Per disinvestire dalle fonti fossili ci vogliono banche carbon-free

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Un articolo del Guardian rilancia il tema del disinvestimento da carbone, petrolio e gas. Qualche consiglio su come eliminare i propri risparmi dai fondi “sporchi” e riposizionarli su prodotti finanziari più ecosostenibili. E poi c'è il rischio bolla del carbonio che potrebbe colpire l’industria delle fossili.

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Disinvestire dalle fonti fossili per reinvestire nelle energie pulite: che cosa comporta, in concreto, una simile strategia? Quali scelte abbiamo davanti?

L’argomento è stato ripreso da un articolo del Guardian, che a sua volta ha citato una guida finanziaria pubblicata di recente da Ethical Consumer, un magazine britannico dedicato al consumo etico e responsabile di prodotti e servizi. Ci sono diverse campagne per il disinvestimento da carbone, gas e petrolio. Peraltro, sono “solo” duecento all’incirca le compagnie che possiedono la fetta maggiore delle riserve mondiali di carbone e idrocarburi.

L’obiettivo delle iniziative fossil-free è coinvolgere innanzitutto gli investitori istituzionali come fondi pensione, università, istituti religiosi, compagnie assicurative, cercando di ridurre il più possibile la loro esposizione finanziaria su azioni e obbligazioni legate all’industria “sporca” (vedi anche QualEnergia.it).

Certo, sulla definizione di un investimento realmente etico e pulito si potrebbe discutere moltissimo, perché allora dovremmo considerare anche, tanto per fare un esempio, certe multinazionali alimentari e indagare sulle loro pratiche di agricoltura e allevamento intensivo, ma questo ci porterebbe un po’ fuori tema.

Per quanto riguarda l’energia, quindi, disinvestire dalle fonti fossili significa credere anche nello scoppio della cosiddetta bolla del carbonio. Le società che più di tutte hanno puntato sulle risorse tradizionali, sostengono i promotori delle campagne fossil-free, sono destinate a implodere, perché si ritroveranno, presto o tardi, con una serie di attività e infrastrutture non più remunerative.

Piattaforme offshore obsolete, pozzi di shale gas esauriti o troppo costosi da mantenere in funzione, centrali termoelettriche sopravanzate dagli impianti eolici e solari: ecco qualche esempio di stranded assets, cioè beni che andrebbero eliminati. Il problema è che per eliminarli in molti casi bisogna sopportare costi elevati per smantellamenti e bonifiche ambientali.

Allora è meglio prevenire il rischio bolla e scommettere su altri settori dell’economia verde? Può darsi, anche se non bisogna mai scordare la regola principale che è la diversificazione degli investimenti, sia per settori industriali sia per aree geografiche. Tra i personaggi più noti che perorano la causa delle rinnovabili contro il cambiamento climatico c’è Leonardo DiCaprio; anche senza possedere le sue fortune economiche, il piccolo risparmiatore può ugualmente seguire il suo esempio.

Torniamo all’articolo del Guardian e alla guida di Ethical Consumer. Il primo passo da compiere, si legge sulla stampa inglese, è aprire il conto corrente bancario presso un istituto che non sia impegnato a finanziare l’industria fossile.

Da evitare, insomma, banche come Lloyds, Barclays e HSBC che, a livello globale, prestano miliardi di sterline alle compagnie che estraggono carbone e idrocarburi in tutto il pianeta. Piuttosto, occorre rivolgersi a realtà come Co-operative Bank, Charity Bank e Triodos Bank, evidenzia il quotidiano online inglese.

Ci sono altri modi per supportare la green economy. Ad esempio, nell’accendere un mutuo si può chiedere supporto a una società che privilegia le operazioni immobiliari ecosostenibili (l’esempio citato in UK dal Guardian è Ecology Building Society, oltre a una serie di società di dimensioni più locali). Oppure, si può investire in qualche progetto promosso da cooperative energetiche per realizzare impianti eolici e fotovoltaici; un esempio italiano è retenergie.

Un sito web molto interessante, infine, è Green America: spiega bene tutte le azioni da intraprendere per togliere i propri risparmi dalle fonti fossili e destinarli a prodotti finanziari specializzati nelle tecnologie pulite, con tanto di link alle liste delle compagnie più inquinanti del pianeta e ai principali fondi d’investimento “puliti”.

Cercheremo di approfondire la questione da un’ottica prettamente italiana.

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