Gas, butteremo altri soldi nel North Stream 2?

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Nei giorni scorsi alcune indiscrezioni hanno fatto trapelare di un possibile accordo tra Italia e Russia per il coinvolgimento del nostro paese e di Saipem nel raddoppio del gasdotto North Stream. Un'interrogazione ha chiesto chiarimenti al ministro Federica Guidi che si esprime in maniera fortemente critica su tale progetto.

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Cosa intende fare l’Italia in merito alle infrastrutture per il gas, cioè alla costruzione di nuove reti per il suo trasporto che impegnerebbero economicamente il nostro paese per decenni? L’atteggiamento del nostro Governo sembra essere molto contraddittorio, più o meno come per tutta la questione energetica.

La sicurezza energetica passa davvero per i nuovi gasdotti?

Partiamo da un dato: nel 2015 sono stati consumati nel paese 66,9 miliardi di mc, in crescita del 9% rispetto al 2014, ma con un decremento pari al 22,4% rispetto al massimo storico del 2005 (86,2 miliardi di mc, cioè 20 mld di mc in più rispetto ad oggi). Circa il 31% del fabbisogno del 2015 è stato richiesto per la generazione elettrica che quest’anno ha registrato una domanda in leggero incremento, soprattutto per il forte uso del condizionamento estivo.

Nel frattempo in Italia assistiamo allo smantellamento della grande industria e quindi ad una riduzione dei consumi di gas da parte di questo comparto. La stessa SNAM, a marzo 2015, indicava nel proprio piano decennale un ritorno – forse ottimistico – dei consumi a 74,8 mld di mc (cioè ai livelli del 2003-2004), ma solo nel 2024. Anche questo aspetto è tutto da vagliare alla luce della crescita, inevitabile, delle rinnovabili, soprattutto elettriche, in sostituzione del fabbisogno termico (non ce lo dice ogni giorno la stessa Autorità per l’Energia?) e dell’efficienza energetica.

Teniamo anche conto che in Italia ci sono rigassificatori che non stoccano nulla, come quello di Livorno, i cui costi però ricadono sugli italiani.

È vero, la situazione energetica internazionale resta nel breve e medio periodo molto intricata. Ma, ci chiediamo, la sicurezza energetica deve passare solo dalla costruzione di nuove infrastrutture per il gas (vedi Tap e altri rigassificatori) oppure si dovrebbe avviare una politica più oculata, sostenibile ambientalmente e di lungo periodo, visto che accollarsi l’ammortamento di queste grande opere non farebbe che ritardare di anni, se non di decenni, la transizione energetica verso le rinnovabili?

Il presunto accordo con Putin e la posizione della Guidi

Su questi temi si giocherà il futuro del settore energetico italiano e non solo. Intanto la posizione italiana resta schizofrenica. Ieri c’è stato un question time con il Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, che ha risposto a un’ interrogazione parlamentare sulla indiscrezione che ci sia un accordo tra governo italiano e Russia per una possibile partecipazione dell’Italia alla realizzazione del raddoppio del North Stream, gasdotto che trasporta il gas dalla Russia alla Germania, un impegno che andrebbe contro le indicazioni della SEN del 2013 che è particolarmente orientata alla promozione del “Corridoio Sud” per l’importazione di gas dall’area del Caspio e da altri paesi verso l’Italia.

Secondo il deputato Andrea Vallascas (M5S) della Commissione Attività produttive, l’eventuale impegno dell’Italia in questa grande opera rischierebbe di portare benefici solo alla Germania e ai paesi del Nord Europa. Inoltre, Saipem, controllata in parte dal Fondo Strategico italiano, risulterebbe essere, secondo fonti di stampa (ad esempio Milano Finanza), uno dei possibili partecipanti alla realizzazione di North Stream 2.

Rispondendo all’interrogazione, anche la Guidi sembrerebbe fortemente critica su questa ipotesi di raddoppio del North Stream. Ha sottolineato infatti che il progetto “potrebbe portare ad un aggravio dei costi per aziende e cittadini italiani con un danno alla competitività del nostro sistema in favore delle aziende tedesche”.

Con il raddoppio del gasdotto, lo spostamento dei flussi di gas “richiederebbe nuovi investimenti sulla rete interna europea e sulle connessioni tra Stati membri, anche in relazione al gas che l’Europa assicura a Ucraina e paesi dell’area balcanica che potrebbero risentire dalla nuova rotta. Inoltre, “i costi indiretti del progetto per il conseguente potenziamento delle reti interne e degli stoccaggi di bilanciamento europei sembrano essere rilevanti e bisogna evitare che questi vengano sostenuti dagli operatori gas e poi scaricati sui consumatori”.

Da un punto di vista di mercato, ha poi affermato, “il prezzo del gas europeo si verrebbe verosimilmente a formare al punto di ingresso tedesco, avvantaggiando probabilmente l’industria tedesca con ripercussioni per la competitività per le industrie italiane e degli altri Stati membri e sui mercati europei del gas”.

Verso l’esame in Commissione Europea

Il governo quindi chiederà, su queste basi, che il North Stream 2 venga esaminato dalla Commissione Europea con le stesse regole con cui è stato valutato il South Stream, perché non è scontato che il raddoppio del Nord Stream rispetti i requisiti delle normative europee del settore energetico, recepite nelle conclusioni del Consiglio europeo di dicembre, secondo cui tutte le nuove infrastrutture dovrebbero essere pienamente conformi al Terzo pacchetto energia e alle altre normative UE applicabili nonché agli obiettivi dell’Unione dell’energia.  

Ora c’è da capire che tipo di accordi (informali e forse poco trasparenti?) ci siano stati tra Renzi e Putin, considerando che alla luce dell’obiettivo di ridurre la dipendenza dell’Unione Europea dalle forniture di gas dalla Russia, l’Italia ha già programmato ingenti investimenti per far diventare (vedi la SEN) il nostro Paese un “hub mediterraneo del gas” verso i paesi Europei. Anch’esso, a dirla tutta, un obiettivo che rischia di rivelarsi inutile e dispendioso.

Il pericolo però, al solito, è quello di far spendere ingenti somme pubbliche, a beneficio di pochi gruppi di interessi, su infrastrutture impattanti e, alla lunga, inutili.

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