Carburanti alternativi, con la “neutralità tecnologica” spazio ai veicoli elettrici

Il decreto approvato dal Governo ha rispettato il principio di neutralità tra i vari carburanti, prima orientato più su Gpl e metano. Ora negli obiettivi obbligatori ci sono anche i veicoli elettrici. Come potrebbe cambiare la mobilità in Italia? Ne parliamo con Pietro Menga di Cives.

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La rivoluzione dei carburanti alternativi potrebbe diventare realtà anche nel nostro Paese: è arrivato il primo via libera dal Consiglio dei Ministri all’esame preliminare del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/94/UE “DAFI” – Directive alternative fuel initiative.

Al fine di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio e attenuare l’impatto ambientale nel settore dei trasporti, la direttiva europea chiede agli Stati membri di adottare un quadro strategico nazionale per sviluppare il mercato dei combustibili alternativi e realizzare la relativa infrastruttura, inclusi i punti di ricarica per i veicoli elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale liquefatto e compresso, idrogeno e gas di petrolio liquefatto.  

Il decreto preliminare approvato dal Governo distingue i combustibili per i quali è prioritario introdurre misure per la loro diffusione e fissa come obbligatori gli obiettivi per elettricità e gas naturale (GNL, gas naturale liquefatto e GNC, gas naturale compresso), mentre sono facoltativi gli obiettivi per idrogeno (per il quale sono previste misure solo in via sperimentale) e GPL.

Come si può intuire, la partita è complessa e gli interessi in gioco sono molteplici. Infatti fino all’ultimo c’è stata un’accesa trattativa (una delle tante) affinché venisse rispettato il principio di neutralità tra i vari combustibili.

La bozza del decreto che circolava fino all’altro ieri prevedeva una serie di agevolazioni solo per il GNL e il GNC, come l’obbligo per le Regioni di presentare un progetto per dotare gli impianti stradali situati in zone altamente inquinanti di pompe per l’erogazione di GNC e GNL, o l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di acquistare, in caso di sostituzione del parco autovetture, autobus e mezzi della raccolta dei rifiuti urbani, almeno il 25% di veicoli a GNC e GNL.

Su questi due punti critici è stata fatta marcia indietro inserendo anche i veicoli elettrici e a tal proposito abbiamo chiesto a Pietro Menga, Presidente di Cives (Commissione Italiana Veicoli Elettrici e Stradali a Batteria, Ibridi e a Celle Combustibili) che ha seguito l’iter del decreto, iniziando col chiedergli come cambierà, secondo lui, il panorama della nostra mobilità con l’entrata in vigore del decreto.

«Lo scopo della direttiva europea – dice Menga – è quello di ridurre l’uso dei combustibili inquinanti, incentivando quelli alternativi che abbattono le emissioni di CO2. L’idea è in linea con gli annunci fatti nella Conferenza sul Clima di Parigi, e uno dei fattori per renderla concretamente attuabile è lo sviluppo di una rete di rifornimento interoperabile in senso europeo, coerente e uniforme su tutto il territorio, affinché un veicolo alimentato da combustibili alternativi sia utilizzabile in qualunque Paese europeo quale che sia quello di provenienza».

Cosa stabilisce in sintesi la direttiva? «La direttiva stabilisce i requisiti tecnici delle reti di rifornimento sulla base della neutralità tecnologica, senza fare differenze tra i combustibili; è implicito che il tema della mobilità elettrica, del tutto nuovo rispetto agli altri combustibili liquidi già diffusi, come il metano o il petrolio liquefatto, ha dovuto essere affrontato da zero», spiega il Presidente di Cives.

E quindi è cambiato l’approccio per il suo recepimento.

«In effetti nel percorso che ha portato al recepimento della direttiva nel nostro Paese si stava perdendo per strada questa neutralità, orientandosi molto di più verso metano e GPL, che in Italia sono già sviluppati e diffusi. Si rischiava di avere un decreto davvero polarizzato verso alcune tecnologie a discapito di quelle che invece avrebbero bisogno di ulteriori stimoli allo sviluppo. Probabilmente l’orientamento era quello di favorire i veicoli a metano e GPL perché sono prodotti in Italia, di fatto togliendo spazio ai veicoli elettrici anche se sono quelli più interessanti dal punto di vista della sostenibilità visto che, oltre a non produrre emissioni di CO2, non hanno neppure emissioni locali inquinanti. È presumibile che se vi fosse una produzione nazionale di veicoli elettrici l’atteggiamento sarebbe stato più neutrale».  

Fortunatamente, le osservazioni dei tanti che – come la CIVES – hanno posto in luce questo scostamento dal principio di neutralità sono state raccolte in sede di approvazione della bozza di decreto.  

Secondo i dati dell’Associazione europea dei costruttori di auto, nel secondo trimestre del 2016 le immatricolazioni di auto a carburanti alternativi nell’UE sono rimaste stabili (+0,6%) a 147.784 unità, ma in Italia si è registrato un calo di quasi il 15%, principalmente dovuto al crollo delle auto a propano e a gas.

Ci chiediamo a questo punto se il decreto provocherà anche nel nostro Paese un’impennata di nuove immatricolazioni di auto elettriche.

«Questi dati sono la fotografia di come il mercato ha reagito negli ultimi anni. Per avere un cambiamento dovrebbero arrivare forti stimoli dalla politica – ci dice Menga -. Purtroppo è da molto tempo che per gli elettrici e gli ibridi plug-in non vi sono concreti stimoli per l’avvio di un mercato significativo, nonostante questi hanno inquinamento zero.

Infatti, in Italia la vendita delle auto elettriche è ferma all’1,5 per 1000, mentre la media UE è dell’1,5% con picchi del 30% in Norvegia e del 20% in Olanda.

«In quei paesi c’è stata quella convinta politica di incentivazione che da noi è mancata, nonostante le indagini di mercato dicano che i cittadini acquisterebbe volentieri questo tipo di veicoli. Il decreto si affida alla risposta del mercato, ma se questo non viene stimolato non possono esserci grandi cambiamenti», spiega Pietro Menga.  

Ora il problema è capire come incentivare correttamente la mobilità elettrica?

«Oltre agli incentivi economici, che presumibilmente non sarà facile ottenere, quantomeno non in misura importante visto il quadro economico, si potrebbe intervenire introducendo una serie di privilegi alla circolazione. In tanti altri paesi questi mezzi non pagano la sosta, hanno il permesso di accedere alle ZTL e alle corsie preferenziali e sono esenti da alcuni pedaggi. Si tratta di misure del tutto praticabili, che costano poco e avrebbero un’enorme efficacia in termini di percezione positiva dell’auto elettrica da parte della cittadinanza. La perdita di introiti per i Comuni sarebbe ridottissima, mentre lo stimolo per il consumatore sarebbe enorme».

Menga ricorda che in Germania nel 2014 è stata varata una legge che permette ai Comuni di erogare privilegi sulla circolazione derogando dal Codice della Strada. Da noi invece sono stati introdotti solo a Milano e pochissime altre città, ma l’area è talmente circoscritta che non può avere una valenza rilevante, perché appena si esce dalla città si perde ogni beneficio.

E poi c’è il problema della ricarica. «Oggi la grande maggioranza degli automobilisti tende ad acquistare un’auto elettrica solo se può ricaricarla a casa sua, perché la rete di ricarica pubblica è ancora troppo ridotta. Purtroppo sono pochissimi quelli che posso farlo, soprattutto nei condomini delle grandi città: nei box condominiali spesso non ci sono prese elettriche, o non c’è una potenza sufficiente, o comunque la presa è collegata all’impianto condominiale e non a quello di casa, e quindi la spesa per la ricarica ricadrebbe su tutti i condomini. Occorrerebbe un sostegno economico in credito di imposta per l’adeguamento impiantistico, come avviene per gli interventi di risparmio energetico».

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