Emission Trading Scheme: le regole della nuova fase al primo voto

CATEGORIE:

La Commissione Industria, Ricerca ed Energia del Parlamento Europeo voterà il 13 ottobre sulle regole della 4° fase dell’ETS per il periodo 2021-2030. Sul piatto emendamenti che potrebbero portare a tagli aggiuntivi delle emissioni europee fino a 4 mld di tonnellate di CO2.

ADV
image_pdfimage_print

Il 13 ottobre i deputati della Commissione industria, ricerca ed energia (ITRE) voteranno il loro parere su come riformare il sistema di scambio delle emissioni europeo (EU ETS) per la sua 4° fase, che coprirà il periodo 2021-2030.

Sarà un passo fondamentale che porterà alla redazione delle nuove regole sullo schema delle emissioni, che si prevede verrà adottato dalla Commissione Europea nel 2017.

Le tre maggiori questioni ancora pendenti sul tavolo del voto in commissione riguardano alcuni emendamenti presentati rispetto alla proposta iniziale di Direttiva preparata dalla Commissione Europea nel luglio scorso.

1. Definire un nuovo “carbon budget” sufficientemente ambizioso: è la prima occasione per migliorare il sistema ETS – e anche per riportarlo in linea con i nuovi obiettivi dell’Accordo di Parigi, che entrerà in vigore il 4 novembre e che invita i Paesi a ridurre le emissioni di gas serra in modo da mantenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto dei 2 °C”, con uno sforzo per limitare l’incremento entro i +1,5°C.

Il nuovo bilancio delle emissioni per l’ETS sarà determinato da due elementi chiave: l’anno base di partenza e il tasso di riduzione delle emissioni da quel punto di partenza.

Nella proposta iniziale della Commissione viene proposto come anno base il 2020 e un tasso di riduzione che si dovrebbe attestare intorno alle 48 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, come definito da un “Linear Reduction Factor” (LRF) del 2,2%.

Diversi emendamenti sono stati presentati in commissione ITRE per anticipare il punto di partenza e/o accelerare il tasso di riduzione delle emissioni rispetto alla proposta della Commissione: da sola questa decisione potrebbe portare a una riduzione ulteriore entro il 2030 di circa 800 milioni di tonnellate di CO2, corrispondenti a quasi il doppio delle emissioni annuali italiane.

2. Regole per la revisione del tetto massimo delle emissioni coperte da ETS: mentre è determinante definire il tetto massimo delle emissioni, è altrettanto importante non ingessare il sistema, definendo delle regole per adeguare l’EU ETS a nuovi impegni futuri.

Infatti, nell’Accordo di Parigi si prevedono appuntamenti regolari, ogni 5 anni, per innalzare gli impegni degli Stati e portarli a coprire il gap nel taglio delle emissioni attualmente esistente: le stime riguardo ai tagli delle emissioni annunciati dalle Parti dell’Accordo e all’effetto sulla temperatura del Pianeta parlano ancora di uno scenario di aumento della temperatura compreso tra +2,2° e +3,4 °C, con una maggiore probabilità di arrivare a +2,7°C. Siamo ancora quindi distanti dai +2 °C.

Perciò nel 2018 si svolgerà un “dialogo facilitativo” per alzare gli impegni e nel 2023 il primo processo di “stocktaking”, ovvero di revisione. Visto che è già previsto che anche gli impegni dell’Unione Europea, come di tutti gli Stati, dovranno essere incrementati, la quarta fase dell’EU ETS, che coprirà il periodo 2021-2030, probabilmente includerà un elemento di flessibilità al rialzo degli impegni.

3. La cancellazione di quote di carbonio ETS in surplus: entro il 2020, l’eccedenza di quote ETS sarà cresciuta fino a raggiungere un ammontare che, nelle stime del Climate Action Network (CAN), dovrebbe aggirarsi tra le 2,6 e 4,4 miliardi di tonnellate di CO2.

Diversi emendamenti sono stati presentati per annullare queste quote, o almeno buona parte di esse. Questo per proteggere il sistema da un probabile eccesso di quote che andrebbe a inficiare il sistema ETS, in particolare riguardo alla sua efficacia rispetto all’obiettivo di traghettare le industrie verso un’economia low carbon.

Il segnale di prezzo nell’EU ETS

L’efficacia del sistema EU ETS, infatti, negli anni pregressi è stata gravemente ostacolata da allocazioni di quote alle aziende troppo generose e, anche, dalle conseguenze della crisi economica: infatti, lo schema fissa un tetto alle emissioni che derivano dai settori industriali più inquinanti, con una traiettoria di decrescita delle emissioni.

Nonostante questa traiettoria sia stata rispettata, e quindi le emissioni totali di questi settori siano decresciute nella maniera prevista, il mercato non ha portato il necessario stimolo alla riduzione delle emissioni di gas serra: nell’Emission Trading Scheme le aziende ricevono, o possono comprare tramite aste, delle quote di emissione, dei crediti di CO2, ovvero dei titoli che permettono di emettere una quantità massima di gas serra.

Questa quantità è decrescente negli anni. Ogni anno, se riescono a ridurre le emissioni più dei crediti di CO2 in loro possesso, possono vendere crediti; altrimenti ne devono acquistare. Il mercato che deriva porta quindi ad assegnare un “prezzo alla CO2”.

È proprio questo prezzo che dovrebbe costituire uno stimolo alle aziende coperte dall’emission trading, il cosiddetto “segnale di prezzo”, e indirizzarle verso tecnologie a bassa intensità di carbonio: se questo prezzo è sufficientemente stabile e alto, le imprese decideranno di investire internamente nell’abbattimento delle emissioni, piuttosto che dover acquistare quote.

Il prezzo della CO2, invece, è stato volatile e per lunghi periodi troppo basso: a una prima caduta del prezzo nel 2006, nella prima fase dell’EU ETS, dovuta a un eccesso di crediti dai Paesi dell’est europeo, era seguito una fase di prezzi alti (fino a sfiorare i 30 euro a credito).

Nella terza fase dell’ETS si era assistito a una seconda caduta, più preoccupante della prima, con 1 tonnellata di CO2 scambiata a meno di 4 euro: in seguito alla crisi economica e alla riduzione della produzione industriale, il mercato si trovava infatti in una situazione di eccesso di offerta permanente.

Due precedenti interventi per sistemare l’ETS, la decisione di backloading e la riserva di stabilità del mercato, hanno fatto la loro parte per non far cadere completamente il prezzo, ma si sono rivelate misure insufficienti: ad oggi il prezzo del carbonio è a soli 6 €/t di CO2, prezzo chiaramente troppo basso per generare investimenti green.

Dopo il voto in Commissione ITRE, il testo passerà in Commissione ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare (ENVI, l’8 dicembre), per poi giungere al voto del Parlamento Europeo a febbraio 2017. La direttiva dovrebbe poi essere finalizzata nella seconda metà del 2017, insieme alla nuova regolamentazione sull’Effort Sharing e sulla gestione forestale (LULUCF).

ADV
×