Il carbone perde terreno, ma è duro a morire

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Un report fornisce una fotografia aggiornata del panorama mondiale dell'industria del carbone. Nonostante il tasso di utilizzo degli impianti stia da anni calando, si sta investendo ancora troppo in nuove centrali, con il rischio di incagliare queste spese alla luce di un futuro climaticamente insostenibile.

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Dal destino segnato, ma duro a morire, il carbone sta rischiando di incatenarci a un futuro climaticamente insostenibile. Nonostante il tasso di utilizzo degli impianti stia da anni calando, anche in nazioni chiave come la Cina, si stanno investendo quasi 1000 miliardi di dollari in nuove centrali.

È questa la denuncia che arriva dal nuovo report di Sierra Club, Greenpeace, e CoalSwarm, “Boom and Bust 2016: Tracking The Global Coal Plant Pipeline” (in allegato in basso)

Con l’uso del carbone in declino in gran parte del mondo – sottolinea il report – i circa 981 miliardi di dollari che stanno per essere investiti in nuovi impianti sono un investimento massiccio in stranded asset, cioè asset che non si ripagheranno, e che potranno contribuire ad accelerare la crisi dell’industria del carbone.

Soldi che si potrebbero invece spendere molto meglio: ad esempio il piano “Energy for All” della International Energy Agency prevede che con molto meno, 640 miliardi, si riesca a dare energia a quegli 1,2 miliardi di persone che attualmente non vi hanno accesso, puntando soprattutto su generazione distribuita, off-grid e microreti.

A questo si aggiunga che le nuove centrali a carbone che si vogliono costruire aggiungerebbero 130mila morti premature all’anno alle 800mila che già ora causa l’inquinamento atmosferico da carbone.

Nel 2015, mostra il report, il consumo di carbone mondiale è sceso, trainato dal calo cinese: -3,6%. Nonostante ciò si sono aggiunti 84 GW di nuova potenza da carbone, il 25% in più che nel 2014. Dal 2010 si sono avviate centrali a carbone per 473 GW di potenza, per il 90% in Asia, soprattutto in Cina e India.

Tra nuove centrali e calo dei consumi il tasso di utilizzo di questi impianti è calato un po’ ovunque (vedi grafico sotto). In Cina è diminuito al 49,4%, il livello più basso dal 1969, e il governo prevede che arrivi al 45,7% nel 2016.

Il gigante asiatico, d’altra parte, si appresta a frenare su questa fonte visto che gli causa enormi danni ambientali e sanitari: Pechino sta imponendo ad alcune province una moratoria sulle autorizzazioni per nuove centrali e in alcuni casi anche lo stop a progetti già autorizzati. La frenata cinese, avverte il report, non sarà comunque sufficiente ad evitare una situazione di sovracapacità.

Anche in India scende l’utilizzo delle centrali a carbone e per la prima volta nel 2015 sono calate le installazioni.

Intanto crescono i pensionamenti di impianti, soprattutto in Europa e Stati Uniti, ma ad un ritmo insufficiente per compensare le nuove centrali: a livello mondiale per ogni centrale chiusa se ne costruiscono altre quattro.

Un grosso problema perché, anche se non si costruissero nuovi impianti a carbone, quelli esistenti causano già emissioni del 150% superiori a quelle che dovremmo avere per restare sotto alla soglia dei 2°C di riscaldamento globale dai livelli preindustriali.

Il report Boom and Bust 2016: Tracking The Global Coal Plant Pipeline (pdf)

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