Scrivi

Come trasformare un edificio esistente in casa passiva

Cappotti, ventilazione forzata, elettrificazione totale con pompe di calore e fotovoltaico: attraverso gli esempi illustrati da due ingegneri esperti di edilizia a elevato rendimento energetico, scopriamo le soluzioni e le tecnologie per riqualificare un’abitazione esistente e avvicinarsi all'approccio “near to zero energy building”.

ADV
image_pdfimage_print

Quando si ristruttura un vecchio edificio è possibile raggiungere un livello di efficienza energetica paragonabile a quello delle costruzioni più moderne? Abbiamo chiesto a due ingegneri, esperti di edilizia a elevato rendimento energetico, che cosa vuol dire “trasformare l’esistente” per avvicinarsi il più possibile alle prestazioni di una casa “passiva” (concetto riassunto dall’acronimo inglese Nzeb, “near to zero energy building”, cioè un’abitazione che consuma pochissima energia, diventando quasi autosufficiente per il fabbisogno elettrico/termico).

Come spiega Paolo Veggetti di E2 Project Engineering, trasformare l’esistente significa migliorare il benessere ambientale, attraverso l’aumento della temperatura superficiale delle pareti rivolte verso l’esterno, un adeguato ricambio d’aria, il controllo dell’umidità e, possibilmente, una gestione “intelligente” del sistema edificio-impianto con la domotica.

L’importanza del cappotto

«Anche partendo dalla situazione più difficile, si può arrivare a un risultato eccellente», afferma quindi Veggetti. «In una ristrutturazione, limitarsi alla parte estetica ed architettonica significa perdere un’occasione». Un aspetto importante, evidenzia l’ingegnere, è la diagnosi energetica, per conoscere lo stato attuale di un edificio e individuare le soluzioni/tecnologie con il rapporto migliore tra costi e benefici.

«Per prima cosa bisogna intervenire sull’involucro, riducendo la domanda di elettricità e calore, poi sugli impianti che devono fornire la poca energia richiesta per riscaldare e raffrescare», precisa Veggetti.

Un esempio è il cantiere che sta seguendo a Bologna: un appartamento al secondo piano di una palazzina anni ’30. «Siccome i proprietari del piano sottostante non erano interessati a realizzare un cappotto esterno, abbiamo installato un materiale isolante di otto centimetri sulla faccia interna dei solai e di tutte le pareti rivolte verso l’esterno.

Su 70 metri quadrati di superficie – prosegue Veggetti – l’appartamento ha perso poco meno di due metri quadrati dopo aver ispessito i muri con il cappotto interno. Sul tetto, dopo aver tolto i coppi e rimosso l’assito originario, abbiamo aggiunto uno strato coibente di 18 centimetri in fibra di legno e una camera di ventilazione di cinque centimetri, che contribuisce a eliminare l’umidità. Sopra i listelli di ventilazione è stata applicata una barriera riflettente, che riduce di oltre il 30% il fabbisogno energetico per raffrescare l’appartamento nei mesi estivi».

Ventilazione, riscaldamento, acqua calda: tutto in un apparecchio

Un ruolo fondamentale è svolto dalla ventilazione meccanica controllata (VMC), che garantisce continui ricambi d’aria senza sprechi energetici, grazie a un recuperatore di calore. È una condizione imprescindibile per il benessere indoor, a maggior ragione in edifici ben sigillati.

La climatizzazione dell’appartamento, aggiunge l’ingegnere, è assicurata da un “aggregato compatto”: è una tecnologia innovativa che include ventilazione meccanica controllata, produzione di calore, freddo, acqua calda sanitaria con alimentazione elettrica, il tutto rinchiuso in un apparecchio grande come un frigorifero.

Questa soluzione, insieme a un piano cottura a induzione, ha consentito di elettrificare completamente l’abitazione bolognese, rinunciando così alle fonti fossili (metano). A completare gli impianti c’è un impianto fotovoltaico integrato nella falda sud del tetto, rispondendo alle richieste normative dei “near to zero energy buildings”.

Il risultato? La casa è passata dalla classe G alla classe A4, con un indice di prestazione energetica da 280 a 23 kWh/mq (-82%).

L’importanza dell’utilizzo dell’immobile

Secondo l’ing. Michele De Beni, per trasformare l’esistente occorre identificare bene sia il punto di partenza (con una visione molto chiara dell’edificio e delle sue caratteristiche) che l’obiettivo da conseguire.

«È un percorso da A verso B dove però la variabile più determinante non è la tecnologia in sé. Faccio un esempio: in campo residenziale l’involucro è sempre al primo posto, ma nell’edilizia commerciale bisogna spesso partire da una prospettiva differente. In un supermercato è inutile realizzare un cappotto di 20 centimetri, se prima non si è risolto il problema dei frigoriferi aperti. Qui al primo posto c’è l’efficienza del sistema frigo-alimentare, e solo in un secondo momento si può pensare all’isolamento dell’involucro. Per riqualificare bene un edificio produttivo, devi progettare bene il suo utilizzo. Rimanendo nell’esempio del supermercato, il cascame energetico del gruppo frigorifero può essere impiegato per il riscaldamento».

La casa passiva è tutta elettrificata

Per capire quanto sia importante l’involucro in una ristrutturazione residenziale, De Beni illustra l’intervento eseguito a Modena in una palazzina anni ’70 con tre appartamenti di un unico proprietario.

Tutti i lavori sono stati fatti mentre gli inquilini continuavano ad abitare nelle rispettive case: cappotto esterno di 20 centimetri, coibentazione del tetto, finestre a triplo vetro, ventilazione meccanica (l’impianto è stato installato nel controsoffitto), 6 kW di fotovoltaico con batteria integrata da 4,5 kWh, pompa di calore ad aria per il riscaldamento, piani cottura a induzione per una completa elettrificazione degli appartamenti, che ha consentito di eliminare l’allaccio alla rete del gas.

Il traguardo, in questo caso, è fare un salto dalla classe G a quella A3, avvicinandosi così a quel modello di “casa passiva” che a prima vista può sembrare difficilissimo da raggiungere nell’ambito delle ristrutturazioni di vecchi edifici.

Un ultimo appunto sui costi: tenendo presente che ogni riqualificazione è un caso particolare, secondo la situazione di partenza e gli obiettivi prefissati, De Beni indica la forbice di 750-900 euro al metro quadrato (senza toccare le strutture), comprendendo isolanti, infissi, finiture standard e impianti con VMC.

Progettare un condominio è molto più difficile

Le cose si complicano, però, quando si parla di edifici più grandi, palazzi con numerose proprietà in cui sarebbe opportuno intervenire in modo unitario. In queste situazioni, infatti, i progettisti si scontrano spesso con la scarsa sensibilità dimostrata nelle assemblee condominiali verso il tema dell’efficienza energetica.

«Credo che la falla sia rappresentata dal processo decisionale: spesso le persone non hanno tempo per approfondimenti e per soddisfare legittime curiosità, ma decidono tutto con una o due assemblee», racconta Veggetti.

Servirebbe allora più collaborazione da parte degli amministratori condominiali, che dovrebbero commissionare le diagnosi energetiche (obbligatorie quando bisogna sostituire un generatore di potenza superiore a 100 kW) e poi indire riunioni in cui discutere i risultati di tali diagnosi, individuando le soluzioni migliori da adottare per abbattere i consumi e quindi le spese complessive, e per rendere gli alloggi più confortevoli.

Nella scala delle priorità, sostiene infine De Beni, si dovrebbe partire dalla sostituzione del generatore (una caldaia obsoleta, magari a gasolio, inquina molto ed è poco efficiente), per poi considerare il cambio degli infissi e la realizzazione di un cappotto esterno, ricordando però che quest’ultimo ha senso solo se riveste l’intero edificio.

(Immagine titolo cortesia Edileco. Si veda articolo “Se la casa viene venduta a bolletta zero garantita” )

ADV
×