Petrolio e Borsa: un avvertimento sulla bolla del carbonio

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Il prezzo del barile è ai minimi degli ultimi 12 anni, con diverse conseguenze per l'economia mondiale. Per il FMI sono più negative che positive. Un assaggio di quella "carbon bubble" il cui scoppio sarà disastroso se non si abbandoneranno al più presto gli investimenti in fossili.

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Il petrolio sul Brent, ieri, lunedì 18 gennaio, è precipitato fino a 27,67 $ al barile (era a 69,63 $ a maggio), da 12 anni non arrivava così in basso. Oggi si è ripreso leggermente sulla scia dei dati della domanda cinese, pur rimanendo sotto ai 30 $/b.

L’Iran e la previsione per il 2016-2017

Negli ultimi 18 negli ultimi mesi il prezzo del greggio è calato di circa il 70% e non si prevede che risalga in maniera significativa a breve. L’ultima previsione che abbiamo pubblicato, quella dell’EIA statunitense, parla di prezzi bassi anche nel 2016-2017 e l’Oil Market Report di gennaio della International Energy Agency, uscito oggi, certifica una situazione di oversupply.

Ad aggravare l’eccesso di produzione in atto c’è l’imminente entrata sul mercato del petrolio dall’Iran, appena liberato dalle sanzioni. Teheran ieri ha ordinato di aumentare la produzione di 500mila barili al giorno e la IEA prevede che sia in grado di farne arrivare sul mercato circa 3mila già entro il primo trimestre dell’anno in corso.

Gli impatti per l’industria

Il greggio a prezzi bassi ovviamente sta colpendo prima di tutto la stessa industria oil: nel corso del 2015 circa 380 miliardi di $ di investimenti in progetti di estrazione sono stati congelati, stima Wood McKenzie. A fermarsi sono soprattutto i progetti più costosi, come le trivellazioni in acque profonde e l’estrazione di riserve non convenzionali.

Nel 2016, prevede la EIA, crollerà soprattutto la produzione di tight oil americano, caratterizzata da tassi di declino molto elevati e investimenti sul breve termine che, per essere sostenibile economicamente, richiederebbe prezzi del barile più alti di quelli attuali e anche di quelli previsti nel breve periodo stimabili in 40 $/b.

Le conseguenze per l’economia mondiale

Gli effetti dei minimi toccati dal barile in questi giorni si stanno facendo sentire sulle Borse, anche perché associati alla notizia della minore crescita dell’economia cinese risptto alle attese (Pil a +6,9% nel 2015, secondo i dati ufficiali di Pechino). Tutti i mercati ne hanno risentito, anche se il colpo più duro è arrivato sulle Borse mediorientali.

Il petrolio a prezzi stracciati chiaramente mette in maggiore difficoltà i Paesi produttori. L’Arabia Saudita, ad esempio, che conta sul petrolio per il 73% delle sue entrate, si è certamente attrezzata per prezzi bassi, ma più sui 40 $/barile, che non sui 30. La Russia dipende dall’export di petrolio e gas per circa il 50% delle sue entrate e nei giorni scorsi ha visto il rublo crollare. Il Venezuela ha dovuto annunciare misure economiche di emergenza.

Ma il barile low-cost – ha spiegato oggi il Fondo Monetario Internazionale (FMI) – fa più male che bene all’intera economia mondiale: le difficoltà economiche degli esportatori compensano ampiamente i guadagni di grandi importatori come Giappone e Stati Uniti.

Un monito ad abbandonare le fossili

Uno scenario che sembra dare un assaggio di quanti da tempo parlano di “bolla del carbonio”, cioè del rischio che gli investimenti in fonti fossili si trasformino in asset impossibili da valorizzare a causa della transizione energetica necessaria a combattere il global warming.

I prezzi del petrolio attuali, oltre che da cause congiunturali come il rallentamento economico e il rientro in gioco dell’Iran, d’altra parte, potrebbero avere in parte anche una natura strutturale: dipendono da un’economia sempre meno energy intensive e che si sta lentamente affrancando dalle fossili. Il terremoto economico attuale legato al petrolio low-price è dunque un avvertimento di quel che potrebbe succedere se non si smetterà presto di investire in fonti fossili.

Se scoppia la bolla del carbonio

La transizione energetica, infatti, verosimilmente impedirà di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle: se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.

Una bolla sulla quale stanno mettendo in guardia da tempo, oltre agli ambientalisti, i report di gruppi bancari e analisti come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s.

Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido gli effetti economici potrebbero essere disastrosi, visto che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse al momento ha un ruolo molto importante – dal 20 al 30% in piazze come Londra, Mosca, Toronto e San Paolo – e che nelle fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.

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