Come triplicare gli investimenti in rinnovabili al 2030

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Eliminare le barriere finanziarie è indispensabile per attirare nuovi capitali privati nei progetti delle tecnologie pulite. Raggruppamento di singoli impianti di minori dimensioni, contratti PPA, green bond e copertura dei rischi sono tutti fattori decisivi secondo un nuovo rapporto di IRENA.

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Sono gli ostacoli finanziari, in molti casi, quelli più difficili da superare per sviluppare nuovi impianti a fonti rinnovabili. Ecco perché l’ultimo rapporto IRENA, Unlocking Renewable Energy Investment. The role of risk mitigation and structured finance (vedi sotto), si concentra sulle barriere economiche e sulla “mitigazione dei rischi”.

Il quadro prospettato dall’agenzia internazionale, come sappiamo, è raddoppiare la percentuale di energia verde nel mix mondiale al 2030. Come evidenziava l’edizione 2016 di REmap, infatti, si potrebbe raggiungere il traguardo sfruttando solo le tecnologie esistenti nei diversi settori (edilizia, trasporti, industria, produzione di energia). Tuttavia, faremmo poca strada senza un’adeguata comprensione dei meccanismi finanziari che sottendono la maggioranza dei progetti energetici green.

Il ruolo della finanza privata

L’obiettivo, sostiene IRENA, è quasi di raddoppiare gli investimenti nelle rinnovabili da qui al 2020 e poi triplicarli nel decennio successivo. Stiamo parlando di 500 miliardi di dollari ogni dodici mesi nei prossimi anni, per poi salire a 900 miliardi nel periodo 2020-2030.

Ricordiamo che nel 2015, come riportava un recente studio UNEP-Bloomberg New Energy Finance, le tecnologie pulite hanno attirato investimenti per circa 286 miliardi di dollari a livello globale. Un record che, però, non è sufficiente a garantire la diffusione delle rinnovabili auspicata dall’International Renewable Energy Agency.

L’agenzia è convinta che sarà la finanza privata a giocare la parte del leone in questa partita, grazie soprattutto agli investitori istituzionali: molteplici categorie di fondi (quelli pensione, ad esempio) e compagnie d’assicurazione.

Rischi e barriere

Il costante declino dei costi delle varie tecnologie ha contribuito ampiamente a realizzare impianti eolici, solari e di altro tipo in tutto il mondo. Tutte le più recenti analisi LCOE (levelized cost of electricity) sui costi totali di generazione elettrica mostrano che le rinnovabili, ormai, sono in grado di competere ad armi pari con le risorse fossili in vaste aree del nostro pianeta.

Eppure ciò non basta. Spesso il capitale iniziale necessario per avviare un progetto resta molto elevato e permangono rischi di diversa natura: instabilità politica, accesso al credito, incertezza su norme e incentivi, mancanza di moderne infrastrutture, tra cui soprattutto reti di trasmissione/distribuzione dell’energia (ne abbiamo parlato con il caso del Marocco).

Le istituzioni politiche e finanziarie, allora, dovrebbero eliminare uno per uno tutti questi rischi, perché diversamente molti progetti rimarrebbero nel cassetto e gli investimenti nelle rinnovabili non potrebbero arrivare alla piena maturità. Ci sono parecchi modi per farlo, magari attraverso il capacity building, cioè la “costruzione delle capacità”: bisogna individuare gli ostacoli che si frappongono ai nostri obiettivi e rimuoverli con gli strumenti più adatti.

Qualche esempio? Green bond, prestiti a fondo perduto, fondi di garanzia, standardizzazione dei contratti PPA (power purchase agreements) e delle procedure di gara, aggregazione di progetti di minori dimensioni per abbattere i costi di due-diligence dei singoli investimenti.

Eolico offshore e solare: due casi-studio

Il rapporto IRENA (148 pp.) comprende diversi casi-studio. Uno di questi è l’impianto eolico offshore da 367 MW presso l’isola di Walney, in Gran Bretagna. L’investimento totale è stato pari a circa un miliardo e mezzo di sterline (l’operazione s’è chiusa nel 2012).

Uno dei punti di forza per il progetto è stato la capacità di attirare capitali privati da investitori non tradizionali grazie a due fondi, Ampère Equity e PGGM, che hanno creato un veicolo d’investimento specifico, OPW, per acquisire il 24,8% delle quote della centrale offshore dal gruppo danese Dong Energy, il principale finanziatore del maxi progetto.

Un altro elemento di vantaggio è stato il raggruppamento dei due parchi marini, Walney 1 e Walney 2, realizzati uno dopo l’altro con un unico pacchetto finanziario e una procedura standard per tutti gli aspetti legali e contrattuali.

Un secondo caso-studio è il programma solare in Giordania, che nel 2014 ha riunito sette progetti fotovoltaici per complessivi 102 MW e un investimento pari a 247 milioni di dollari.

I fattori decisivi per il successo dell’operazione sono analoghi a quelli appena considerati per la Gran Bretagna: contratti PPA di lungo termine e unione dei singoli progetti in un piano d’investimento coordinato, che ha permesso di ridurre i costi di due-diligence e condividere alcune infrastrutture (come le stazioni di trasmissione) e anche alcuni servizi, tra cui quelli di sicurezza e manutenzione.

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