più di un secolo di vita. Hanno una rete intelligente, nel nord Italia per esempio e in Danimarca. Certo, abbiamo bisogno di reti intelligenti, contatori intelligenti e persone intelligenti. Se non si vuole essere intelligenti come consumatori e autoprodursi l’energia, si può entrare a far parte di una cooperativa di energia e in questo modo si può essere d’aiuto.

Ma tutto ciò non è fattibile senza la flessibilità della rete

No, per questo abbiamo bisogno del quadro complessivo. In paesi come la Germania, che hanno avuto questo tipo di impostazione, possiamo vedere che ha funzionato. In Belgio abbiamo uno studio di quattro anni fa, fatto dal National Planning Bureau con alcuni famosi istituti di ricerca, che ha dimostrato che sarebbe possibile per il Belgio passare al 100% di energia rinnovabile. Questo significherebbe avere un sacco di impianti FV, creare posti di lavoro, 400 miliardi di euro di investimenti in energie rinnovabili e efficienza energetica. I cittadini belgi hanno 275 miliardi di euro di risparmi, quindi dobbiamo mobilitare le persone e il loro denaro per far sì che questa transizione energetica accada. La ricompensa sarà che non avremo più bisogno di spendere 20 miliardi di euro l’anno per importare gas, petrolio e uranio. C’è già un modello di business, quindi cerchiamo di avviarlo.

Quanto tempo occorrerà perché sia attuata questa transizione energetica?

Sono sempre piuttosto pessimista in questi giorni, quando sento parlare di ciò che sta accadendo in Groenlandia e al Polo Nord, ma abbiamo bisogno di essere veloci. Possiamo costruire una turbina eolica in un anno e mezzo, ma possiamo installare pannelli solari domani se vogliamo. Così possiamo muoverci in fretta, ma abbiamo bisogno che tutti i cittadini seguano compatti. Non funzionerà se le grandi utility dovranno farlo da sole. Dobbiamo farlo insieme e dobbiamo essere in grado di investire i nostri soldi in tutto ciò.

Le reti devono essere adattate e, come ha detto, anche questo richiede tempo …

Sì, ma noi, come cooperative di energia, pensiamo che anche le reti dovrebbero essere nelle mani dei cittadini. La distanza tra i distributori di energia e i cittadini è diventata troppo grande. Questa è stata una conseguenza negativa della liberalizzazione, la crescita di questa distanza. Crediamo che questo contatto dovrebbe essere molto stretto, e cosa c’è di meglio per i cittadini che possedere la rete di distribuzione? Questa è un’altra battaglia che abbiamo in corso nelle Fiandre, da quando hanno aperto l’accesso al capitale della Rete di Distribuzione a una società di cinese, mentre noi abbiamo tutti questi soldi nei nostri conti di risparmio che non producono nulla. E poi diamo ogni anno ai cinesi un rendimento del 4% sul loro investimento. Anche questo è parte della stessa lotta.

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