Portare il prezzo della CO2 a 30 euro per tonnellata: la proposta francese

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Il mercato EU-ETS non sta funzionando come dovrebbe, frenato dal surplus di quote di emissione. Così è difficile spostare gli investimenti verso le tecnologie più efficienti e pulite. La Francia propone di fissare un “corridoio di prezzo” e di tassare più severamente i suoi impianti a carbone.

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La Francia torna a parlare di carbon tax, dando voce al rapporto consegnato al ministro dell’ecologia Ségolène Royale dai tre saggi – Pascal Canfin, Alain Grandjean e Gérard Mestrallet – incaricati dal Governo di approfondire la questione.

Ecco, allora, le proposte per ridurre le emissioni di CO2 in linea con gli obiettivi della Cop21 parigina. La Francia è pronta a partire nel 2017 colpendo le sue centrali a carbone, che in verità sono poche. Il ministro concorda pienamente con gli autori dello studio quando affermano che il problema va affrontato e risolto a livello europeo, con un prezzo della CO2 che parta da almeno 20-30 euro/tonnellata.

I limiti del sistema EU-ETS

Il quadro è molto incerto, secondo lo studio francese, perché il sistema EU-ETS, che copre il 45% circa delle emissioni totali di CO2 in Europa, ha un fallito il suo scopo. Il prezzo della CO2 sul mercato continentale, infatti, è rimasto troppo basso: siamo intorno a 5 euro/tonnellata e anche le previsioni future, evidenzia il rapporto, sono molto inferiori al livello necessario per favorire la transizione energetica verso tecnologie a minore impatto ambientale.

D’altronde, se la singola tonnellata di CO2 costa così poco, alle industrie non conviene certo investire per migliorare l’efficienza dei processi produttivi e ridurre i gas-serra.

Surplus di quote

Bruxelles sta provando in vari modi a ristabilire un equilibrio tra domanda e offerta per i diritti di emissione; questi ultimi, è bene ricordare, sono assegnati a diversi settori industriali (cartiere, acciaierie, impianti termoelettrici eccetera) attraverso aste pubbliche europee con dei tetti annuali.

Chi inquina di più del limite stabilito, deve acquistare crediti di CO2 sul mercato secondario, dalle aziende che inquinano di meno. L’unica eccezione, che comporta una prevalente assegnazione di quote gratuite, è data dalle imprese a rischio carbon leakage, che potrebbero spostare le loro attività in Paesi extraeuropei dove le norme ambientali sono meno severe.

Verso un “corridoio di prezzo”

Tuttavia, la crisi economica e il rallentamento della produzione industriale hanno generato un surplus di quote inutilizzate, facendo crollare il valore dei crediti. A poco, finora, sono valsi i correttivi applicati dall’Unione Europea, come l’entrata posticipata sul mercato ETS delle quote invendute di CO2.

La soluzione, secondo i tre saggi, è stabilire un “corridoio di prezzo” con valori minimi e massimi. Il prezzo base, secondo gli autori dello studio, andrebbe fissato a 20-30 euro/tonnellata nel 2020, procedendo poi con incrementi annuali del 5-10% per arrivare così ad almeno 50 euro/tonnellata nel 2030.

Il prezzo plafond, invece, dovrebbe partire da 50 euro/tonnellata per raggiungere infine quota 100 in un decennio. Muovendosi dentro questo corridoio, sostengono gli esperti nominati dal Governo, il sistema ETS potrebbe diventare molto più efficace.

Certo alcune industrie sarebbero penalizzate, soprattutto quelle energivore manifatturiere più esposte alla concorrenza straniera; ecco perché sarebbero comunque indispensabili delle misure di “compensazione”, come l’assegnazione gratuita di un certo numero di quote.

La sovrattassa sul carbone francese

Per ora sembra difficile che l’Europa possa trovare un accordo su un tema così controverso. Il presidente francese Hollande, intanto, aveva annunciato ad aprile l’idea di confezionare una carbon tax sul settore elettrico francese, allo scopo di penalizzare il carbone e favorire le fonti meno inquinanti, in particolare il gas naturale.

La ricetta migliore, secondo gli autori del rapporto consegnato a Ségolène Royale, è introdurre una sovrattassa sugli impianti a carbone, quattro in tutta la Francia, con cinque unità attive per complessivi 3 GW di potenza installata.

Il Governo, quindi, potrebbe aumentare la tassa esistente TICC (taxe intérieure de consommation sur le houilles, lignites et cokes applicata a olio combustibile, lignite e carbone) oppure introdurre una nuova tassa differenziata secondo il rendimento delle diverse centrali termoelettriche.

Con un prezzo della CO2 a 20 euro/tonnellata, scrivono gli autori del rapporto, lo Stato francese potrebbe incassare oltre un miliardo di euro l’anno, contro i 315 milioni ottenuti nel 2015. Questi soldi aggiuntivi potrebbero finanziare le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.

Va detto che, senza una politica condivisa in sede europea, il rischio è penalizzare gli impianti in casa propria per poi importare elettricità meno costosa da centrali più inquinanti in altri Paesi.

Riuscirà la Francia a convincere gli Stati membri a percorrere la sua stessa strada? Vedremo. Intanto uno studio tedesco ha proposto recentemente di includere i consumatori intermedi nello schema EU-ETS, grazie a una tassa sull’acquisto dei materiali ad alto contenuto di carbonio (vedi QualEnergia.it).

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